Meno ti muovi e più rischi
L’esercizio fisico è un metodo molto promettente per ridurre la concentrazione di glucosio nel sangue, stimolando un maggiore assorbimento del glucosio mediato dall’insulina.
D’altra parte, l’inattività diminuisce la sensibilità alla insulina, favorisce l’alta pressione e l’obesità.
Uno studio dell’AusDiab (Australian Diabetes, Obesity and Lifestyle) ha esaminato la correlazione tra intolleranza al glucosio e la quantità di tempo speso di fronte alla televisione, prendendo in esame un campione di 1958 ultrasessantenni di età media 69 anni, composto dal 54% di donne
Le conclusioni non sorprendono. La ricerca ha messo in evidenza che il tempo passato di fronte alla televisione è associato a una maggiore intolleranza al glucosio, specialmente nelle donne. Per essere chiari: chi passa più tempo di fronte alla televisione sviluppa un rischio maggiore di intolleranza al glucosio.
Risultati recenti che analizzano l’inattività fisica attraverso esperimenti come la degenza (bed rest), le sessioni prolungate di sedute o le riduzioni del periodo deambulatorio quotidiano, hanno confermato che passare a uno stato di inattività riduce il metabolismo.
Così, persino tre giorni di riposo a letto sono sufficienti – in soggetti in piena salute – a indurre un’anomalia nella tolleranza al glucosio. E secondo ricerche recenti, anche una semplice diminuzione della frequenza degli intervalli a cui ci alziamo dalla posizione seduta, così come una maggior durata complessiva del tempo in cui stiamo seduti, sono sufficienti ad abbassare la sensibilità all’insulina
Insomma, questi studi suggeriscono che la tecnologia moderna, che elimina la posizione eretta e significativi movimenti degli arti, danno il via a disfunzioni metaboliche che probabilmente giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’obesità e del diabete mellito di tipo 2.
Martina Heer,
traduzione a cura di Stefano Sandrelli.
22/01/2015




Eventuali carenze nell’assunzione di fibre alimentari, magari associate a un basso apporto di liquidi, possono portare a costipazione e altre patologie funzionali del tratto gastrointestinale. Anche parametri metabolici importanti come glicemia e colesterolo possono aumentare. Secondo Stefano Polato, lo chef dello Space Food Lab di Argotec, «un problema tipico delle nostre tavole riguarda la presenza di troppi cibi raffinati, a cui è stato tolto il contenuto di fibre. Si tratta di un problema grave perché la fibra solubile funziona come un tampone all’assorbimento di zuccheri e grassi. La fibra insolubile, invece, ottimizza il transito gastrointestinale. Oltre a tutto ciò, nei cibi raffinati perdiamo i veri gusti, profumi e colori della natura e pian piano il nostro naso e il nostro palato non riusciranno più a riconoscerli». Per quanto riguarda il menu di Samantha, attualmente in orbita grazie alla cooperazione tra ASI, ESA e Aeronautica Militare, anche questo aspetto così importante non è stato trascurato: «Abbiamo studiato in dettaglio il bonus food della nostra astronauta – continua Polato – in maniera tale da garantirle il giusto apporto di fibra nell’arco dei sei mesi della missione Futura. In particolare, ne sono ricchi lo smoothie di frutta e le barrette energetiche pensate da Argotec per una pausa gustosa di metà mattina o pomeriggio, anche a 400km dalle nostre teste».
Anche Stefano Polato, il responsabile dello Space Food Lab di Argotec, ne è consapevole: «Partire da una scelta oculata degli ingredienti è sempre buona norma. La fibra, per esempio, rallenta il tempo di assorbimento degli zuccheri assunti. Da questo concetto si può comprendere che l’indice glicemico sarà maggiore in un cereale raffinato anziché nell’analogo in versione integrale. Bisogna aggiungere, inoltre, che i metodi di cottura modificano ulteriormente l’indice glicemico finale del piatto. Da questo punto di vista, una cottura al dente della pasta (5-6 minuti) consente di conservare questo parametro al livello più basso, mentre una cottura prolungata, sino a 15-20 minuti, ne provoca un innalzamento a causa della gelatinizzazione dell’amido accelerata».
In Colombia, ad esempio, esiste un prodotto che si chiama panela, la cui storia è antica tanto quanto quella dello zucchero. La sua introduzione nel paese data al xvi secolo e, da allora, il prodotto si è profondamente radicato nella tradizione e nella cultura colombiana. Di cosa stiamo parlando? La panela è un dolcificante naturale estratto dalla canna da zucchero e la sua produzione, nel tempo, è stata prevalentemente artigianale: si estrae il succo di canna utilizzando piccoli molini a motore; si sottopone il succo a processi manuali di pulizia e chiarificazione usando addensanti naturali ricavati da piante locali, dopodiché, raggiunto il giusto punto di evaporazione, il succo viene versato in stampi per il raffreddamento. La Colombia, oggi, è il primo paese consumatore e il secondo produttore a livello mondiale; la produzione di panela significa grandi superfici coltivate, creazione di impiego agricolo e generazione di redditi. Tuttavia, questo mercato è minacciato da politiche che non tengono sufficientemente in conto la situazione degli agricoltori di piccola scala e favoriscono, al contrario, i grandi produttori industriali. Eppure, sono ancora in molti i produttori resistenti che fanno la panela di una volta: con procedimenti artigianali, preferibilmente bio, e utilizzando varietà tradizionali di canna da zucchero.