Proteine animali in cucina (quelle sane)

Nel menu preparato da Argotec per Samantha Cristoforetti è presente un pesce troppo spesso sottovalutato, ma che potremmo a buon diritto definire eccezionale per le sue proprietà. Si tratta dello sgombro, anche detto macarello o lacerto, che è ecosostenibile, non troppo costoso e contiene tutte le proprietà salutari tipiche del pesce azzurro. Le proteine animali, quelle sane, sono davvero importanti per la dieta della nostra astronauta, in orbita ormai da oltre un mese grazie alla cooperazione tra ASI, ESA e Aeronautica Militare, così lo chef Stefano Polato ha pensato di inserire lo sgombro tra gli alimenti del bonus food della missione Futura: «Il macarello ha un gusto intenso e una carne davvero gradevole al palato, ma è soprattutto una riserva di acidi grassi polinsaturi omega-3. Inoltre, lo sgombro è indicato contro le infiammazioni dell’apparato digerente, quindi vale la pena di mangiarlo spesso, magari al forno o al vapore, ma anche al cartoccio e accompagnato con erbe aromatiche, spezie come lo zenzero o con gli agrumi, in base ai vostri gusti».

Anche la carne, quella bianca o rossa, può essere considerata molto importante all’interno di una sana e corretta alimentazione. Nel caso di Samantha, lo Space Food Lab di Argotec ha utilizzato il pollo da allevamento biologico a terra, ma secondo Polato anche la carne rossa può trovare posto nella nostra dieta settimanale, anche se alle giuste condizioni: «La carne rossa, ricca di ferro, è una fonte di proteine ad alto valore biologico perché in essa sono presenti tutti gli aminoacidi “essenziali”, cioè quelli che dobbiamo assumere tramite l’alimentazione visto che il nostro corpo non è in grado di sintetizzarli autonomamente in quantità sufficiente. Chiaramente, è molto importante consumarne la giusta quantità, senza esagerare, alternandola alle proteine vegetali e scegliendone in modo accurato la provenienza così come il metodo di allevamento. Il mio consiglio è quello di scegliere i tagli più magri, in modo da evitare i grassi saturi che la rendono poco digeribile. Per quanto riguarda la preparazione, meglio scegliere cotture soft o gentili sfruttando basse temperature per evitare il più possibile la perdita dei nutrienti e la formazione di sostanze cancerogene. Oggi si utilizza molto la cottura sottovuoto a bassa temperatura (che tratterò nei prossimi post), a cui sono particolarmente affezionato per gli ottimi risultati che offre in quanto a gusto, ma soprattutto per il fatto che preserva al massimo i valori nutrizionali degli alimenti».

 Antonio Pilello

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Fai il pieno giusto | Proteine e muscoli

28/01/2015

La sintesi proteica

Con il termine sintesi proteica si intende il processo biochimico attraverso cui l’informazione genetica contenuta nel DNA viene convertita in proteine che svolgono varie funzioni biologiche nel nostro organismo. Attraverso un processo detto di trascrizione dal DNA si forma un filamento di RNA messaggero che serve da stampo per la produzione di una specifica proteina.

La sintesi proteica è parte di una serie complessa di reazioni metaboliche che, consumando energia, formano molecole complesse a partire da quelle più semplici. Lo scopo è in particolare quello di riparare e ricostruire i tessuti danneggiati. Al contrario le reazioni che degradano molecole complesse liberando energia vengono dette cataboliche.

Il metabolismo è caratterizzato da un continuo susseguirsi di reazioni anaboliche e cataboliche che varia a secondo delle fasi della vita, degli stimoli nutrizionali e ambientali come per esempio la quantità e la tipologia di attività fisica.

Perché la sintesi proteica avvenga in maniera ordinata e regolare è necessario fornire all’organismo un quantitativo sufficiente di materia prima, cioè di proteine alimentari che daranno gli aminoacidi necessari a formare a loro volta le proteine con azione biologica nell’organismo. Questa quantità varia a secondo del livello di attività fisica e va da un minimo di 0.8 grammi per chilo corporeo per una persona sedentaria fino anche a 1.5-2 grammi per gli atleti di sport di forza e potenza. Inoltre le reazioni anaboliche sono regolate da una serie di ormoni tra cui l’insulina, l’ormone della crescita e il testosterone, anche essi influenzati dall’assunzione di cibo, dalla tipologia di attività fisica e soprattutto dal rapporto tra attività e recupero.

In situazioni come la permanenza a lungo termine in orbita, è fondamentale continuare a stimolare la sintesi proteica per ridurre al minimo le reazioni cataboliche a carico del muscolo e delle ossa. Questo si ottiene attraverso un’alimentazione bilanciata che assicura una quantità corretta di proteine e un programma di allenamento giornaliero che prevede un intenso uso dei muscoli con particolari attrezzi che simulano l’allenamento con i pesi, logicamente impossibile in orbita.

Dr. Filippo Ongaro

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Proteine e muscoli | Una cosa da ragazzi

27/01/2015

Più “muscoli”, più vita

Quando si parla di muscoli molto spesso le persone pensano immediatamente ai fisici scolpiti degli atleti o ancora di più alle masse muscolari enormi dei culturisti.

Ma i muscoli servono a tutti noi, esattamente come il cuore, il cervello, la pelle o le ossa, ed è per questo che tutti noi li abbiamo.

Pochi sanno però che ogni anno dopo i 35 anni la nostra massa muscolare si ridurrà dello 0.5-1%. Arrivati ai 75 anni, per esempio, se non avremmo fatto nulla per rallentare questa perdita, potremmo ritrovarci con il 40% di massa muscolare in meno!

Questo comporta una perdita di forza e di autonomia funzionale che molto spesso è alla base della spirale che porta alla tipica fragilità dell’anziano con debolezza, perdita di equilibrio e progressiva difficoltà ad uscire di casa. A sua volta questo comporterà cambiamenti psicologici che portano all’isolamento e anche ad un conseguente rallentamento delle funzioni cognitive.

Ovviamente non tutto dipende dalla presenza o meno di muscoli ma ricordiamoci che una muscolatura integra e forte aiuta a regolare la glicemia, la pressione arteriosa e perfino l’umore e mantiene solide le ossa e per questo è un aspetto centrale nel mantenimento della salute.

Per evitare questa evoluzione negativa non serve cimentarsi in attività estreme ma basta piuttosto dare spazio nella nostra routine settimanale a qualche allenamento con pesi o elastici o perfino al semplice corpo libero in aggiunta ad una buona dose di attività aerobica come il camminare, la corsa, il nuoto o la bici. Inoltre va ricordato che per mantenere la massa muscolare integra è necessario assumere una quantità adeguata di proteine scegliendo in particolare tra pesce, legumi e carni magre. Se non vi convince l’idea di costruire muscoli più forti per ragioni estetiche, prima di accantonare l’idea di allenarvi di più, ricordatevi che più muscoli significa davvero più vita.

Dr. Filippo Ongaro

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Nell’immagine di copertina: l’astronauta ESA Thomas Pesquet in una sessione di allenamento a Terra con ARED (advanced Resistive Exercise Device) al Columbia Center presso il Johnson Space Center (NASA) il 16 settembre 2014.

Proteine e muscoli | Sfida

27/01/2015

Meno ti muovi e più rischi

L’esercizio fisico è un metodo molto promettente per ridurre la concentrazione di glucosio nel sangue, stimolando un maggiore assorbimento del glucosio mediato dall’insulina.

D’altra parte, l’inattività diminuisce la sensibilità alla insulina, favorisce l’alta pressione e l’obesità.

Uno studio dell’AusDiab (Australian Diabetes, Obesity and Lifestyle) ha esaminato la correlazione tra intolleranza al glucosio e la quantità di tempo speso di fronte alla televisione, prendendo in esame un campione di 1958 ultrasessantenni di età media 69 anni, composto dal 54% di donne

Le conclusioni non sorprendono. La ricerca ha messo in evidenza che il tempo passato di fronte alla televisione è associato a una maggiore intolleranza al glucosio, specialmente nelle donne. Per essere chiari: chi passa più tempo di fronte alla televisione sviluppa un rischio maggiore di intolleranza al glucosio.

Risultati recenti che analizzano l’inattività fisica attraverso esperimenti come la degenza (bed rest), le sessioni prolungate di sedute o le riduzioni del periodo deambulatorio quotidiano, hanno confermato che passare a uno stato di inattività riduce il metabolismo.

Così, persino tre giorni di riposo a letto sono sufficienti – in soggetti in piena salute – a indurre un’anomalia nella tolleranza al glucosio. E secondo ricerche recenti, anche una semplice diminuzione della frequenza degli intervalli a cui ci alziamo dalla posizione seduta, così come una maggior durata complessiva del tempo in cui stiamo seduti, sono sufficienti ad abbassare la sensibilità all’insulina

 Insomma, questi studi suggeriscono che la tecnologia moderna, che elimina la posizione eretta e significativi movimenti degli arti, danno il via a disfunzioni metaboliche che probabilmente giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’obesità e del diabete mellito di tipo 2.

Martina Heer,

traduzione a cura di Stefano Sandrelli.

Scienza a gravita' zero | Zuccheri e obesità

22/01/2015

Le fibre alimentari

Le fibre alimentari sono presenti in molti cibi di origine vegetale: frutta, verdura, cereali integrali e legumi, solo per citarne alcuni. Non sono digeribili grazie alla consueta azione dei succhi gastrici e intestinali, e sono formate principalmente da carboidrati. Normalmente, vengono classificate a seconda che siano solubili in acqua oppure no. Inoltre, hanno un ruolo importante nella riduzione del colesterolo nel sangue, modificando la risposta glicemica. Durante il volo spaziale, sono stati osservati alcuni cambiamenti nella funzione gastrointestinale degli astronauti. Tuttavia, l’assunzione adeguata di fibre alimentari permette di diminuire l’incidenza di stipsi. Attualmente, la dose consigliata durante la permanenza in orbita è pari a 10-14 grammi ogni 1000 chilocalorie. Negli Stati Uniti, la dose per la fascia di età compresa tra 19 e 50 anni è pari a 38 grammi al giorno per gli uomini e 30 per le donne. La quota per le missioni di 30-120 giorni è stata definita nel 1991: 10 grammi al giorno per le donne e 15 per gli uomini. Questa quantità è stata aumentata nel 1995 per missioni sino a 360 giorni, con un’assunzione compresa tra 10 e 25 grammi al giorno.

_MGL8618Eventuali carenze nell’assunzione di fibre alimentari, magari associate a un basso apporto di liquidi, possono portare a costipazione e altre patologie funzionali del tratto gastrointestinale. Anche parametri metabolici importanti come glicemia e colesterolo possono aumentare. Secondo Stefano Polato, lo chef dello Space Food Lab di Argotec, «un problema tipico delle nostre tavole riguarda la presenza di troppi cibi raffinati, a cui è stato tolto il contenuto di fibre. Si tratta di un problema grave perché la fibra solubile funziona come un tampone all’assorbimento di zuccheri e grassi. La fibra insolubile, invece, ottimizza il transito gastrointestinale. Oltre a tutto ciò, nei cibi raffinati perdiamo i veri gusti, profumi e colori della natura e pian piano il nostro naso e il nostro palato non riusciranno più a riconoscerli». Per quanto riguarda il menu di Samantha, attualmente in orbita grazie alla cooperazione tra ASI, ESA e Aeronautica Militare, anche questo aspetto così importante non è stato trascurato: «Abbiamo studiato in dettaglio il bonus food della nostra astronauta – continua Polato – in maniera tale da garantirle il giusto apporto di fibra nell’arco dei sei mesi della missione Futura. In particolare, ne sono ricchi lo smoothie di frutta e le barrette energetiche pensate da Argotec per una pausa gustosa di metà mattina o pomeriggio, anche a 400km dalle nostre teste».

Antonio Pilello

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Fai il pieno giusto | Zuccheri e obesità

19/01/2015

Come la preparazione del cibo influenza l’indice glicemico

Ogni volta che ci mettiamo ai fornelli siamo di fronte a un bivio: possiamo farci del bene oppure rischiare, seppur inconsapevolmente, di produrre dei danni al nostro organismo. Purtroppo, infatti, alcune tecniche di cottura tendono ad alterare in modo negativo il cibo che assumiamo. Tuttavia, anche in cucina esistono degli accorgimenti per poter arginare i rischi, specialmente quando si parla di indice glicemico. Questo valore rappresenta la capacità degli alimenti assunti di innalzare la glicemia, che quantifica il glucosio presente nel sangue, ed è molto importante tenerne conto nella propria dieta. polato 2Anche Stefano Polato, il responsabile dello Space Food Lab di Argotec, ne è consapevole: «Partire da una scelta oculata degli ingredienti è sempre buona norma. La fibra, per esempio, rallenta il tempo di assorbimento degli zuccheri assunti. Da questo concetto si può comprendere che l’indice glicemico sarà maggiore in un cereale raffinato anziché nell’analogo in versione integrale. Bisogna aggiungere, inoltre, che i metodi di cottura modificano ulteriormente l’indice glicemico finale del piatto. Da questo punto di vista, una cottura al dente della pasta (5-6 minuti) consente di conservare questo parametro al livello più basso, mentre una cottura prolungata, sino a 15-20 minuti, ne provoca un innalzamento a causa della gelatinizzazione dell’amido accelerata».

Temperatura e tempo di cottura sono, in base a quanto detto finora, fattori determinanti per il controllo dell’indice glicemico, che aumenta in modo proporzionale rispetto a questi due parametri. Questo è uno dei motivi per cui la cottura a vapore, come altre tecniche altrettanto delicate, è da preferire rispetto ai metodi più invasivi e aggressivi. Argotec ha tenuto conto di tutto questo anche nel menu di Samantha Cristoforetti, la cui missione Futura, lo ricordiamo, nasce da un accordo tra ASI, ESA e Aeronautica Militare. «Si pensi, per esempio, alla termostabilizzazione – continua lo chef – che ci ha permesso di portare in orbita prodotti con proprietà organolettiche pressoché inalterate sino a due anni e mezzo dalla produzione. Temperatura e tempo sono stati due parametri importantissimi, la cui ottimizzazione ha richiesto molti mesi di studio da parte del nostro team di nutrizionisti e tecnologici alimentari. A questi valori, aggiungerei anche la scelta della pressione adeguata. La loro giusta combinazione ci consente di conservare al meglio colore, gusto e consistenza degli alimenti. In questo modo, abbiamo offerto a Samantha un bonus food di alta qualità anche fuori dai confini terrestri».

 Antonio Pilello

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

16/01/2015

Conoscere l’indice e il carico glicemico

Quando si analizza l’effetto dei carboidrati non ci si deve fermare solo alle calorie che apportano. I cereali integrali, la frutta e la verdura sono ricchi di fibra e di fitonutrienti in grado di modulare l’espressione dei nostri geni e quindi di aiutarci a rimanere sani. Inoltre, possiedono un basso indice glicemico, vale a dire una scarsa capacità di innalzare la glicemia e di stimolare la produzione di insulina. Possiamo dunque dire che i carboidrati buoni hanno un elevato indice di fitonutrienti e un basso indice glicemico. Questo è molto importante perché sono proprio i fitonutrienti i principali messaggeri che veicolano le informazioni contenute nel cibo all’interno delle nostre cellule e che, regolando l’espressione genica, determinano la nostra salute. Per questo una dieta corretta dovrebbe prevedere una netta prevalenza di cibi vegetali e integrali.

Quando i carboidrati vengono processati, la quasi totalità dei principi attivi e dei fitonutrienti che contengono viene eliminata. Pasta bianca, pane bianco, riso bianco, crackers, cereali da colazione, fette biscottate sono ricchi di calorie, hanno un elevato indice glicemico ma apportano scarse quantità di fitonutrienti. La ricerca scientifica ha dimostrato che non solo gli zuccheri ma anche i cereali raffinati possono nel tempo causare una sovrapproduzione di insulina che porta a una condizione simile alla saturazione: le cellule diventano insensibili a questo ormone e, di conseguenza, più zucchero rimane in circolo.

Con indice glicemico si intende la velocità con cui i carboidrati presenti in uno specifico alimento innalzano la glicemia. L’indice glicemico non tiene però conto della quantità di carboidrati realmente presenti nell’alimento stesso. Questo può portare a degli errori interpretativi. Per esempio le carote bollite hanno un indice glicemico elevato ma la quantità di carboidrati in esse contenuta è minima e quindi per avere un reale effetto sulla glicemia sarebbe necessario assumerne una dose molto elevata. Per questo è utile considerare anche il carico glicemico, parametro che tiene in considerazione la reale quantità di carboidrati presenti nel cibo preso in esame. Un pasto sano dovrebbe essere sempre a basso carico glicemico. La presenza abituale nella nostra dieta di elevate quantità di carboidrati bianchi e zuccheri e la scarsità di fibra fanno sì che la maggior parte di noi mangi pasti a elevato carico glicemico. Aumentare l’assunzione di verdura e preferire i cereali integrali alle versioni raffinate può aiutarci a ridurre il rischio di insulino-resistenza,  a controllare l’appetito, a perdere peso e a tenere sotto controllo il colesterolo

Dr. Filippo Ongaro

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

13/01/2015

La amara verità sullo zucchero

Se una volta si sosteneva che cervello e i muscoli hanno bisogno di zuccheri oggi, secondo alcuni autori, lo zucchero può avere conseguenze deleterie sul metabolismo e può favorire la tendenza ad aumentare di peso.

Le nostre cellule hanno senza dubbio bisogno di zucchero ma non serve fornirlo dall’esterno perché l’organismo è capace di produrlo nelle quantità giuste a partire da alimenti più complessi.

Negli ultimi anni, soprattutto nei paesi occidentali, il consumo di zucchero è aumentato molto e, visto il parallelo calo nel consumo di grassi, c’è da pensare che lo zucchero sia almeno in parte responsabile del continuo aumento di persone sovrappeso. La sedentarietà sempre più diffusa, un eccesso di calorie rispetto ai consumi e una percentuale elevata di esse provenienti da zuccheri hanno favorito il diffondersi dell’insulino-resistenza, una condizione per cui le cellule diventano insensibili all’insulina stessa. In pratica, per riportare in un range normale la glicemia sollecitata dallo zucchero assunto in eccesso, il pancreas è costretto a produrre maggiori quantità di insulina. Nel tempo l’insulina in eccesso satura il meccanismo con serie conseguenze per la salute, tra cui il diabete, l’obesità, l’ipercolesterolemia e l’ipertensione. La resistenza insulinica, oggi molto comune, deriva quindi dall’associazione di sedentarietà e consumo eccessivo di zuccheri ed è legata a molte condizioni patologiche.

Secondo alcuni ricercatori, particolarmente dannosi sono gli zuccheri liquidi, sia quelli introdotti nella preparazione industriale degli alimenti che quelli assunti tramite l’uso di bevande zuccherate. Questi, infatti, saziano pochissimo e tendono per questo ad alterare l’appetito incidendo sulla complessiva assunzione di cibo. Le indicazioni ufficiali suggeriscono di riservare agli zuccheri non più del 10-15% dell’apporto calorico giornaliero (corrispondenti, per una dieta media di 2100 calorie, a 56-84 grammi). Particolare attenzione va fatta ovviamente nei casi di diabete ma in generale forse conviene considerare gli zuccheri più come uno sfizio da concedersi di tanto in tanto che come una necessità quotidiana.

Dr. Filippo Ongaro

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

22/12/2014

Studi “bed rest” e intolleranza al glucosio

Dopo le prime missioni spaziali come Apollo e Skylab gli astronauti hanno mostrato un livello di glucosio e di insulina nel sangue superiore a fine missione rispetto ai livelli rilevati prima del lancio. Questo fenomeno non colpisce solo gli astronauti ma anzi si sta diffondendo tra la popolazione, soprattutto i più giovani, dei paesi occidentali. Secondo alcuni dati del sondaggio National Health and Nutritional Examination del 2003-2004 (NHANES) solo l’8% degli adolescenti (12-19 anni) e meno del 5% degli adulti (con più di 20 anni) seguono la raccomandazione di fare da 30 a 60 minuti di esercizi al giorno.

Anche solo un paio di giorni a letto possono comportare conseguenze sul nostro corpo, simili anche a quelle di cui fanno esperienza gli astronauti in microgravità. È per questo motivo infatti che qui sulla Terra vengono condotti studi cosiddetti di “bed rest”, ovvero di riposo forzato a letto. I processi di adattamento di muscoli e ossa iniziano anche solo dopo ore di riposo forzato; dopo soli cinque giorni a letto, i livelli di glucosio e insulina aumentano velocemente, suggerendo che l’intolleranza al glucosio può essere indotta anche in individui giovani e in buona salute se li si costringe ad un improvviso stile di vita sedentario.

Tuttavia la sedentarietà sembra non essere l’unica causa di una diversa tolleranza al glucosio nelle persone giovani. Lo studio di Thyfault and Booth (2011) ha recentemente affermato come anche semplicemente le troppe ore passate seduti senza sufficienti pause per una passeggiata sia sufficiente per abbassare in maniera significativa la nostra sensibilità all’azione dell’insulina e di conseguenza per aumentare i rischi metabolici.

Se a questo si aggiunge un apporto calorico superiore a quello necessario la situazione peggiora sensibilmente. Lo studio di Stephens e colleghi del 2011 ha mostrato come in una persona normopeso, in salute, se all’inattività (come ad esempio lo stare seduti per maggior parte della giornata) si aggiunge un bilancio energetico positivo (ovvero maggiore di quello di cui si avrebbe bisogno) la sensibilità all’insulina viene ridotta del 39%. È tuttavia da notare che in caso di inattività ma con un equilibrato apporto calorico e di energia la sensibilità del corpo all’insulina viene ridotta solo del 18% in confronto alla sensibilità che si avrebbe con uno stile di vita attivo. La ricerca conclude con l’affermazione che “le strategie per limitare la percentuale di tempo passata seduti possano ridurre le malattie legate ai rischi metabolici”.

In un altro recente studio, condotto presso la DLR (Deutsches Zentrum für Luft- und Raumfahrt e.V. ovvero l’agenzia spaziale tedesca) a Colonia in Germania, con il nostro team abbiamo cercato di capire per quanto tempo una persona debba mantenere uno stile di vita attivo per riuscire a tornare ad avere gli stessi livelli di glucosio e insulina nel sangue che aveva prima del periodo di riposo forzato a letto (fissato a 21 giorni per questo studio). Quello che abbiamo potuto dimostrare è che mantenendo un livello di attività limitato dopo il periodo a letto il tempo di recupero della giusta tolleranza al glucosio è intorno ai quattordici giorni, anche in individui in salute e in giovane età (Heer et al. 2014). In conclusione quindi è sicuramente una buona scelta mantenere un livello di attività fisica  costante non solo per mantenersi in salute in generale ma anche per mantenere un sano metabolismo del glucosio e ridurre cosí i rischi di sviluppare il diabete di tipo 2.

Martina Heer

Scienza a gravita' zero | Zuccheri e obesità

19/12/2014

Basta un poco di…dolce!

Siamo ormai prossimi al Natale ed è inevitabile che, fra i tanti buoni cibi che compariranno sulle nostre tavole immaginiamo che un ruolo importante lo svolgano i dolci: panettoni, pandori, torroni e, se ancora esistono in circolazione i cri-cri (cioccolatini tondi ripieni di nocciola e ricoperti dalla granella di zucchero). Se facciamo mente locale, la maggior parte di noi associano al termine “dolce” un’altra parola che col tempo ne è quasi diventata sinonimo: “zucchero”. Eppure, nel mondo esistono valide alternative, prodotti diversi che assolvono alla stessa funzione e che non tutti conoscono.

Credits: Dennis BejaranoIn Colombia, ad esempio, esiste un prodotto che si chiama panela, la cui storia è antica tanto quanto quella dello zucchero. La sua introduzione nel paese data al xvi secolo e, da allora, il prodotto si è profondamente radicato nella tradizione e nella cultura colombiana. Di cosa stiamo parlando? La panela è un dolcificante naturale estratto dalla canna da zucchero e la sua produzione, nel tempo, è stata prevalentemente artigianale: si estrae il succo di canna utilizzando piccoli molini a motore; si sottopone il succo a processi manuali di pulizia e chiarificazione usando addensanti naturali ricavati da piante locali, dopodiché, raggiunto il giusto punto di evaporazione, il succo viene versato in stampi per il raffreddamento. La Colombia, oggi, è il primo paese consumatore e il secondo produttore a livello mondiale; la produzione di panela significa grandi superfici coltivate, creazione di impiego agricolo e generazione di redditi. Tuttavia, questo mercato è minacciato da politiche che non tengono sufficientemente in conto la situazione degli agricoltori di piccola scala e favoriscono, al contrario, i grandi produttori industriali. Eppure, sono ancora in molti i produttori resistenti che fanno la panela di una volta: con procedimenti artigianali, preferibilmente bio, e utilizzando varietà tradizionali di canna da zucchero.

Alcuni di essi, fanno parte della rete di Slow Food e Terra Madre: Produttori di panela biologica di Dibulla; Produttori di panela biologica di Río Sucio ; Produttori di panela di La Vega.

Più famosa a livello internazionale, se non altro perché negli scorsi anni è stata al centro di un vasto dibattito è la Stevia rebaudiana, una pianta di piccole dimensioni della famiglia delle Asteracee. Nativa delle montagne comprese tra Brasile e Paraguay, per lungo tempo è stata bandita dalle nostre tavole, finché nel 2011 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare non ne ha autorizzato l’uso come dolcificante. Un passo significativo e importante che ha permesso ai consumatori – nonché ad alcune compagnie dell’agroindustria – di avvicinarsi a un prodotto naturale sostituendolo a dolcificanti artificiali come ad esempio l’aspartame dopo anni di messa al bando. Nelle aree latinoamericane di cui è originaria, la stevia è utilizzata da sempre, come molti altri prodotti, anche per le sue proprietà medicinali: in Europa e altrove nel mondo la sua popolarità è invece dovuta al fatto di essere un dolcificante naturale (più dolce del saccarosio comune) a 0 calorie e i cui principi attivi non subiscono degradazione col calore, ad esempio, conservando bene le loro caratteristiche in prodotti da forno o bevande calde.

Nella rete di Slow Food e Terra Madre, alcune comunità contadine producono la stevia, talvolta insieme ad altre erbe aromatiche: Produttori di stevia di Asunción; Produttori biologici di Cajamarca; Produttori di zucchero di canna biologico di Arroyos ed Esteros.

Terminiamo questa prima incursione nel mondo dei dolcificanti naturali alternativi allo zucchero riservando poche parole a un altro prodotto interessante: lo sciroppo di agave, anch’esso originario dell’America Latina. Questo sciroppo è prodotto a partire dall’agave chaguarmishky, la cui linfa dolce è estratta ricorrendo a tecniche ancestrali. Per l’estrazione della linfa, la pianta deve avere tra i 12 e 15 anni e il suo ciclo produttivo dura 40 giorni. Si inizia con una produzione di 2 litri al giorno per albero, arrivando fino a 10 litri. Lo sciroppo è una riduzione della linfa: per farne un litro si impiegano 10 litri di quest’ultima. Le sue proprietà medicinali sono tante e il suo basso livello glicemico lo rende un dolce adatto a diabetici. Nella provincia di Pichincha, in Ecuador, il compito della distillazione spetta alle donne ed è diventato la loro principale attività economica.

Per conoscere la rete dei produttori delle comunità del cibo di Terra Madre: https://www.terramadre.info/comunita-del-cibo/ .

Silvia Ceriani

Slow Food

Fai il pieno giusto

17/12/2014