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La gestione dell’aria in un “modulo serra” per applicazioni spaziali

Nell’ambito dello sviluppo di sistemi di tipo bio-rigenerativo, un “modulo serra” risulta una parte fondamentale all’interno di qualsiasi concetto di base stabile e indipendente per le future missioni spaziali. Infatti all’interno di una serra è possibile (ri)generare tutte le risorse necessarie agli esseri umani, attraverso la chiusura dei cicli vitali di un habitat: il riciclo dell’acqua, la rimozione di anidride carbonica e la produzione di ossigeno e di cibo. In questo contesto si colloca il seguente studio di fattibilità coordinato dal centro aerospaziale tedesco DLR e condotto nell’ambito del programma MELiSSA dei progetti di ricerca ESA. L’obiettivo principale di questa attività è la definizione di un “modulo serra” per una base lunare. Tutte le principali parti che costituiscono il modulo serra vengono investigate: la scelta delle piante ed il loro posizionamento, l’estensione della parte coltivata, la fornitura di nutrimento alle piante, il tipo di illuminazione, la gestione dell’aria, la richiesta globale di energia e la struttura del modulo. In questo articolo ci soffermeremo in particolar modo sul sistema che gestisce l’aria all’interno della serra. La struttura finale del modulo serra, sviluppato al termine dello studio, è costituita da un nucleo centrale rigido e da quattro camere gonfiabili chiamati “petali” (nella figura in basso). Due corridoi sono destinati al collegamento tra il modulo e la base lunare. Il nucleo centrale contiene la maggior parte dei componenti necessari al funzionamento della serra (impianti e macchinari), mentre i petali costituiscono la zona di coltivazione delle piante. Per garantire un microclima che sia adeguato alla crescita di ciascun tipo di pianta, le coltivazioni vengono differenziate per petalo. Ogni petalo conterrà quindi una diversa specie di pianta ed avrà caratteristiche specifiche di luce, temperatura, umidità e composizione dell’aria.  Le piante selezionate per la coltivazione sono il grano duro, il grano tenero, la soia, barbabietola e lattuga (queste ultime due possono essere coltivate insieme). Struttura del modulo serra Per quanto riguarda il sistema di gestione dell’aria, esso viene realizzato con i seguenti obiettivi:
  • Controllare la temperatura, la pressione, l’umidità e la composizione dell’aria all’interno di ciascun petalo
  • Riciclare l’acqua che traspira dalle piante attraverso la condensazione del vapore acqueo in eccesso
  • Rimuovere dall’aria i possibili agenti contaminanti di tipo chimico o biologico
I principali componenti che costituiscono il sistema di gestione dell’aria sono: ventole, sterilizzatori con lampade UV, umidificatori, scambiatori di calore, filtri per le particelle solide e per la rimozione di specifici contaminanti chimici, sensori per l’analisi della temperatura, pressione e composizione dell’aria. Particolare attenzione viene dedicata alla caratterizzazione ingegneristica dei componenti, selezionandoli in base alle loro caratteristiche tecniche. Per ciascun componente vengono inoltre considerati gli aspetti legati alla massa (per il trasporto terra-luna), alle dimensioni (per la valutazione dell’ingombro) e al consumo energetico (sostenibilità energetica del modulo). sistema di gestione dell'aria - modulo serra La maggior parte dei componenti selezionati sono posizionati nel nucleo che ha una struttura rigida. I canali per la distribuzione/raccolta dell’aria sono invece posizionati nei petali (nella figura in qui sopra). Durante il funzionamento standard del modulo, l’aria viene completamente ricircolata separatamente per ciascun petalo. L’aria viene trattata all’interno del nucleo dove assume le caratteristiche desiderate (temperatura, pressione, umidità e composizione). In seguito essa va ad alimentare il petalo passando attraverso delle griglie di distribuzione poste sotto il pavimento. Un singolo canale, collocato nella parte alta del petalo, raccoglie l’aria di scarto che viene poi avviata verso il nucleo per essere nuovamente trattata. Per la gestione dei livelli di ossigeno e di anidride carbonica all’interno dei petali vengono definiti due tipi di funzionamento (nella figura in basso):
  • “Nominal mode”. Durante questa modalità (funzionamento standard) ciascun petalo ricircola l’aria e nessuno scambio avviene con la base lunare . In questa fase l’ossigeno prodotto per fotosintesi dalle piante viene accumulato all’interno del petalo. I sensori presenti in ciascun petalo danno un immediato riscontro sulle condizioni climatiche presenti e permettono di raggiungere lo stato desiderato in termini di temperatura, pressione ed umidità.
  • “Breathing mode”. In questa modalità si attiva un collegamento diretto tra l’aria presente nel petalo e quella presente nella base. In questo modo l’aria ricca di ossigeno presente nei petali può fluire verso la base e, viceversa, l’aria carica di anidride carbonica può entrare nel petalo.
funzionamento sistema gestione aria - modulo serra La modalità “Nominal mode” costituisce il funzionamento standard del sistema di gestione dell’aria. L’attivazione occasionale della modalità “Breathing mode” consente di mantenere i livelli di ossigeno e di anidride carbonica in un intervallo di valori prestabiliti e permette di fornire l’ossigeno prodotto dalle piante agli abitanti della base. A conclusione del progetto sono state condotte alcune analisi termo-fluidodinamiche su un modello tridimensionale del petalo per controllare le prestazioni del sistema di distribuzione dell’aria. Queste analisi hanno permesso di calcolare la pressione, la temperatura e l’umidità locali dell’aria all’interno dei petali in condizioni di regime. In questo modo alcune raccomandazioni ed osservazioni sulla struttura del modulo e sui componenti del sistema di distribuzione dell’aria sono state raccolte per un futuro sviluppo progettuale.   L. Buccheri – Engisoft

I sistemi biorigenerativi

16/09/2015

La scelta delle specie

Quale parte della immensa variabilità vegetale porteremo con noi nei sistemi biorigenerativi per viaggi di lunga durata o per le basi sulla Luna o su Marte? Possiamo mangiare migliaia di specie vegetali e centinaia sono usate nell’agricoltura dei diversi climi e paesi del mondo. La biodiversità vegetale è un serbatoio ricco a cui l’uomo ha sempre attinto e a cui dovrà attingere in futuro per una alimentazione sana e sostenibile. Sulla terra, la diversità degli ambienti in cui coltivare i nostri alimenti ci stimola a scegliere le specie più adatte e a diversificare le coltivazioni e i prodotti. La scelta delle specie da coltivare nello spazio, deve combinare molte esigenze e vincoli (nella foto in basso, un piccolo esempio della variabilità del germoplasma orticolo. Credit: Gregorio Sgrigna IBAF–CNR, 2015).

scelta della specie 1

E’ più facile pensare a piante di piccola taglia che ad alberi. La produzione di parti mangiabili deve essere alta rispetto ai residui da riciclare, e i cicli di produzione dovranno essere veloci. Una ciotola di rosse ciliegie farebbe di certo piacere agli astronauti, ma un cestino di fragole si può ottenere in minor tempo e spazio e con meno residui. Dovrà essere agevole riprodurre le specie che si coltivano, senza doverne controllare i sistemi riproduttivi. Le specie scelte dovranno crescere bene in condizioni ambientali facili da riprodurre e mantenere, senza competere fra di loro, per convivere in sistemi multi-colturali. Le piante spaziali dovranno avere fotosintesi e traspirazione efficienti e capaci di acclimatare a variazioni di luce, temperatura e umidità dell’aria. Così, controllando accuratamente l’ambiente di crescita, non otterremo solo cibo, ma anche la fissazione della CO2, la produzione di O2 e di vapore d’acqua, un modo naturale di purificare l’aria e l’acqua usate dagli astronauti. Il cibo dovrà essere facilmente utilizzabile, con minime esigenze di lavorazione, cottura, trasformazione e conservazione, ma sarà utile avere piante ricche di più elementi nutritivi che aiutino ad avere una dieta equilibrata. Negli esperimenti fin qui condotti sono state studiate principalmente le specie che sulla terra forniscono la base energetica all’umanità, come frumento, riso, patata e soia dalle quali avremo carboidrati proteine e grassi.

scelta della specie foto 2Sono state studiate anche specie, come ad esempio insalata, rucola, spinacio e fragole, che ci forniscono altre componenti di una dieta ricca e diversificata, come vitamine, sali minerali, fibre, antiossidanti e molecole nutraceutiche. Il controllo delle condizioni di crescita dovrà sfruttare queste doti delle piante massimizzando la produzione di componenti ad alto valore nutrizionale e nutraceutico dei vegetali. Presso l’Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale del Consiglio Nazionale delle Ricerche in collaborazione con il Dipartimento di scienze e tecnologie per l’Agricoltura, le Foreste, la Natura e l’Energia (DAFNE) dell’Università della Tuscia, svolgiamo da tempo esperimenti sulla risposta di piante orticole all’ambiente spaziale, per ottimizzarne la qualità nutritiva (nella foto a destra l’estrazione in presenza di azoto liquido garantisce il blocco del metabolismo e facilita la triturazione dei tessuti. Credit: Gregorio Sgrigna IBAF–CNR, 2015)

Ottimizzando le condizioni ambientali come temperatura luce e concentrazione di CO2 ad esempio, si possono avere spinaci con aumentata vitamina C. Nello spazio dovremo prevenire l’insorgenza di malattie delle piante, così il cibo vegetale sarà esente da residui di antiparassitari. Con la stessa attenzione dovremo evitare che le piante accumulino fattori anti-nutrizionali, perché si sa, le piante sono buone, ma con l’evoluzione hanno imparato a difendersi dai predatori e possono produrre composti tossici che non vogliamo nel piatto degli astronauti. Infine coltivare dovrà essere divertente e l’orto spaziale dovrà essere bello, rigoglioso, colorato, fornendo così agli astronauti anche motivo di svago e un ambiente gradevole e naturale dove trascorre parte del loro tempo. Gli astronauti verosimilmente non potranno sdraiarsi su un prato per la tintarella, ma possiamo immaginarli seduti a leggere un libro, o magari a passeggiare e colloquiare in un nuovo EDEN ricco di forme colori e profumi per momenti di pausa terrestre.

A cura di Alberto Battistelli – CNR

Il team

Alberto Battistelli, Stefano Moscatello, Simona Proietti, Walter Stefanoni, Guglielmo Santi – Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale – Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBAF –CNR).

Giuseppe Colla – Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura, le Foreste, la Natura e l’Energia (DAFNE) dell’Università della Tuscia.

 

I sistemi biorigenerativi

10/09/2015

I tre alleati per la salute delle ossa

Sei mesi nello spazio, la durata media della permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale per un astronauta, mettono a dura prova la salute delle ossa. La perdita ossea è, infatti, uno degli “effetti indesiderati” delle missioni spaziali. Ovviamente non è la microgravità ma un insieme di altri fattori, tra cui l’invecchiamento e la sedentarietà, a determinare anche qui sulla Terra un progressivo indebolimento delle ossa. È l’effetto di quello che tutti noi conosciamo come osteoporosi. Per preservare quanto più possibile la salute delle ossa e prevenire l’osteoporosi è possibile affidarsi a tre sostanze fondamentali: il calcio, la vitamina D e la vitamina K2. Il calcio è sicuramente il minerale che tutti associano alla salute dell’osso. Infatti, questo minerale, insieme al fosforo, dà forma e struttura allo scheletro. È risaputo come latte e latticini siano ricchi di calcio altamente biodisponibile. Ma va ricordato, in particolare per chi fosse intollerante al lattosio o allergico alla caseina, che anche altri alimenti contengono questo importante minerale come per esempio il pesce azzurro, la frutta secca, gli ortaggi a foglia verde e i sostituti vegetali del latte che sono spesso addizionati con calcio. Il calcio da solo non basta. Per far sì che venga correttamente assorbito e che si depositi sulle ossa, necessita dell’aiuto delle vitamine D e K2. La vitamina D si forma quando la pelle viene esposta ai raggi ultravioletti e per questo è importante trascorrere un po’ di tempo all’aria aperta, soprattutto durante la bella stagione senza ovviamente scottarsi. L’azione positiva della vitamina D sull’assorbimento del calcio è favorita dalla vitamina K2, che si trova in gran quantità negli ortaggi a foglia verde come gli spinaci, la lattuga e le diverse varietà di cavolo ma anche in prodotti animali come l’uovo e le carni. Questa vitamina attiva una proteina detta osteocalcina che permette il deposito del calcio nell’osso. Dr. Filippo Ongaro

Osteoporosi | Una cosa da ragazzi

26/05/2015

Snack sani con oli vegetali e semi oleosi

Gli oli vegetali, ricavati dai frutti o dai semi di molte piante, sono un’ottima alternativa al burro e alla margarina, troppo spesso usati in cucina, perché rispetto a questi sono molto meno impattanti per l’organismo e, se si fa attenzione al punto di fumo, sono certamente anche più salubri. Stefano Polato, impegnato con Argotec nella missione Futura, frutto della stretta collaborazione tra ASI, ESA e Aeronautica Militare, ci ha già spiegato come sia possibile scegliere tra diverse tipologie di olio, in base alle nostre esigenze e ai gusti personali. Al di là dei grassi canonici vegetali o animali, dovremmo prendere maggiormente in considerazione anche i semi oleosi che ben si prestano per la preparazione di snack dolci o salati: «Si tratta di una fonte molto ricca di nutrienti, come per esempio sali minerali, vitamine, fibra e antiossidanti, solo per citarne alcuni. Proprio per questo motivo li abbiamo usati nella preparazione del bonus food di Samantha Cristoforetti. In effetti, nella sua barretta biologica con bacche di Goji, cioccolato e spirulina, sono presenti anche semi di sesamo e di lino. Questi possono essere usati senza ombra di dubbio anche sulla Terra. Si pensi alla produzione del semplicissimo pane: se li aggiungiamo, possiamo dargli gusto e caricarlo da un punto di vista nutrizionale. In questo modo, possiamo conferire al nostro organismo tutti quei micronutrienti che spesso mancano».

I semi oleosi sono perfetti anche per la colazione e per gli altri pasti della giornata. Per questo motivo, dovrebbero essere sempre bene in vista all’interno delle nostre dispense. Non a caso, il responsabile dello Space Food Lab di Argotec è un convinto sostenitore di un loro uso quotidiano, sia sul nostro pianeta sia a bordo della Stazione Spaziale Internazionale: «Per la colazione, se volete iniziare al meglio la giornata, il mio suggerimento è quello di mangiare un po’ di yogurt greco con semi di papavero, ottimi anche negli impasti di prodotti da forno e di pasticceria, insieme a un filo di miele. I semi oleosi sono perfetti anche per dare croccantezza quando prepariamo una vellutata o qualcosa di cremoso: basta aggiungere dei semi di girasole o di zucca tostati per trasformare il vostro piatto. Lo stesso vale per le insalatone, che possono essere facilmente arricchite da questi semi. Personalmente, io utilizzo molto spesso anche i semi di cumino. Questi hanno un aroma intenso, con un retrogusto amarognolo, e mi permettono di insaporire i piatti a base di carne, verdure o legumi. Provateli anche voi».

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/

 

Fai il pieno giusto | Grassi e infiammazione

06/05/2015

A cosa serve l’infiammazione

L’infiammazione è una risposta fisiologica e protettiva dei tessuti (in particolare quelli vascolari) a uno stimolo nocivo. Senza un’adeguata risposta infiammatoria, una ferita anche banale non potrebbe guarire e diventerebbe quindi un rischio mortale. L’infiammazione, come lo stress, è però una risposta d’emergenza: tanto necessaria quanto deleteria se costantemente attiva.

L’infiammazione è costituita da una vera e propria cascata di reazioni biochimiche che coinvolgono in particolare il sistema immunitario: istamina, interleuchina, leucotrieni, trombossani, proteina c reattiva e fibrinogeno sono alcune delle molecole coinvolte che fungono, in alcuni casi, anche da marcatori del processo infiammatorio.

Molte patologie, dall’Alzheimer all’infarto, dal diabete all’artrite, hanno una base infiammatoria comune. Ciò che mangiamo può avere un legame con la propensione dei nostri tessuti ad infiammarsi o meno. Se la nostra dieta sarà ricca di zucchero e grassi vegetali o peggio idrogenati la produzione di molecole infiammatorie sarà accentuata.

Se, al contrario, assumiamo molto pesce azzurro, cereali integrali, verdure e spezie daremo un contributo nelle direzione inversa, cioè di modulazione corretta dei processi infiammatori. Questo ovviamente diventa ancora più importante nei casi in cui una malattia infiammatoria sia già presente. Il contributo dell’alimentazione non è detto che sia curativo ma può dare un aiuto importante nella gestione dei sintomi e dell’evoluzione della patologia stessa.

Dr. Filippo Ongaro

per saperne di piú: filippo-ongaro.it

Grassi e infiammazione | Sfida

23/04/2015

Esperimento PRO K: spazio alle…ossa!

Avete mai sentito parlare del cilindro di O’Neill? Forse sì, se siete appassionati di fantascienza. Si tratta di un progetto per un habitat spaziale molto particolare: due cilindri in contro rotazione, alti  30 km e con un raggio di 3 km, che permettono di creare una forza di gravità simulata dalla forza centrifuga sulla superficie interna. Siamo ancora lontani da un simile scenario, ma questo espediente è stato utilizzato da molti scrittori di fantascienza in passato.

Vista interna in un disegno che mostra come potrebbe apparire un cilindro di O'Neill.

Vista interna in un disegno che mostra come potrebbe apparire un cilindro di O’Neill.

Oggi dobbiamo ancora fare i conti con gli effetti negativi della microgravità, come l’osteoporosi, ma iniziamo ad avere le prime contromisure. L’esperimento Pro K, per esempio, è un’indagine che ha il compito di valutare quali possono essere gli accorgimenti da adottare da un punto di vista alimentare per ridurre la perdita osseadegli astronauti. Pro K propone una dieta con un rapporto ridotto di proteine ​​animali (acide) rispetto alla quantità assunta di potassio (basico). Questo dovrebbe consentire una diminuzione della perdita minerale ossea.

Il meccanismo che riduce la massa ossea nello spazio coinvolge molteplici fattori. Il protocollo dell’esperimento è progettato per valutare l’influenza dei precursori acido e base nella dieta. Il concetto che la dieta possa alterare l’equilibrio acido-base del nostro organismo non è affatto nuovo ed è ormai accertato che una diminuzione del pH del sangue, causata dai prodotti acidi del metabolismo (acidosi metabolica), influisce negativamente sulla massa ossea. Questo fenomeno è stato osservato anche durante le simulazioni a terra tramite il riposo prolungato a letto.

PRO K vuole verificare l’ipotesi che diminuendo rapporto tra i precursori acidi e quelli alcalini (in particolare, come detto, proteine ​​animali rispetto al potassio) nella dieta si possa ridurre la perdita minerale ossea durante il volo spaziale e la successiva fase di recupero una volta rientrati sulla Terra. Il rapporto tra le proteine ​​animali e il potassio presenti nella dieta degli astronauti viene dunque controllato prima, durante e dopo le missioni, in un arco di tempo di 4 giorni. Questo permette ai ricercatori di valutare gli effetti della dieta sulla perdita ossea in orbita e sul suo recupero una volta rientrati nella gravità terrestre.

In caso di successo, lo studio potrebbe portare a miglioramenti nella salute delle ossa durante le missioni di lunga durata (sei o più mesi), tra cui lo sviluppo di una contromisura che è praticamente priva di rischi e non necessita di un carico utile (il cosiddetto payload) supplementare. Tra l’altro, PRO K non incide negativamente nemmeno sul tempo utilizzato dall’equipaggio o su altre risorse importanti.

Per saperne di più: https://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/experiments/721.html

Una curiosità: Nel film Interstellar è proprio un cilindro di O’Neill quello mostrato nelle scene finali.

Proteine e muscoli | Scienza a gravita' zero

04/03/2015

Una dieta equilibrata: il carico acido renale potenziale (PRAL)

Come abbiamo visto dai post precedenti un giusto apporto di proteine è essenziale alla nostra dieta quotidiana, sia che ci troviamo nello spazio sia che viviamo sulla Terra.

Tuttavia, la saggezza popolare ci insegna che “il troppo storpia” e questo vale anche per le proteine che assumiamo quotidianamente.

Le proteine – insieme a calcio, potassio, fosforo e magnesio – fanno parte di un insieme di nutrienti che, se presi in quantità eccessiva, possono influenzare in maniera negativa il carico acido renale. Studi recenti hanno mostrato come una dieta troppo acida possa avere conseguenze sul sistema muscolo-scheletrico e in particolare sulla densità ossea del nostro corpo. Questo vale in particolare per quelle persone che non praticano attività fisica in maniera costante e hanno quindi già una quantità minore di minerali nelle ossa.

Anche per gli astronauti una dieta non equilibrata e troppo acida potrebbe avere gravi conseguenze dato che le loro ossa sono già sotto stress data l’assenza di gravità.

Ma come fare a capire se la nostra dieta è piú acida o piú alcalina?

Proprio per cercare di rispondere a questa domanda e per calcolare il cosiddetto “carico acido renale potenziale” (PRAL) è stato elaborato un algoritmo (da Remer & Manz – J Am Diet Assoc 1995).

Tenendo conto del tasso di assorbimento dei rispettivi nutrienti nel tratto gastrointestinale e nel contempo dei processi metabolici del nostro corpo è stato calcolato che il PRAL equivale a:

PRAL (mEq/d) =             0.49   * protein (g/d)

                                                                              + 0.037 * phosphorus (mg/d)

                                                                               – 0.021  * potassium (mg/d)

                                                                              – 0.026  * magnesium (mg/d)

                                                                              – 0.013  * calcium (mg/d)

E come fare a sapere quanto fosforo o potassio contiene quello che stiamo mangiando? Fortunatamente molto spesso le etichette dei cibi ci aiutano in questo; in caso però non fossero presenti è possibile controllarli in apposite tabelle (come questa ad esempio: instance www.saeure-basen-forum.de/pdf/IPEV-Food_table.pdf).  Per ottenere il PRAL dell’intero pasto è sufficiente sommare i valori dei PRAL dei singoli alimenti.

Martina Heer

Proteine e muscoli | Scienza a gravita' zero

16/02/2015

Uno sguardo al passato per l’alimentazione di oggi

A ben guardare, spesso l’educazione a un’alimentazione che faccia bene alla nostra salute e a quella del pianeta significa anche guardare al passato. A un’epoca in cui, anche per via delle limitate possibilità economiche, si sprecava meno cibo, si sapevano ri-utilizzare gli avanzi, la carne era il piatto dei giorni di festa e non un alimento di consumo quotidiano. Oggi comprendiamo che la dieta dei nostri nonni e bisnonni era per molti versi più corretta, più sana, e che aveva un impatto ambientale più lieve del nostro… Oggi stiamo imparando pian piano a riscoprire tanti alimenti, come ad esempio molti vegetali che possano contribuire a soddisfare il fabbisogno di proteine. Ne parliamo, come sempre, proponendovi un viaggio attraverso alcuni fra i prodotti più interessanti che Slow Food ha raccolto nel proprio lavoro di censimento e di impegno accanto ai produttori.

In Uzbekistan settentrionale, al confine con Kazakistan e Kirghizistan, si trova la valle di Tchatkal, attraversata dall’antica via della seta che collegava l’Asia con l’Europa. Proprio quest’area è il centro di domesticazione di numerose cultivar di mandorle tra cui, senza dubbio, quelle che hanno generato le varietà consumate attualmente in tutto il mondo. Ancora oggi sul territorio del paese si trovano mandorli sia allo stato selvatico sia coltivati. In particolare, il distretto di Bostalynk è uno scrigno di biodiversità, dove la filiale dell’istituto di ricerca Shreder ha identificato finora più di 50 varietà di mandorle dolci e amare, selezionando le varietà migliori a partire da quelle selvatiche. Il dolce locale si chiama khashtak, ed è prodotto con albicocche delle varietà autoctone essiccate e poi private del nocciolo, uvetta, miele e mandorle e/o noci. Le mandorle contengono circa 20 grammi di proteine per 100 grammi di prodotto, e le antiche varietà di mandorle di Bostalynk sono tutelate da un Presidio Slow Food (https://fondazioneslowfood.it/presidi/dettaglio/1465/vecchie-variet-di-mandorle-di-bostanlyk#.VNx0hMb5rTU).

Non ci spostiamo di molto e andiamo in Armenia, dove l’alimento simbolo del paese, nonché il millesimo prodotto a salire a bordo dell’Arca del Gusto è l’albicocca (https://fondazioneslowfood.it/arca/dettaglio/1265/albicocca-shalakh#.VNx5ycb5rTU). Alle pendici del monte Ararat – quello dove si narra si sia incagliata l’Arca di Noè – vengono coltivate numerose varietà di questo frutto, tra cui la shalakh detta anche yerevani i cui frutti sono di grandi dimensioni, di forma ovoidale e pesano tra gli 80 e i 100 g, sono di colore giallo con una sfumatura più scura dove batte il sole. La polpa è tenera, succosa, molto densa, con visibili venature bianche, di consistenza cremosa e può contribuire a soddisfare il fabbisogno proteico – 200 grammi di albicocche disidratate possono dare infatti fino a 5 grammi di proteine. Oltre alla shalakh, che si mangia preferibilmente fresca, nella stessa zona sono coltivate innumerevoli altre varietà, come la novrast krasnyj, la khosrovshay, la tabarza, la karmir nakhidhevani, la bedem-erik, la abutalini, la spitak.

Spostandoci decisamente a occidente, non vi parliamo più di quinoa, ma di un’altra pianta così bella da essere coltivata anche a scopo ornamentale: l’amaranto che, assieme al mais e ai fagioli era il prodotto fondamentale nell’alimentazione dei popoli preispanici, dal Messico al Perù, ma che, a differenza degli altri duedopo la conquista è stato quasi completamente abbandonato. Intorno a quello coltivato a Tehuacán, nello stato di Puebla, Slow Food ha creato un Presidio (https://fondazioneslowfood.it/presidi/dettaglio/653/amaranto-di-tehuac-n#.VNx9AMb5rTU), valutandone anche – visto il suo ricco contenuto di proteine – la fondamentale funzione di bilanciare e arricchire la dieta di molte popolazioni indigene dell’America Latina, basata su mais e fagioli.

Infine è vero, ne abbiamo parlato appena una settimana fa, ma tenete presenti i legumi, di cui si possono trovare in commercio molte tipologie e varietà e che, durante tutto l’anno possono costituire un grandissimo alleato per la nostra dieta (e per il bene del paesaggio rurale).

Silvia Ceriani

Immagine di copertina di Livio Bersano. Per saperne di più: www.fondazioneslowfood.com

www.slowfoodfoundation.com

Fai il pieno giusto | Proteine e muscoli

13/02/2015

Vegetali ricchi di proteine

Il 2013 è stato scelto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite come l’anno internazionale della quinoa per celebrare al meglio i popoli indigeni delle Ande, che hanno avuto il merito di preservare questo cibo così straordinario dal punto di vista nutrizionale. Questo pseudocereale, che ha cioè chicchi commestibili non appartenenti alla famiglia delle graminacee, ma comunque utilizzabili allo stesso modo dei cereali tradizionali, è stato inserito dal team di nutrizionisti e tecnologi alimentari di Argotec all’interno del bonus food di Samantha Cristoforetti, da più di due mesi in orbita grazie alla collaborazione tra ASI, ESA e Aeronautica Militare. Priva di glutine, ricca di fibre e sali minerali, la quinoa è un alimento dal grande valore proteico visto che può fornire circa 14 grammi di proteine ogni 100 grammi di prodotto crudo.

Anche lo chef Stefano Polato è un grande sostenitore della quinoa: «È simile a un cereale nell’aspetto, ma differisce da esso sia per la tipologia vegetale che per il contenuto nutritivo. La quinoa, infatti, contiene tutti gli amminoacidi essenziali per il corretto funzionamento dell’organismo, cioè quello che non siamo in grado di sintetizzare direttamente, ma che dobbiamo assumere con l’alimentazione. Inoltre, presenta un ottimo equilibrio di proteine e carboidrati. In generale, è opportuno ricordare che le proteine non sono contenute unicamente negli alimenti di origine animale, ma anche i vegetali ne sono ricchi. Un buon apporto viene fornito, per esempio, dai legumi e dai cereali integrali, ma vorrei anche parlare della spirulina: è una microalga particolarmente ricca di proteine, che troviamo in commercio in forma granulare, essiccata oppure in polvere. È una grandissima fonte di amminoacidi facilmente assimilabili da parte dell’organismo quindi vale la pena di provarla».

Anche frutta, verdura e ortaggi possono fornire un contenuto proteico di tutto rispetto: «Le verdure, ricche di fibre, vitamine e sali minerali – continua il Responsabile dello Space Food Lab di Argotec – e ci forniscono anche una buona dose di proteine. È il caso, per esempio, degli spinaci e dei cavoli, ma il mio consiglio è quello di mangiare anche i carciofi, i peperoni, gli asparagi, i funghi prataioli e le melanzane. La frutta, fresca o essiccata, può essere consumata insieme alle mandorle o alle noci. Vanno anche bene, in base ai vostri gusti, i pinoli, le arachidi, i pistacchi, gli anacardi e le nocciole perché sono tutti buone fonti di proteine vegetali. Ovviamente non mi sono dimenticato dei legumi, di cui abbiamo parlato nel post precedente: nella nostra dieta sana ed equilibrata non dovrebbero mai mancare fave, lenticchie, fagioli, piselli e ceci».

Antonio Pilello

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/

Immagine di copertina: Quinoa rossa – credits: https://en.wikipedia.org/wiki/File:Red_quinoa.png

Fai il pieno giusto | Proteine e muscoli

12/02/2015

Allenamento e assunzione di proteine

Quando svolgiamo attività fisica i muscoli non hanno bisogno solo di energia e quindi di carboidrati ma anche di proteine che di fatto servono per riparare i danni creati nei muscoli dallo sforzo e renderli più potenti e forti.

Questo è in particolare vero per gli sport cosiddetti di forza o di potenza dove il fattore limitante sono appunto i muscoli piuttosto che il fiato o la capacità di resistenza di cuore e polmoni.

Per questi sport si suggerisce un apporto di proteine pari a 1.5 o anche 2 grammi per chilo di peso corporeo distribuiti nel corso della giornata in particolare da alimenti come pesce, carni magre, uova e legumi.

Negli ultimi anni però molti ricercatori hanno posto l’attenzione sul cosiddetto “timing” dell’assunzione di proteine, ossia sull’effetto che il consumo di proteine ha in diversi momenti della giornata.

In particolare immediatamente dopo uno sforzo fisico si apre una “finestra anabolica” che dura 30-45 minuti in cui i muscoli sono particolarmente affamati di proteine e le assorbono e utilizzano in modo ottimale. L’assunzione di proteine nella fase post-allenamento serve proprio ad innescare la risposta anabolica e cioè a facilitare la crescita e la riparazione dei muscoli utilizzati. In queste situazioni sono sufficienti 20-30 grammi di proteine di alto valore biologico come per esempio quelle fornite da integratori di proteine isolate dal siero del latte. Queste sono prive di lattosio ma ricche di frazioni proteiche importanti non solo per il muscolo ma per la salute in generale. Infatti, alcune ricerche oggi indicano che lattoferrina, lattoglobulina e lattoalbumina contenute nel siero del latte sono potenti modulatori del sistema immunitario e che la loro assunzione regolare può avere effetti preventivi. Le proteine in polvere di questo tipo non sono quindi da vedere come integratori solo per atleti o “palestrati” ma per tutti coloro che utilizzano i muscoli con una certa intensità anche solo per prevenire la perdita di massa e di forza tipica dell’invecchiamento.

Filippo Ongaro

per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Proteine e muscoli | Una cosa da ragazzi

11/02/2015