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L+76-L+79: La partenza di un vicino

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 14/02/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione da 76 a 79 (7–10 febbraio 2015)—È stata una giornata veramente storica qui sulla ISS: l’ultimo Automated Transfer Vehicle [veicolo automatico di trasferimento—N.d.T.] dell’Agenzia Spaziale Europea, ATV-5 George Lemaitre, è appena partito e ora si trova a distanza di sicurezza dalla Stazione, in orario per un rientro distruttivo nell’atmosfera domani: sta portando via tonnellate di rifiuti e oggetti scartati, dandoci così un bel po’ di sollievo sulla ISS in termini di spazio di stivaggio.

Ma avremo tempo di parlare della partenza di ATV e di tutte le operazioni di preparazione in una futura nota del diario, oggi torniamo indietro di qualche giorno e occupiamoci della partenza di un altro veicolo all’inizio di questa settimana: Dragon! Lo scorso week end è stato veramente intenso qui sulla Stazione nel preparare le ultime cose da caricare. Sabato ho completato l’esperimento “Epigenetica”, eseguendo il fissaggio dell’ultima generazione dei nostri vermi C. Elegans per il ritorno sulla Terra. Gli scienziati a terra hanno dato un’occhiata ai sacchetti di coltura attraverso la telecamera e hanno riferito che, a giudicare dal colore, i vermi stavano crescendo bene, quindi ora sulla Terra ci sono auspicabilmente tre generazioni di vermi C. Elegans cresciuti nello spazio.

Il week end è stato anche il momento di reinstallare in Dragon un certo numero di attrezzature per la conservazione a freddo, chiamate Polar [polare—N.d.T.] e Glacier [ghiacciaio—N.d.T.]: questi frigoriferi trasportabili volano su e giù collegati all’alimentazione elettrica di Dragon, ma durante la permanenza vengono in realtà installati sulla Stazione. Spostarli è un’operazione che dipende criticamente dal tempo perché non vogliamo che rimangano senza alimentazione per più di 30 minuti, quindi Terry e io abbiamo lavorato insieme a una coreografia cronometrata che ci ha permesso di operare in parallelo, minimizzando il periodo di mancanza di corrente.

Ultima ma non ultima, nel nostro programma di sabato mattina c’è stata un’attività dell’ultimo minuto: la rimozione di un componente Fan-Pump-Separator [ventola-pompa-separatore—N.d.T.] di una EMU, la tuta per le passeggiate spaziali. Nella nota L+16, L+17 ho parlato del FPS, visto che Butch e io ne abbiamo sostituito uno a dicembre. Sfortunatamente, l’FPS si è guastato in un’altra tuta. Attualmente non abbiamo ricambi a bordo, ma è stato deciso che quello guasto venga rimosso e riportato con Dragon per l’analisi a terra. Farlo la seconda volta non è stato arduo come la prima, considerato che non ne abbiamo montato un altro, ma si è trattato comunque di un compito impegnativo rimuovere tutte le viti non imperdibili difficili da raggiungere e le rondelle! Una volta finito siamo stati felici quando abbiamo potuto passare il componente a Terry, in modo che lo impacchettase adeguatamente per il rientro.

122A8718A proposito di impacchettare, quella è stata la grande attività di lunedì. Nella mattinata si sono svolte ancora delle operazioni di conservazione a freddo, visto che Terry e io abbiamo riempito e caricato sei borse refrigerate con alcuni campioni dai nostri congelatori MELFI. Le borse refrigerate sono come dei refrigeratori portatili con un isolamento molto spesso, in cui i campioni per il ritorno vengono conservati insieme con delle tavolette refrigeranti per mantenerli a bassa temperatura fino a quando possono essere prelevati sulla Terra e rimessi in un vero congelatore. Per ogni borsa refrigerata avevamo dei diagrammi che mostravano esattamente come doveva essere riempita e, in alcuni casi, con che orientamento preciso.

Sfortunatamente, questa è una di quelle cose che funzionano molto meglio con l’aiuto della gravità, perché quassù non c’è nulla che faccia rimanere tutte quelle cose dove le mettete, fino naturalmente a quando la borsa è piena e il coperchio mantiene tutto a posto. Inoltre, come potete immaginare, preparare le borse a freddo è necessariamente un’operazione dell’ultimo minuto: le abbiamo caricate lunedì mattina e lunedì pomeriggio abbiamo chiuso il portello di Dragon. Terry e Butch hanno poi installato i controllori dei motori che agiscono sui bulloni che mantengono Dragon collegato alla ISS mentre io, nel frattempo, sono andata nell’ATV a installare la Break-Up Camera [videocamera per la ripresa della distruzione—N.d.T.], che domani osserverà realmente la distruzione dell’ATV!

Martedì, naturalmente, è stato il giorno del rilascio. Dopo il controllo di tenuta stagna dei portelli completato con successo, per assicurarsi che né Dragon né la ISS avessero perdite una volta separati, Butch e io abbiamo svitato i bulloni, scollegando Dragon da noi, e poi i controllori a terra hanno iniziato a manovrare il braccio robotico per portare Dragon verso la posizione di rilascio.

Nella prima serata, Terry e io eravamo già alla postazione di controllo robotico nella Cupola per eseguire il rilascio e mandare Dragon verso casa. Al momento del rilascio, l’ho liberato e allontanato il braccio a una distanza sicura di circa 4,5 metri. A quel punto, Tery ha inviato il comando Depart [partenza—N.d.T.] e Dragon ha effettuato la sua prima accensione, iniziando una separazione lenta ma chiaramente visibile dalla ISS. Veramente strano vederlo andare via, dopo averlo avuto come nostro vicino qui nel Nodo 2 per diverse settimane. Ma, hei, ne avremo presto un altro!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

15/02/2015

L+74, L+75: Abbiamo rimandato a casa Dragon!

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 11/02/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione 74 e 75 (5–6 febbraio 2015)—Ieri abbiamo rimandato a casa Dragon! Vi racconterò di più nei prossimi giorni ma, per ora, dirò solo questo: ripensando alle scorse settimane dall’arrivo di Dragon, è molto gratificante pensare a tutto il lavoro che abbiamo fatto, dagli esperimenti alle operazioni di carico e scarico, fino ai trasferimenti dell’ultimo minuto di campioni a freddo dai refrigeratori e i congelatori alle borse refrigerate per il ritorno. È anche bello riprendere il fiato oggi, comunque: visto che abbiamo dovuto lavorare sodo per tutto il week end, abbiamo questo mercoledì di riposo. Una bella e gradita sorpresa!

Ma ora torniamo un’altra volta alla settimana scorsa per recuperare parlando del rilascio di qualcosa di molto più piccolo da un braccio robotico un po’ più piccolo: un minuscolo Cubesat, delle dimensioni di 10cm x 10cm x 10cm, è stato rilasciato venerdì dal braccio giapponese. Veramente forte da vedere!

Ci sono state molte attività di preparazione nei giorni precedenti al rilascio, in stretta collaborazione con il Centro di Controllo del JEM di Tsukuba, in Giappone. Come potreste ricordare se seguite questo diario di bordo, il modulo JEM ha un proprio airlock: possiamo aprire il portello interno e fare scorrere una piattaforma nella cabina. La settimana precedente al rilascio, Butch aveva installato su questa piattaforma il sistema di espulsione del satellite con all’interno il Cubesat. Giovedì della settimana scorsa ho depressurizzato l’airlock. Fra l’altro, proprio come il grande airlock per le passeggiate spaziali, l’airlock giapponese ha dei sistemi per recuperare la maggior parte dell’aria e tenerla all’interno del volume della Stazione Spaziale: solo l’ultima quantità d’aria, quando la pressione residua nell’airlock diventa troppo bassa (intorno a 2 psi [circa 0,14 atm—N.d.T.]), deve essere necessariamente dispersa nello spazio. Quando l’airlock ha raggiunto il vuoto, ho aperto il portello esterno verso lo spazio e fatto scorrere fuori la piattaforma con il satellite e il sistema di espulsione. A quel punto, i controllori delle operazioni robotiche di Tsukuba hanno afferrato il sistema di espulsione con il braccio robotico giapponese e, una volta ottenuta una presa sicura, ho ricevuto il GO per liberarlo dalla piattaforma scorrevole, in modo che il braccio ne potesse avere il pieno controllo e muoverlo verso la posizione di rilascio. Il mio compito successivo è stato fare delle foto del rilascio e devo dire che questo mi ha resa un po’ ansiosa: si ha una sola occasione di farlo bene, poi quel satellite vola via rapidamente una volta rilasciato! Non volevo davvero fare pasticci, posso solo immaginare che delusione sarebbe non avere foto per gli studenti che hanno realizzato il Cubesat.

A proposito di studenti, mercoledì ho anche avuto modo di usare l’apparato radioamatoriale per parlare con un gruppo di alunni delle scuole “Locatelli-Oriani” e “Bachelet” nella zona di Milano: grazie delle vostre ottime domande e del vostro duro lavoro per prepararvi!

Venerdì ho passato un bel po’ di tempo nel nostro grande airlock a lavorare alle tute EMU (le tute per le passeggiate spaziali). In particolare, ho lavorato ai circuiti dell’acqua di raffreddamento di entrambe le tute che verranno usate nelle prossime EVA pianificate di Terry e Butch, “purificando” l’acqua con diversi tipi di filtri e aggiungendo dello iodio per il controllo microbico. Poi ho prelevato dei campioni d’acqua che sono stati riportati da Dragon per l’analisi a terra. La purificazione del circuito può essere anche un’opportunità per fare alcuni controlli sulle tute e ricevere telemetria a terra, quindi entrambe le tute erano collegate a un laptop su cui facciamo girare un’applicazione di raccolta di dati.

Hei, venerdì ho anche parlato con il Controllo Missione di Mosca, cosa che non capita molto spesso a noi membri non russi dell’equipaggio. Mentre ci prepariamo al distacco di ATV questo sabato, ho eseguito con Mosca una procedura di controllo del pannello di comando remoto di ATV che avremo predisposto nel Modulo di Servizio russo per quando partirà l’ATV. Dovremo inviare dei comandi all’ATV solo nel caso di una situazione non nominale, quindi sono fiduciosa che non avremo davvero bisogno del pannello di controllo, ma saremo pronti!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS

11/02/2015

L+72, L+73: Il vuoto in una stanza

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 07/02/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione da 72 e 73 (3–4 febbraio 2015)—Oggi è sabato e, wow, questa è stata una settimana intensa! Non ho avuto molto tempo per aggiornarvi sul nostro lavoro e la vita quassù, sfortunatamente. Ma, hei, possiamo sempre recuperare un po’, quindi vediamo cosa è accaduto sulla ISS all’inizio della settimana.

Martedì scorso ho fatto qualcosa che non capita tutti i giorni: ho depressurizzato fino al vuoto una parte della Stazione Spaziale. Non un airlock, quelli in realtà esistono proprio per quello scopo.

Un vestibolo: è il piccolo volume che si crea quando due moduli della ISS vengono collegati insieme. Proprio come se a casa vostra non aveste una porta fra due stanze, ma due, con un piccolo spazio nel mezzo che diventa una piccola “stanza” per conto suo se chiudete entrambe le porte. Sulla ISS chiamiamo “vestibolo” quel piccolo volume fra i portelli. Immaginate di volervi assicurare che entrambi quei portelli non abbiano perdite—il modo migliore di fare questo controllo di tenuta stagna è depressurizzare il vestibolo fra i portelli. Se dell’aria arriva nel vestibolo, alzando la pressione, c’è una perdita nelle guarnizioni del portello. Ecco come si procede: si collega il volume del vestibolo a un punto di accesso al vuoto e si fa uscire all’esterno tutta l’aria; quindi si misura la pressione residua, che sarà molto vicina a zero (nel mio caso era di circa 3 mm Hg), e poi si aspettano 24 ore e si controlla di nuovo la pressione. Naturalmente, non esiste una guarnizione perfettamente a tenuta, si verificherà sempre una certa perdita.

Nel caso del vestibolo, la mia procedura lo definiva un buon controllo di tenuta se l’aumento di pressione nel vestibolo dopo 24 ore fosse stato minore di 5 mm Hg.

Scommetto che a questo punto sarete curiosi… di quali portelli abbiamo controllato la tenuta e perché? Beh, non sono sicura che ne abbiate già sentito parlare, ma presto faremo un po’ di ristrutturazione sulla Stazione Spaziale. È ora di ravvivare un po’ la distribuzione delle stanze! Il nostro modulo PMM, che è attualmente collegato al portello nadir [la direzione verso il basso—N.d.T.] del Nodo 1, verrà riposizionato al portello anteriore del Nodo 3, e il portello nadir del Nodo 1 otterrà un aggiornamento di lusso che lo renderà in grado di ricevere dei veicoli in visita. Quindi abbiamo effettuato il controllo di tenuta del vestibolo fra il PMM e il Nodo 1, per assicurarci che quei portelli non perdano, perché verranno esposti al vuoto quando eseguiremo il riposizionamento più in là quest’anno. Inoltre, poco prima del controllo di tenuta Terry e io abbiamo installato un passante: è qualcosa che permette a un collegamento via cavo di passare attraverso un foro nel guscio a pressione—si collega un cavo da un lato, diciamo all’interno, e poi si collega il proseguimento del cavo all’altro lato del passante, diciamo all’esterno. Il passante viene inserito in un foro e ha delle guarnizioni per assicurarsi che l’aria non esca.

Sarete lieti di sapere che il vestibolo ha superato il controllo di tenuta, quindi entrambi i portelli e il passante appena installato sono in buona forma. Una bella notizia, eh? Fra l’altro, quello che vedete nella foto è il lungo tubo di prolunga che abbiamo usato per collegare il vestibolo al vuoto: doveva estendersi lungo tutto il Laboratorio fino al punto di accesso al vuoto. Forse sono solo io, ma collegare qualcosa al vuoto è decisamente una cosa che impone attenzione: non c’è nulla di particolarmente complicato nell’attrezzatura per depressurizzare il vestibolo, ma l’ho ricontrollata più e più volte prima di aprire la valvola di equalizzazione che ha effettivamente espulso l’atmosfera del vestibolo nello spazio. In realtà, per un momento ho avuto perfino la sensazione che le mie orecchie si stessero stappando, il che sarebbe stato un indizio della diminuzione della pressione in cabina; ma gli indicatori di pressione erano stabili, quindi è stato probabilmente il sibilo dello svuotamento in corso a giocare uno scherzo ai miei timpani.

Mercoledì è stata per me una di quelle giornate del tipo “tenere-la-Stazione-in-forma”. Oltre a smontare l’attrezzatura per il controllo di tenuta, ho lavorato per esempio a un’attività periodica di monitoraggio ambientale che analizza la nostra acqua potabile alla ricerca di coliformi e altre crescite microbiche nei campioni dalle nostre tubazioni dell’acqua potabile dopo 48 ore di incubazione. Fortunatamente, ho potuto riferire che non c’è alcuna colonia batterica sul dispositivo di cattura microbica e nessuna colorazione magenta nel pacchetto di rilevamento dei coliformi, indicando un risultato negativo. È sempre bello avere la conferma che la nostra acqua potabile è sicura!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS

08/02/2015

L+68-L+71: Un altro appuntamento con i nostri vermi spaziali

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 03/02/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione da 68 a 71 (30 gennaio–2 febbraio 2015)—Beh, eccoci qui. Sono già passate dieci settimane: non so cosa accada quassù, ma il tempo sta scorrendo troppo velocemente!

Venerdì ho avuto un altro appuntamento con i vermi spaziali, i C. Elegans, concludendo la settimana con una sessione dell’esperimento Epigenetica: ho separato ancora i vermi appena nati da quelli adulti, come ho scritto in una recente nota del diario, così ora abbiamo la terza generazione in crescita nell’incubatrice, metà degli esemplari in assenza di peso e l’altra metà nella centrifuga a 1G.

Venerdì scorso mi sono anche occupata del sistema di raffreddamento interno di Columbus. Come sapete, utilizziamo l’acqua per rimuovere il calore dagli equipaggiamenti (attraverso delle piastre fredde) e dalla cabina (attraverso il sistema di condizionamento dell’aria), e periodicamente dobbiamo aggiungere all’acqua l’agente antimicrobico OPA per assicurarci di non avere alcuna crescita batterica nelle tubazioni. In realtà, Terry ha fatto la maggior parte del lavoro la settimana scorsa: io venerdì sono stata incaricata solo di prelevare un campione d’acqua dopo che era stato aggiunto l’OPA. L’acqua tornerà sulla Terra e verrà analizzata per verificare se abbiamo effettivamente la concentrazione di OPA desiderata.

122A8224Il sabato mattina dormo generalmente di più—sono una creatura notturna, non una che si alza presto—ma questa volta ero sveglia alle 8 per un appuntamento molto speciale. Ho avuto l’opportunità di parlare attraverso l’apparato radioamatoriale con degli studenti in Italia per un passaggio di circa 10 minuti: gli alunni dell’istituto “G. Bearzi” di Udine (ciao!) e un gruppo molto speciale di giovani uomini e donne da tutto il mondo che stanno iniziando il loro semestre di scambio nelle scuole italiane grazie all’organizzazione non profit Intercultura o, internazionalmente, AFS. Sono stata io stessa una studentessa in uno scambio Intercultura-AFS, frequentando un anno scolastico negli USA, mentre il mio compagno di equipaggio Terry ha trascorso un’estate in Finlandia! E a tutti gli studenti degli scambi che leggeranno queste parole: sono fiera di voi, mi auguro che vi godiate l’avventura, che attraversiate con il sorriso i momenti difficili (arriveranno), e che vi rendiate conto che si tratta di un grande regalo e porta con sé delle responsabilità. E sono molto grata alle famiglie che rendono possibile tutto questo ospitando uno studente in scambio: grazie della vostra generosità, siete forti!

OK—torniamo a questioni più terra terra, per così dire: l’urina. Non è molto affascinante, lo so, ma è stata al centro dei miei pensieri e delle mie azioni per buona parte di lunedì. Con la partenza di ATV-5 prevista a breve, erano in programma un certo numero di trasferimenti di salamoia nei serbatoi per i liquidi di ATV, ora svuotati di acqua potabile. La salamoia, come potreste ricordare, è ciò che rimane dopo avere riciclato l’urina ed è il prodotto finale di scarto. Trasferirla all’ATV soddisfa le nostre necessità di smaltimento, e allo stesso tempo ci aiuta anche con le questioni di massa e centro di massa di cui ho parlato in una nota del diario precedente.

Nella foto, sto sostituendo un serbatoio di riciclaggio pieno di salamoia con uno vuoto. Un grande mostro, non è vero?

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

04/02/2015

L+66, L+67: Cargo in partenza e arrivo allo spazioporto ISS

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 31/01/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione 66 e 67 (28–29 gennaio 2015)—Nell’ultima nota del diario ho detto che in questi giorni la ISS è un laboratorio in piena attività, con molti esperimenti in corso contemporaneamente in diverse discipline. Allo stesso tempo, è anche uno spazioporto dove astronavi piene di scorte vanno e vengono. E in questo momento abbiamo due veicoli, Dragon e ATV, in partenza nel prossimo paio di settimane che devono essere preparati per la partenza e il rientro. Così, per un paio di giorni ho (per lo più) tolto il mio camice da laboratorio virtuale, mi sono rimboccata le maniche e messa in modalità imballaggio-e-caricamento-cargo.

Caricare un veicolo per il rientro nell’atmosfera è un processo delicato: la massa complessiva e come questa massa sia distribuita (e quindi il centro di massa) devono essere noti con grande precisione in modo da calcolare correttamente le accensioni di rientro per la traiettoria di rientro desiderata. Questo è vero in particolare per un veicolo che viene recuperato sulla Terra, come Dragon, ma è estremamente importante anche per ATV-5, perché il veicolo eseguirà uno speciale rientro controllato nelle fasi iniziali per raccogliere dati che aiuteranno a prepararsi alla deorbitazione della Stazione Spaziale (quando arriverà il momento, che non è previsto in tempi brevi). Sono sicura che riuscirete a leggere tutto sul cosiddetto “rientro meno ripido” di ATV-5 sul blog di ATV!

Come probabilmente sapete, ATV si distrugge nell’atmosfera, quindi lo riempiamo di spazzatura: rifiuti, materiali da imballaggio, vecchi vestiti e oggetti scartati. E ci stiamo assicurando di riempirlo al massimo perché, dopo la perdita della missione Orbital-3 al lancio lo scorso ottobre, la logistica a bordo è diventata difficile: abbiamo molta “roba” (un termine spaziale molto tecnico), che ormai non avrebbe dovuto esserci da tempo! Anche per questa ragione, stiamo inoltre mettendo una quantità limitata di rifiuti in Dragon, sebbene questo veicolo venga recuperato intatto a terra (o più specificamente nell’oceano) e quindi il suo lavoro principale sia riportare a casa il cargo di ritorno.

Ma come funziona tutto questo, se la distribuzione di massa deve essere così precisa? Beh, in realtà non lo so bene. C’è qualche miracolo di pianificazione e coordinamento che avviene a terra, e a bordo riceviamo due prodotti: una lista del cargo, che elenca tutte le borse, i loro contenuti, dove prenderle, dove metterle, e istruzioni speciali di imballaggio; e un messaggio di coreografia, che dice in quale ordine eseguire l’imballaggio e, ancora, eventuali istruzioni speciali (per esempio scattare fotografie, riferire un numero di serie, imballare un oggetto in una direzione particolare). Se c’è dello spazio libero nelle borse, lo riempiamo con la gommapiuma di imbottitura con cui le scorte del cargo sono state lanciate e con le cerniere lampo dei vecchi abiti. E poi le borse si adatteranno sperabilmente alle loro aree di stivaggio assegnate—che hanno naturalmente dei codici di posizione, così sappiamo sempre esattamente dove ogni borsa si suppone che vada.

Mercoledì, mentre eravamo impegnati a pianificare, i controllori di volo hanno ruotato la Stazione di 180°—invece di volare con il Nodo 2 in avanti, ci siamo trovati a volare con il Modulo di Servizio russo ad aprire la strada. È stato assolutamente impercettibile per me—in realtà, me ne ero dimenticata. L’avrei notato immediatamente se avessi guardato fuori dalla Cupola, naturalmente, ma non è stato possibile, perché le imposte dovevano rimanere chiuse per tutto il giorno a causa della serie di manovre. Eccovi un nuovo disturbo psicologico: la Sindrome da Astinenza da Cupola!

Quindi, perché abbiamo volato “all’indietro” mercoledì? Beh, dovevamo dirigere i thruster [motori di manovra—N.d.T.] di ATV in avanti, in modo che potessero essere accesi per frenare la Stazione giusto un po’, abbastanza per abbassare l’apogeo (la parte più alta dell’orbita) di un paio di km. Generalmente usiamo ATV per fare il contrario—alzare periodicamente l’orbita, con un cosiddetto reboost—ma questa volta si è reso necessario un “deboost” per aggiustare opportunamente la nostra orbita per il prossimo veicolo Progress in arrivo.

Il deboost è durato circa 4 minuti: ho galleggiato immobile nel Laboratorio americano e mi sono lasciata portare verso l’altro lato del modulo mentre ATV spingeva la Stazione attorno a me. È stato divertante!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS

31/01/2015

L+59-L+65: I nuovi piccoli amici Caenorhabditis Elegans

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 28/01/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione da 59 a 65 (21–27 gennaio 2015)—Tanti esperimenti hanno riempito le mie giornate della settimana scorsa—scusate se non vi aggiornato molto, ma c’è veramente tanto da fare quassù nell’avamposto dell’umanità nello spazio!

Alcuni esperimenti erano vecchie conoscenze, come “Ritmi Circadiani”, e c’erano diversi nuovi arrivi, come “Airway Monitoring” dell’ESA. Ho parlato di quest’ultimo piuttosto estesamente nelle note del mio diario di addestramento, per esempio nella L-129.

Per ora, dopo qualche problema di dentizione con l’attrezzatura (che è piuttosto complessa e in parte utilizzata a bordo per la prima volta), Terry e io abbiamo ottenuto tutti i dati richiesti per la sessione a pressione “normale”: fra qualche settimana eseguiremo la misurazione a pressione ridotta, per la quale ci chiuderemo nell’airlock e abbasseremo la pressione all’interno.

Sapete, non penso che ci siano dei tecnici di laboratorio sul pianeta a cui capiti di lavorare su una varietà così grande di discipline scientifiche come facciamo noi: immagino che tutti i laboratori sulla Terra siano più specializzati e che gli scienziati e i tecnici siano addestrati a compiti specifici delle loro discipline! Noi, d’altronde, non abbiamo competenze avanzate e ampia esperienza in qualcuna delle attività scientifiche che svolgiamo: in qualche caso abbiamo avuto una sessione di addestramento molti mesi fa, in altri facciamo un po’ di addestramento a bordo, per esempio con i video o le slide.

E naturalmente alcuni astronauti hanno una formazione nelle scienze sperimentali, ma non sono la maggioranza: molti di noi si affidano a delle procedure molto dettagliate e, per le operazioni più complesse, all’assistenza in tempo reale da terra dai realizzatori dell’esperimento e/o dei ricercatori. A volte ci parlano solo attraverso i comunicatori incaricati in servizio nei centri di controllo, come l’Eurocom per le attività dell’ESA, mentre qualche volta sono anche abilitati a parlarci direttamente su un canale space-to-ground [dallo spazio a terra—N.d.T.], che in quel caso è riservato solo a loro.

La mia personale formazione scientifica è limitata—quella che si riceve con una laurea ingegneristica—e se avessi scelto un percorso di studi scientifici, invece che ingegneristici, avrei preso fisica, quindi anche in quel caso avrei avuto a malapena l’opportunità di lavorare con colture cellulari ed esperimenti con generazioni multiple sui moscerini della frutta o i vermi. E non sono sicura che sarei stata tagliata per questo come lavoro a tempo pieno—richiede probabilmente più pazienza di quanta ne abbia—ma mi diverto molto a lavorare a questi esperimenti qui sulla ISS!

122A8100Per esempio, lunedì ho lavorato ancora all’esperimento “Epigenetica”. I miei piccoli amici in questo caso non sono moscerini della frutta, ma esemplari di un altro animale usato comunemente nella ricerca come modello di organismi più grandi: un verme lungo un millimetro chiamato Caenorhabditis Elegans, per gli amici C. Elegans. E proprio come per i moscerini della frutta, vogliamo che si riproducano: in totale quattro generazioni cresceranno a bordo e i campioni di ciascuna generazione (adulti e larve) verranno conservati nel congelatore per il ritorno.

Dragon ha portato sù i C. Elegans in siringhe di avviamento e la settimana scorsa li ho iniettati nei sacchetti di coltura per iniziare l’incubazione. Poi lunedì ho estratto i discendenti utilizzando una siringa speciale, dotata di un filtro che non lascia passare i vermi adulti più grandi. Gli adulti della prima generazione sono rimasti nel sacchetto di coltura originale e sono stati congelati, mentre ho inserito i membri della seconda generazione in un altro sacchetto di coltura per lasciarli incubare ulteriormente. Lo scopo dell’esperimento, come suggerisce il nome, è studiare i cambiamenti epigenetici ereditati: questo significa i cambiamenti nell’espressione genica, ma non nel DNA stesso. Mettiamola così: l’ambiente non può cambiare i geni nel DNA, ma può influenzare come i geni vengano espressi, o “attivati”. I vermi si adatteranno all’assenza di peso e questo produrrà delle modifiche alla loro espressione genica, quindi la domanda è: come, e se, saranno ereditati questi cambiamenti dai discendenti?

Affascinante, non è vero?

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

29/01/2015

L+57, L+58: La lunga giornata della fisiologia umana

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 22/01/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione 57 e 58 (19–20 gennaio 2015)—Questa è stata una di quelle settimane in cui gli esperimenti si sono spesso concentrati su di… me.

La fisiologia umana è stata decisamente molto presente nel mio programma scientifico, a cominciare già dal week end, quando ho fatto una raccolta di dati mentre dormivo! In effetti, Dragon mi ha portato uno stravagante guardaroba notturno: una maglietta per l’esperimento Wearable Monitoring che ho dovuto indossare per due notti di seguito per la prima raccolta di dati. Questa maglietta è stata realizzata su misura per me ed è molto aderente, perché integra degli strumenti che devono aderire al corpo: degli elettrodi, per un “classico” elettrocardiogramma, e un accelerometro a tre assi per monitorare la meccanica del cuore, cioè l’apertura e la chiusura delle valvole cardiache. L’ipotesi da verificare è se delle minuscole variazioni nelle funzioni cardiache causino dei micro-risvegli che compromettano la qualità del sonno sulla ISS. Anche se devo dire, naturalmente da un punto di vista puramente soggettivo e non quantitativo, che mi sembra di dormire ottimamente quassù!

La mattina presto di lunedì è arrivato anche il momento della prima sessione di Drain Brain. In realtà, abbiamo già fatto una sessione di ecografia all’inizio della missione, ma per questo specifico gruppo di misurazioni abbiamo dovuto aspettare che l’attrezzatura di ricambio arrivasse su Dragon, in seguito alla perdita della missione Orbital-3. Gli strumenti specifici per Drain Brain comprendono tre pletismografi a estensimetro, che hanno l’aspetto di collari di un materiale estensibile, come potete vedere nella foto. In realtà sono sensori in grado di misurare il flusso sanguigno nelle vene in un modo molto semplice e non invasivo che non dipende dalle abilità e dall’interpretazione dell’operatore, come nel caso dell’ecografia. Indossando questi collari al collo, al braccio e alla gamba, ho eseguito una serie di respirazioni al 70% della capacità dei polmoni rimanendo ferma, oppure distendendo e contraendo la mano o la caviglia. Mentre facevo queste attività, respiravo nel nostro Pulmonary Function System [sistema per la funzione polmonare—N.d.T.] e il software, attraverso un’interfaccia grafica, mi dava istruzioni su quando iniziare a espirare o inspirare. L’obiettivo principale dell’esperimento è studiare come il ritorno del sangue dalla testa al cuore cambi nello spazio, visto che non ci sono gli effetti della gravità ad aiutarlo. È una cosa su cui per ora sappiamo poco, e una migliore comprensione di questi meccanismi circolatori potrebbe forse aiutare a comprendere alcune malattie degenerative del cervello.

 
Samantha Cristoforetti lavora all’esperimento Fruit Fly Lab con i moscerini della frutta.

Samantha Cristoforetti lavora all’esperimento Fruit Fly Lab con i moscerini della frutta.

Dopo Drain Brain, sono passata alla seconda sessione in volo dell’esperimento Cardio Ox, riprendendo immagini ecografiche della carotide e delle arterie brachiali ed effettuando misurazioni Doppler del flusso sanguigno. E per completare la giornata della fisiologia umana, ho anche fatto un’altra raccolta di dati per Skin-B, di cui vi ho già parlato. E visto che molti di questi esperimenti richiedono una corrispondente raccolta di campioni, martedì ho eseguito una raccolta delle urine delle 24 ore e “Terry il Vampiro” (un amico intimo di “Terry Mani di Forbice” il parrucchiere) mi ha prelevato il sangue.

Ma, hei, come sapete, non ci siamo solo noi umani sulla ISS! No, non entusiasmatevi, non sono al corrente di alcun alieno che viva da qualche parte a bordo, né di UFO in volo in missioni di pattugliamento in zona, ma abbiamo naturalmente i nostri amici moscerini della frutta! Ora alcune delle cassette con i moscerini e le larve sono finite nel congelatore, ma ho messo delle altre cassette nella centrifuga e nella posizione statica della loro attrezzatura dedicata e questo progetto multi-generazionale sta continuando. Per alcune delle operazioni di fissazione ho costruito e usato una scatola a guanti usa e getta, come potete vedere nella foto: non sapevo nemmeno che le avessimo a bordo, la Stazione Spaziale è sempre piena di sorprese!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS.

26/01/2015

L+55: La competizione Zero Robotics: siete forti ragazzi!

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 21/01/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorno di missione 55 (17 gennaio 2015)—Lo so, sono un po’ in ritardo con le note del diario, ma abbiate pazienza, voglio riportarvi ancora alla settimana scorsa un’altra volta, perché venerdì scorso abbiamo avuto un evento molto speciale sulla Stazione Spaziale: Butch, Elena e io abbiamo avuto il piacere e l’onore di ospitare nel laboratorio giapponese le finali della competizione Zero Robotics 2014!

Per partecipare a Zero Robotics, gli studenti delle scuole superiori devono scrivere il codice che controllerà un satellite SPHERES—sulla Terra, naturalmente, solo nelle simulazioni, ma per le squadre che arrivano alle finali, il loro codice controlla realmente una delle vere unità SPHERES che abbiamo sulla Stazione Spaziale.

122A7420Le SPHERES determinano la loro posizione nello spazio grazie a cinque riferimenti che disponiamo nel JEM, che quindi definiscono il volume in cui i satelliti possono operare. Dei piccoli thruster [motori di manovra—N.d.T.] permettono alle SPHERES di muoversi e ruotare come necessario. Il gas di lavoro dei thruster è la CO2, che arriva da piccoli serbatoi che possiamo riempire velocemente quando sono vuoti.

All’inizio di ogni partita disponiamo due satelliti in una posizione e un orientamento iniziale predeterminati e poi li lasciamo andare, permettendo che prenda il controllo il codice delle due squadre in gara. Mentre per lo più guardavamo le SPHERES muoversi nella cabina, potevamo anche tenere d’occhio gli schermi dei computer che mostravano l’ambiente virtuale in cui si stavano muovendo i satelliti, che comprendeva un asteroide al centro del volume: il compito dei satelliti era scattare fotografie di un asteroide. Ma questo non era abbastanza: per guadagnare realmente dei punti, dovevamo puntare le loro antenne verso la Terra e trasmettere le immagini, il tutto mentre evitavano dei brillamenti solari rifugiandosi in una zona sicura dietro l’asteroide, o altrimenti rischiare che le loro immagini memorizzate venissero danneggiate, o anche che il satellite venisse (virtualmente) danneggiato se colpito da un brillamento.

[nel video una fase delle finali Zero Robotics—N.d.T.]

[youtube WwdeSu3fCG8 nolink]

Non pensiate che scrivere del buon codice fosse l’unica abilità richiesta: Zero Robotics è anche in buona parte un gioco di strategia ed è stato divertente vedere i diversi stili, alcuni più prudenti, altri più aggressivi.

Anche la gestione del propellente è stata una preoccupazione importante: per ogni partita un satellite aveva una quantità assegnata di CO2, una volta consumata non sarebbe più stato in grado di accendere i thruster. A meno che, cioè, i satelliti iniziassero a muoversi all’esterno del volume consentito, nel qual caso il codice del MIT assumerebbe il controllo e accenderebbe i thruster per riportarli indietro.

Il MIT gestisce SPHERES e la competizione Zero Robotics, e la maggior parte dei finalisti erano riuniti lì a guardare le finali in diretta, mentre la gran parte dei finalisti europei si trovavano presso la sede dell’ESTEC dell’ESA nei Paesi Bassi, fra cui un team venuto fin dalla Russia! E diversi altri finalisti russi erano riuniti a Mosca.

In realtà, dopo le fasi iniziali della competizione l’anno scorso, le squadre dovevano unire le forze in alleanze di tre: credo che tutte le alleanze comprendessero squadre dagli USA e dall’Europa, una cosa che ho trovato fantastica.

Per la cronaca, i campioni di Zero Robotics 2014 sono i LakeElevenVADARS, l’alleanza delle squadre Team Lake (USA), Cora’s Eleven (Italia) e VADARS (USA). Sincere congratulazioni!

E a tutti quelli che hanno partecipato, siamo molto fieri di voi quassù: per il vostro entusiasmo e la dedizione nel prendere parte a un gioco che ha messo alla prova le vostre abilità, il pensiero creativo e la capacità di lavorare in squadra anche attraverso i continenti. Siete forti ragazzi! E per il 2015… GO Zero Robotics!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS

22/01/2015

L+53: Astromoscerini spaziali

Dal Diario di bordo (nota scritta il 18/01/2015):

Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorno di missione 53 (15 gennaio 2015)—Dopo le emozioni non pianificate di mercoledì, giovedì mattina ci siamo svegliati tornando alla relativa normalità. Relativa, perché il circuito di raffreddamento esterno B era ancora spento e depressurizzato: a causa della possibile presenza di bolle di gas dopo gli eventi di mercoledì, la ripressurizzazione era un processo delicato che avrebbe richiesto al controllo a terra diversi giorni per essere eseguito in sicurezza (il circuito B è di nuovo online oggi, domenica, mentre scrivo questa nota).

La ventilazione è stata ripristinata quella mattina, il che significa che il campeggio era finito e avremmo potuto tornare nei nostri alloggi dell’equipaggio, ma il raffreddamento nel Nodo 2 dipende dal circuito B, quindi avrebbe fatto un po’ più caldo per alcune notti (credo che questa cosa non mi abbia dato alcun fastidio).

Non c’era il raffreddamento nemmeno nel Nodo 3, dove si trova il nostro tapis roulant T2, così abbiamo fatto il nostro allenamento cardiovascolare giornaliero nel Laboratorio con CEVIS, la nostra cyclette spaziale. Gli altri moduli avevano il raffreddamento perché era stato possibile farli passare alla modalità “circuito singolo”, che consiste nel collegare i circuiti di raffreddamento interni e fare in modo che respingano il loro carico di calore complessivo attraverso il circuito esterno A, quello non coinvolto negli eventi dei giorni precedenti.

A causa della situazione del circuito B non erano disponibili nemmeno tutti i canali di alimentazione elettrica, causando alcune limitazioni, ma niente di drammatico: in JEM e Columbus, per esempio, avevamo solo metà delle luci in funzione e uno dei due pannelli di comunicazione disponibile. Niente che impedisse le attività scientifiche per riprendere il ritmo, e poco dopo la nostra conferenza di pianificazione del mattino con il controllo a terra Butch, Terry e io stavamo iniziando i nostri rispettivi esperimenti e la Stazione era di nuovo un laboratorio in piena attività!

Samantha Cristoforetti con l'esperimento Fruit Flies Lab. Credit: ESA/NASA

Io sono stata incaricata di preparare il Fruit Flies Lab [laboratorio dei moscerini della frutta—N.d.T.]. Sì, Dragon ha portato un po’ di compagnia vivente sotto forma di circa un centinaio di moscerini della frutta o, per essere formali, Drosophila Melanogaster. In realtà, ormai ne abbiamo probabilmente di più: il punto è osservare diverse generazioni e il breve arco di vita dei moscerini della frutta lo rende possibile. E visto che condividiamo con quei tipetti circa il 77% dei geni noti per essere coinvolti nelle malattie, sono dei modelli animali molto interessanti!

I moscerini sono stati trasportati in delle cassette, che potete vedere nelle foto. Mentre le prendevo una a una dalle imbottiture in gomma piuma nelle loro scatole di trasferimento, era bello vedere che erano vivi e in buona salute: per quanto potessi dire, erano astromoscerini felici nello spazio!

Ogni cassetta di moscerini era abbinata a una speciale piattaforma di ricambio del cibo, con la quale potevo inserire del cibo fresco senza interrompere l’isolamento, e allo stesso tempo estrarre le larve per la conservazione nel nostro congelatore MELFI. Dopo il ricambio del cibo, ho inserito ciascuna cassetta in una posizione specifica in una delle attrezzature Nanorack: come viene generalmente fatto negli esperimenti di scienze della vita, metà delle cassette sono state inserite in una centrifuga per simulare la normale gravità della Terra, mentre l’altra metà è stata sistemata in luogo statico, quindi in assenza di peso.

Inoltre, ogni cartuccia è stata abbinata a una piccola unità con una telecamera che segue il comportamento dei moscerini e fornisce un ciclo artificiale giorno/notte.

È stato un lavoro molto gratificante, non vedo l’ora che arrivi il prossimo ciclo di alimentazione!

Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS

19/01/2015

L+51, L+52: Allarme ammoniaca? Niente panico!

Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (nota scritta il 17/01/2015): Avamposto Spaziale ISS. Orbita Terrestre—Giorni di missione 51 e 52 (13 e 14 gennaio 2015)—Ciao a tutti, ora che le cose sono per lo più tornate alla normalità sulla ISS, è ora di recuperare con le note del diario della settimana. E che settimana è stata! Andando indietro a martedì, siamo entrati in Dragon e abbiamo scaricato tutto il materiale urgente, principalmente tutto quello che doveva essere conservato al freddo. E poi passiamo a mercoledì quando, come potreste avere sentito, abbiamo avuto un bel po’ di agitazione qui a bordo e nei centri di controllo attorno al mondo quando è scattato l’allarme di fuga di ammoniaca. Avevo appena terminato una videoconferenza mensile con i miei dirigenti dell’ESA e stavo per iniziare un ripasso della procedura di installazione dell’esperimento Airway Monitoring [monitoraggio delle vie aeree—N.d.T.] sul laptop del mio alloggio, quando tutti gli altoparlanti lungo l’intera Stazione hanno iniziato a trasmettere l’unico segnale acustico che di sicuro cattura l’attenzione immediata di tutti: il segnale d’emergenza. [nel video le immagini dall’esterno della ISS e le comunicazioni radio fra gli astronauti e i centri di controllo nelle fasi iniziali dell’allarme ammoniaca—N.d.T.]
[youtube mEak3ClIxj8]
Sono uscita dal mio alloggio e ho guardato verso la paratia posteriore del Laboratorio [il modulo Destiny—N.d.T.], il più vicino pannello Caution and Warning [avvertimento e allarme—N.d.T.] su cui ho potuto mettere gli occhi, ed eccolà lì, la terza spia da sinistra era illuminata di rosso: anche senza leggere l’etichetta, so che la terza spia indica la temuta fuga di ammoniaca. Non che accarezzi l’idea di avere un incendio o una depressurizzazione (gli altri due scenari che possono fare scattare un allarme d’emergenza), ma l’ammoniaca, mi viene detto, può uccidere molto rapidamente. Non ero in grado di sentire alcun odore di ammoniaca in cabina, ma non sono certamente rimasta in giro ad annusare molto: ho immediatamente afferrato una maschera a ossigeno, l’ho indossata e mi sono diretta verso il segmento russo insieme con Terry, Butch e Sasha. Elena e Anton erano già nel segmento russo in quel momento. Dopo esserci assicurati che nessuno venisse lasciato indietro, abbiamo chiuso il portello che isola il segmento russo da quello americano della Stazione e iniziato a preparare l’equipaggiamento per le misurazioni dell’ammoniaca e i respiratori per l’ammoniaca. Prima che proceda oltre, se siete interessati a qualche informazione di base (come il perché ci sia un pericolo di fuga di ammoniaca, o perché il segmento russo sia un rifugio sicuro, o quale sia la risposta a una fuga di ammoniaca), potete dare un’occhiata alle mie note del diario di addestramento: L-140 e L-142. Tornando alla nostra storia… pochi minuti dopo che è scattato il segnale, Houston ha chiamato e l’ha dichiarato un falso allarme, così abbiamo interrotto la risposta d’emergenza e siamo tornati nel segmento americano, trovandolo naturalmente insolitamente tranquillo, visto che la risposta automatica del veicolo aveva spento tutte le numerose ventole della Stazione. Perché un falso allarme? Beh, guardando la telemetria dalla Stazione, i controllori di volo non erano inizialmente in grado di trovare nessun segno di conferma che ci fosse effettivamente una fuga di ammoniaca, e tutto indicava invece un malfunzionamento dei computer. Ma quello era solo l’inizio di una lunga giornata per tutti… Mentre inziavamo e rimettere a posto l’equipaggiamento d’emergenza e tornare alla normalità, abbiamo ricevuto dal CAPCOM la chiamata inaspettata: “Fuga di ammoniaca. Eseguire la risposta d’emergenza. Fuga di ammoniaca, eseguire la risposta d’emergenza. Fuga di ammoniaca, eseguire la risposta d’emergenza.” Come abbiamo saputo più tardi, Houston aveva nel frattempo iniziato a vedere nella telemetria alcuni indizi che potevano forse suggerire una vera fuga di ammoniaca in cabina, in particolare un leggero aumento nella pressione della cabina: quantomeno, una fuga reale non poteva più essere esclusa a quel punto. Così abbiamo indossato le nostre maschere e ci siamo rifugiati di nuovo nel segmento russo. Ancora più della prima volta, credo che il pensiero sia effettivamente passato per la mente di tutti mentre chiudevamo il portello: potremmo non riaprirlo più. Abbiamo seguito l’intera procedura di risposta all’ammoniaca e, dopo avere sostituito le maschere a ossigeno con i respiratori con filtri per l’ammoniaca, abbiamo potuto confermare con i tubi di Draeger che l’atmosfera nel segmento russo non era contaminata, quindi era sicura da respirare. Abbiamo tolto i respiratori e poi ci siamo riuniti tutti nel Modulo di Servizio russo, ansiosi di ascoltare quello che Houston aveva da dire sulla sospetta fuga. Abbiamo appreso che, per mitigare la possibile perdita, la pompa del circuito di raffreddamento esterno B era stata spenta e la pressione del circuito ridotta, ma siamo stati lieti di sentire che l’ammoniaca non era stata espulsa dal circuito verso lo spazio: un possibile scenario in una situazione come questa, ma anche un’azione che avrebbe compromesso la Stazione Spaziale per molto tempo. In seguito alla disattivazione del circuito, era partito un orologio termico per molti equipaggiamenti di bordo: se non fossero stati spenti entro un certo periodo, si sarebbero surriscaldati. Quindi i centri di controllo in diverse nazioni erano impegnati nel cercare di eseguire uno speginmento che avrebbe avuto il minore impatto possibile sui sistemi della Stazione e sull’attività scientifica. Penso che capiate il punto: da quel momento in poi il lavoro difficile è toccato ai centri di controllo. Eravamo al sicuro, stavamo bene e con molto poco da fare, tranne aspettare. Sapendo che momento di stress stavano passando i ragazzi e le ragazze a terra, abbiamo cercato di mantenerci in silenzio nelle comunicazioni e non abbiamo più chiesto nessun aggiornamento, aspettando pazientemente che fossero loro a chiamarci, cosa che naturalmente hanno fatto periodicamente. A ogni aggiornamento diventava sempre più chiaro che tutto indicava un falso allarme, ma non eravamo sicuri che ci sarebbe stato permesso di lasciare il segmento russo prima del giorno successivo. In tutto questo tempo i nostri colleghi russi sono stati incredibilmente ospitali. Ci hanno perfino dato tre contenitori di cibo da usare per noi, così non ci saremmo sentiti in imbarazzo nel frugare nei loro contenitori o chiedere per tutto il tempo. Quando è stata ristabilita l’alimentazione elettrica alle prese di corrente ho potuto fare una chiamata veloce alla mia famiglia per informarli che ero OK. Ed Elena mi ha prestato il suo computer con accesso a Internet, così ho potuto scrivere un breve tweet e assicurarmi che tutti sapessero che stavamo bene. Cattura Non sapevamo quali informazioni i media stessero riferendo e temevamo che la gente potesse preoccuparsi per noi. Più tardi, nella prima serata, abbiamo ricevuto istruzioni di riaprire il portello e tornare indietro. Per essere veramente prudenti, abbiamo indossato tutti i nostri respiratori per l’ammoniaca. Houston ci ha indicato di mandare prima avanti due persone per analizzare l’atmosfera e Butch ha deciso che, in qualità di occupanti del seggiolino di destra delle Soyuz, sarebbero stati lui e Terry a farlo. Pochi minuti dopo hanno richiamato dichiarando che le letture erano negative e abbiamo avuto la conferma finale: non c’era stata nessuna perdita di ammoniaca! Barry Wilmore e Terry Virts poco dopo l'ingresso nel segmento USOS della ISS nella serata dell'emergenza del 14 gennaio 2015. Credit: NASA TV Dopo una giornata di attesa, eravamo pronti all’azione: abbiamo recuperato velocemente tutto l’equipaggiamento d’emergenza usato, mettendo a posto quello che sarebbe stato riutilizzato e raccogliendo nella spazzatura quanto doveva essere scartato. Ci siamo consultati con Houston sulle maschere a ossigeno: quante ne erano state usate e come ridisporre al meglio le maschere rimanenti sulla Stazione per assicurarci che fossimo pronti a rispondere a qualsiasi altra emergenza. E abbiamo eseguito alcune azioni che non potrebbero essere compiute a distanza da terra per mettere al sicuro l’equipaggiamento in seguito agli spegnimenti. Alla fine, ci siamo preparati ad andare a dormire: visto che la ventilazione non era stata ristabilita nel Nodo 2, Columbus e JEM, non ci è stato possibile dormire nei nostri alloggi per l’equipaggio e ci siamo dovuti accampare nei moduli di poppa. Ho preparato nel Laboratorio il mio posto per campeggiare: accamparsi in assenza di peso è veramente facile, vi basta attaccare il vostro sacco a pelo a una ringhiera e siete pronti per una buona notte di sonno! Il giorno dopo, eravamo pronti a immergerci nel fitto programma scientifico delle settimane successive, grazie a un veloce lavoro di ripianificazione fatto a terra. Fra l’altro, per quanto spiacevole sia stato questo evento, sotto molti punti di vista siamo stati fortunati: Dragon era pienamente ormeggiato, tutte le cose urgenti da conservare al freddo erano state rimosse, e nessuno di noi stava lavorando a un esperimento che avrebbe subìto danni se rimandato o lasciato incustodito. Questo sarebbe stato il caso, per esempio, dell’esperimento dell’ESA “T-Cell”, che ho eseguito martedì: se l’allarme ammoniaca fosse scattato quel giorno, avremmo perso il lavoro scientifico. Così, alla fine, siamo stati fortunati: deve essere perché, nella Spedizione 42, sappiamo sempre dov’è il nostro asciugamano! Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS

18/01/2015