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Osteoblasti, osteoclasti e salute delle ossa

Le reazioni metaboliche del nostro organismo si possono grossolanamente suddividere in cataboliche e anaboliche. Nelle prime, si verifica una distruzione di tessuti finalizzata a produrre energia. Mentre nelle seconde si usa energia per sintetizzare e riparare i tessuti stessi. Fino ai 30-40 anni di età sulla Terra il nostro corpo vive in una condizione di equilibrio tra catabolismo e anabolismo. Con il passare degli anni iniziano a prevalere le reazioni cataboliche che portano ad una progressiva riduzione della massa muscolare e ossea. Negli astronauti, indipendentemente dall’età, la vita nello spazio stimola il catabolismo accelerando di molto la distruzione del tessuto osseo e muscolare.

In questo video l’ astronauta ESA Andreas Mogensen ci mostra come la salute delle ossa degli astronauti sia studiata anche ben prima della partenza per la Stazione Spaziale:

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Nel caso dell’osso esistono cellule diverse deputate a sintetizzare osso e a riassorbirle, dette rispettivamente osteoblasti e osteoclasti. Sulla Terra, così come nello spazio, una nutrizione corretta e un piano di esercizio fisico completo possono contribuire a stimolare le risposte anaboliche. Va ricordato che l’attività fisica di per sé ha un effetto catabolico sull’organismo e che è tramite il recupero e l’introduzione di alimenti che si attiva la risposta anabolica che porta al miglioramento della prestazione e all’aumento della massa muscolare e ossea.

Esiste, quindi, una sinergia fondamentale tra attività fisica, recupero e nutrizione sia sul piano quantitativo che qualitativo. Per esempio, è fondamentale la tempistica dell’introduzione di alimenti rispetto all’attività fisica. Non assumere alimenti immediatamente dopo lo sforzo non permette di attivare la risposta anabolica e rischia di far diventare l’allenamento controproducente.

Dr. Filippo Ongaro

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Osteoporosi | Una cosa da ragazzi

21/05/2015

Allenamento e assunzione di proteine

Quando svolgiamo attività fisica i muscoli non hanno bisogno solo di energia e quindi di carboidrati ma anche di proteine che di fatto servono per riparare i danni creati nei muscoli dallo sforzo e renderli più potenti e forti.

Questo è in particolare vero per gli sport cosiddetti di forza o di potenza dove il fattore limitante sono appunto i muscoli piuttosto che il fiato o la capacità di resistenza di cuore e polmoni.

Per questi sport si suggerisce un apporto di proteine pari a 1.5 o anche 2 grammi per chilo di peso corporeo distribuiti nel corso della giornata in particolare da alimenti come pesce, carni magre, uova e legumi.

Negli ultimi anni però molti ricercatori hanno posto l’attenzione sul cosiddetto “timing” dell’assunzione di proteine, ossia sull’effetto che il consumo di proteine ha in diversi momenti della giornata.

In particolare immediatamente dopo uno sforzo fisico si apre una “finestra anabolica” che dura 30-45 minuti in cui i muscoli sono particolarmente affamati di proteine e le assorbono e utilizzano in modo ottimale. L’assunzione di proteine nella fase post-allenamento serve proprio ad innescare la risposta anabolica e cioè a facilitare la crescita e la riparazione dei muscoli utilizzati. In queste situazioni sono sufficienti 20-30 grammi di proteine di alto valore biologico come per esempio quelle fornite da integratori di proteine isolate dal siero del latte. Queste sono prive di lattosio ma ricche di frazioni proteiche importanti non solo per il muscolo ma per la salute in generale. Infatti, alcune ricerche oggi indicano che lattoferrina, lattoglobulina e lattoalbumina contenute nel siero del latte sono potenti modulatori del sistema immunitario e che la loro assunzione regolare può avere effetti preventivi. Le proteine in polvere di questo tipo non sono quindi da vedere come integratori solo per atleti o “palestrati” ma per tutti coloro che utilizzano i muscoli con una certa intensità anche solo per prevenire la perdita di massa e di forza tipica dell’invecchiamento.

Filippo Ongaro

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Proteine e muscoli | Una cosa da ragazzi

11/02/2015

La sintesi proteica

Con il termine sintesi proteica si intende il processo biochimico attraverso cui l’informazione genetica contenuta nel DNA viene convertita in proteine che svolgono varie funzioni biologiche nel nostro organismo. Attraverso un processo detto di trascrizione dal DNA si forma un filamento di RNA messaggero che serve da stampo per la produzione di una specifica proteina.

La sintesi proteica è parte di una serie complessa di reazioni metaboliche che, consumando energia, formano molecole complesse a partire da quelle più semplici. Lo scopo è in particolare quello di riparare e ricostruire i tessuti danneggiati. Al contrario le reazioni che degradano molecole complesse liberando energia vengono dette cataboliche.

Il metabolismo è caratterizzato da un continuo susseguirsi di reazioni anaboliche e cataboliche che varia a secondo delle fasi della vita, degli stimoli nutrizionali e ambientali come per esempio la quantità e la tipologia di attività fisica.

Perché la sintesi proteica avvenga in maniera ordinata e regolare è necessario fornire all’organismo un quantitativo sufficiente di materia prima, cioè di proteine alimentari che daranno gli aminoacidi necessari a formare a loro volta le proteine con azione biologica nell’organismo. Questa quantità varia a secondo del livello di attività fisica e va da un minimo di 0.8 grammi per chilo corporeo per una persona sedentaria fino anche a 1.5-2 grammi per gli atleti di sport di forza e potenza. Inoltre le reazioni anaboliche sono regolate da una serie di ormoni tra cui l’insulina, l’ormone della crescita e il testosterone, anche essi influenzati dall’assunzione di cibo, dalla tipologia di attività fisica e soprattutto dal rapporto tra attività e recupero.

In situazioni come la permanenza a lungo termine in orbita, è fondamentale continuare a stimolare la sintesi proteica per ridurre al minimo le reazioni cataboliche a carico del muscolo e delle ossa. Questo si ottiene attraverso un’alimentazione bilanciata che assicura una quantità corretta di proteine e un programma di allenamento giornaliero che prevede un intenso uso dei muscoli con particolari attrezzi che simulano l’allenamento con i pesi, logicamente impossibile in orbita.

Dr. Filippo Ongaro

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Proteine e muscoli | Una cosa da ragazzi

27/01/2015

Come la preparazione del cibo influenza l’indice glicemico

Ogni volta che ci mettiamo ai fornelli siamo di fronte a un bivio: possiamo farci del bene oppure rischiare, seppur inconsapevolmente, di produrre dei danni al nostro organismo. Purtroppo, infatti, alcune tecniche di cottura tendono ad alterare in modo negativo il cibo che assumiamo. Tuttavia, anche in cucina esistono degli accorgimenti per poter arginare i rischi, specialmente quando si parla di indice glicemico. Questo valore rappresenta la capacità degli alimenti assunti di innalzare la glicemia, che quantifica il glucosio presente nel sangue, ed è molto importante tenerne conto nella propria dieta. polato 2Anche Stefano Polato, il responsabile dello Space Food Lab di Argotec, ne è consapevole: «Partire da una scelta oculata degli ingredienti è sempre buona norma. La fibra, per esempio, rallenta il tempo di assorbimento degli zuccheri assunti. Da questo concetto si può comprendere che l’indice glicemico sarà maggiore in un cereale raffinato anziché nell’analogo in versione integrale. Bisogna aggiungere, inoltre, che i metodi di cottura modificano ulteriormente l’indice glicemico finale del piatto. Da questo punto di vista, una cottura al dente della pasta (5-6 minuti) consente di conservare questo parametro al livello più basso, mentre una cottura prolungata, sino a 15-20 minuti, ne provoca un innalzamento a causa della gelatinizzazione dell’amido accelerata».

Temperatura e tempo di cottura sono, in base a quanto detto finora, fattori determinanti per il controllo dell’indice glicemico, che aumenta in modo proporzionale rispetto a questi due parametri. Questo è uno dei motivi per cui la cottura a vapore, come altre tecniche altrettanto delicate, è da preferire rispetto ai metodi più invasivi e aggressivi. Argotec ha tenuto conto di tutto questo anche nel menu di Samantha Cristoforetti, la cui missione Futura, lo ricordiamo, nasce da un accordo tra ASI, ESA e Aeronautica Militare. «Si pensi, per esempio, alla termostabilizzazione – continua lo chef – che ci ha permesso di portare in orbita prodotti con proprietà organolettiche pressoché inalterate sino a due anni e mezzo dalla produzione. Temperatura e tempo sono stati due parametri importantissimi, la cui ottimizzazione ha richiesto molti mesi di studio da parte del nostro team di nutrizionisti e tecnologici alimentari. A questi valori, aggiungerei anche la scelta della pressione adeguata. La loro giusta combinazione ci consente di conservare al meglio colore, gusto e consistenza degli alimenti. In questo modo, abbiamo offerto a Samantha un bonus food di alta qualità anche fuori dai confini terrestri».

 Antonio Pilello

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

16/01/2015

Conoscere l’indice e il carico glicemico

Quando si analizza l’effetto dei carboidrati non ci si deve fermare solo alle calorie che apportano. I cereali integrali, la frutta e la verdura sono ricchi di fibra e di fitonutrienti in grado di modulare l’espressione dei nostri geni e quindi di aiutarci a rimanere sani. Inoltre, possiedono un basso indice glicemico, vale a dire una scarsa capacità di innalzare la glicemia e di stimolare la produzione di insulina. Possiamo dunque dire che i carboidrati buoni hanno un elevato indice di fitonutrienti e un basso indice glicemico. Questo è molto importante perché sono proprio i fitonutrienti i principali messaggeri che veicolano le informazioni contenute nel cibo all’interno delle nostre cellule e che, regolando l’espressione genica, determinano la nostra salute. Per questo una dieta corretta dovrebbe prevedere una netta prevalenza di cibi vegetali e integrali.

Quando i carboidrati vengono processati, la quasi totalità dei principi attivi e dei fitonutrienti che contengono viene eliminata. Pasta bianca, pane bianco, riso bianco, crackers, cereali da colazione, fette biscottate sono ricchi di calorie, hanno un elevato indice glicemico ma apportano scarse quantità di fitonutrienti. La ricerca scientifica ha dimostrato che non solo gli zuccheri ma anche i cereali raffinati possono nel tempo causare una sovrapproduzione di insulina che porta a una condizione simile alla saturazione: le cellule diventano insensibili a questo ormone e, di conseguenza, più zucchero rimane in circolo.

Con indice glicemico si intende la velocità con cui i carboidrati presenti in uno specifico alimento innalzano la glicemia. L’indice glicemico non tiene però conto della quantità di carboidrati realmente presenti nell’alimento stesso. Questo può portare a degli errori interpretativi. Per esempio le carote bollite hanno un indice glicemico elevato ma la quantità di carboidrati in esse contenuta è minima e quindi per avere un reale effetto sulla glicemia sarebbe necessario assumerne una dose molto elevata. Per questo è utile considerare anche il carico glicemico, parametro che tiene in considerazione la reale quantità di carboidrati presenti nel cibo preso in esame. Un pasto sano dovrebbe essere sempre a basso carico glicemico. La presenza abituale nella nostra dieta di elevate quantità di carboidrati bianchi e zuccheri e la scarsità di fibra fanno sì che la maggior parte di noi mangi pasti a elevato carico glicemico. Aumentare l’assunzione di verdura e preferire i cereali integrali alle versioni raffinate può aiutarci a ridurre il rischio di insulino-resistenza,  a controllare l’appetito, a perdere peso e a tenere sotto controllo il colesterolo

Dr. Filippo Ongaro

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

13/01/2015

La amara verità sullo zucchero

Se una volta si sosteneva che cervello e i muscoli hanno bisogno di zuccheri oggi, secondo alcuni autori, lo zucchero può avere conseguenze deleterie sul metabolismo e può favorire la tendenza ad aumentare di peso.

Le nostre cellule hanno senza dubbio bisogno di zucchero ma non serve fornirlo dall’esterno perché l’organismo è capace di produrlo nelle quantità giuste a partire da alimenti più complessi.

Negli ultimi anni, soprattutto nei paesi occidentali, il consumo di zucchero è aumentato molto e, visto il parallelo calo nel consumo di grassi, c’è da pensare che lo zucchero sia almeno in parte responsabile del continuo aumento di persone sovrappeso. La sedentarietà sempre più diffusa, un eccesso di calorie rispetto ai consumi e una percentuale elevata di esse provenienti da zuccheri hanno favorito il diffondersi dell’insulino-resistenza, una condizione per cui le cellule diventano insensibili all’insulina stessa. In pratica, per riportare in un range normale la glicemia sollecitata dallo zucchero assunto in eccesso, il pancreas è costretto a produrre maggiori quantità di insulina. Nel tempo l’insulina in eccesso satura il meccanismo con serie conseguenze per la salute, tra cui il diabete, l’obesità, l’ipercolesterolemia e l’ipertensione. La resistenza insulinica, oggi molto comune, deriva quindi dall’associazione di sedentarietà e consumo eccessivo di zuccheri ed è legata a molte condizioni patologiche.

Secondo alcuni ricercatori, particolarmente dannosi sono gli zuccheri liquidi, sia quelli introdotti nella preparazione industriale degli alimenti che quelli assunti tramite l’uso di bevande zuccherate. Questi, infatti, saziano pochissimo e tendono per questo ad alterare l’appetito incidendo sulla complessiva assunzione di cibo. Le indicazioni ufficiali suggeriscono di riservare agli zuccheri non più del 10-15% dell’apporto calorico giornaliero (corrispondenti, per una dieta media di 2100 calorie, a 56-84 grammi). Particolare attenzione va fatta ovviamente nei casi di diabete ma in generale forse conviene considerare gli zuccheri più come uno sfizio da concedersi di tanto in tanto che come una necessità quotidiana.

Dr. Filippo Ongaro

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

22/12/2014

Combattere la sindrome metabolica? Si può fare!

La sindrome metabolica è una condizione clinica che colpisce un numero elevato di persone a livello mondiale e a un’età media che diventa sempre più bassa. Può essere definita come una sorta di “anticamera” di patologie cardiovascolari e metaboliche. Si riconosce se si manifestano contemporaneamente almeno tre di questi segnali: ipertensione, valori alti di trigliceridi, glicemia, colesterolo e obesità addominale. Quest’ultimo fattore è quello più indicativo della sindrome metabolica perché un eccesso di grasso corporeo concentrato sull’addome è legato ad uno scorretto metabolismo dei grassi e degli zuccheri e  ad una conseguente elevata concentrazione di insulina nel sangue. In pratica, per assorbire l’eccessiva quantità di glucosio presente nel sangue, il pancreas deve incrementare la sua produzione di insulina; così facendo, però, a lungo andare, il meccanismo di regolazione si altera aprendo le porte al diabete.

Una sana alimentazione e una regolare attività fisica sono gli elementi chiave per curare e prevenire la sindrome metabolica. E’ buona norma eliminare il consumo di carboidrati raffinati per evitare picchi della glicemia e preferire i carboidrati ricchi di fibre dei cereali integrali, della frutta e della verdura. Nell’alimentazione anti-sindrome metabolica, poi, non devono mancare nemmeno i legumi, il pesce, la frutta secca e i grassi “buoni” dell’olio extravergine di oliva.

Per quanto riguarda l’attività fisica, invece, non bisogna dimenticare l’importanza di sviluppare la forza muscolare, per esempio attraverso esercizi con dei pesi, aspetto spesso trascurato ma che migliora molto il meccanismo di regolazione della glicemia e la produzione di insulina.

Dr. Filippo Ongaro

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

08/12/2014

Perché ingrassiamo?

Sul perché così tante persone tendono ad ingrassare sono stati scritti fiumi di parole e pubblicati migliaia di studi. La risposta di base è piuttosto semplice: mangiamo molto di più di ciò che consumiamo e quindi accumuliamo il surplus energetico sotto forma di grasso. Ma per comprendere meglio il problema occorre andare indietro nel tempo e capire come l’ambiente in cui viviamo influisca sulla nostra salute in modo più determinante di ciò che appare ad uno sguardo superficiale. Gli scienziati concordano nell’affermare che il nostro DNA non è cambiato negli ultimi 150.000 anni, un tempo brevissimo in termini evolutivi ma assolutamente sufficiente ad aver permesso una radicale trasformazione del nostro stile di vita.

Gli esseri umani sono biologicamente adatti ad un mondo di scarsità, un mondo in cui il cibo era poco e difficile da ottenere, in cui il lavoro fisico  e la fatica dominavano la vita di tutti. In un contesto di questo tipo essere predisposti ad ingrassare rappresentava un enorme vantaggio in quanto dava qualche chance in più di sopravvivere.

Nel corso della civilizzazione la bilancia tra entrate e consumi si è lentamente spostata a favore delle entrate grazie a tecnologie più raffinate, ad una maggior reperibilità degli alimenti e a lavori meno fisici e più intellettuali. Ma è solo negli ultimi cento anni che questo rapporto si è sbilanciato drasticamente con conseguenze evidenti a tutti.

Nelle ultime decadi sono cambiati anche i nostri alimenti, tendenzialmente più raffinati e poveri di fibra, arricchiti di zucchero, grassi e altre sostanze che possono contribuire a creare risposte ormonali e metaboliche anomale che potenziano l’effetto del bilancio calorico alterato. Questi alimenti provocano inoltre una risposta di piacere molto più intensa di quella indotta dai cibi forniti dalla natura e la ricerca di appagamento che ne consegue rende molto difficile regolare le quantità di cibo introdotto solo sulla base delle necessità fisiche e metaboliche.

Oggi sono le emozioni legate al cibo a prevalere su tutto il resto e se aggiungiamo a questo il fatto che la sedentarietà è ormai il modo di vivere naturale della maggior parte di noi, si capisce perché un problema apparentemente semplice è in realtà così difficile da risolvere.

Dr. Filippo Ongaro

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Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

02/12/2014

Macronutrienti e calorie

Gli alimenti sono costituiti da un insieme di sostanze che hanno funzioni diverse all’interno del nostro organismo e che vengono genericamente definiti nutrienti. Questi a loro volta si suddividono in macro e micro-nutrienti a seconda della quantità necessaria ad un corretto funzionamento del nostro organismo.

Carboidrati, proteine e grassi sono macronutrienti mentre vitamine e minerali sono micronutrienti.

I macronutrienti sono le sostanze di cui il corpo ha un grande bisogno perché apportano energia e materia prima per la costruzione e riparazione dei tessuti. I micronutrienti, invece, sono necessari in piccole quantità perché hanno principalmente funzioni di regolazione. Come mai si parla di calorie e cosa sono?

La caloria alimentare è, l’energia necessaria per innalzare di 1°C la temperatura di un kg di acqua distillata ed è in pratica un indicatore dell’apporto energetico di un alimento. Nella classica piramide alimentare adottata anche nel nostro Paese si consiglia di assumere circa il 60% delle calorie giornaliere da carboidrati di cui almeno tre quarti da carboidrati complessi, circa il 20-25% da grassi e il rimanente dalle proteine.

A queste indicazioni possiamo aggiungerne altre più specifiche. In primo luogo, una buona parte dei carboidrati può arrivare  da frutta e verdura invece  che da pane, pasta, pizza o patate.

Quando poi si sceglie di usare dei cereali, meglio se si assumono quelli integrali ricchi di fibra.

I grassi che devono essere più presenti sono per esempio quelli monoinsaturi dell’olio d’oliva extravergine e quelli polinsaturi del pesce azzurro, rispetto invece a quelli saturi di carne rossa e formaggi. Per lo stesso motivo, nello scegliere le proteine scegliamo più spesso quelle magre e con grassi sani come quelle del pesce, oppure quelle vegetali fornite dai legumi.

E poi non dimentichiamo l’acqua, l’elemento vitale per eccellenza che forma circa il 60% del nostro corpo e senza la quale l’intera macchina metabolica sarebbe destinata a fermarsi.

Dr. Filippo Ongaro

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Metabolismo ed energia | Una cosa da ragazzi

26/11/2014

Non tutte le calorie sono uguali

Quanti, leggendo sulla confezione di un alimento, cercano subito quante calorie contiene trascurando tutte le informazioni sulla quantità di proteine, zuccheri e grasse e sulla tipologia di ingredienti? Quante volte si associa l’idea di sana alimentazione al semplice mangiare meno? Sembra che il nostro rapporto con il cibo si basi quasi esclusivamente sulle calorie, non considerando quindi tante altre importanti informazioni che sono presenti in ogni alimento.

Su questo tema, un diverso punto di vista è offerto dalla nutrigenomica ogni  alimento non è un semplice insieme di calorie ma un veicolo di informazioni che entrano nell’organismo e agiscono sui processi cellulari, l’espressione genica e la funzionalità metabolica.

Secondo la nutrigenomica, quindi, bisogna considerare non solo la quantità di calorie ma anche la loro qualità. Per capire questo concetto basti pensare alla frutta secca: i dolciumi sono ad esempio molto ricchi di calorie ma come qualitá non possono essere certo paragonate a quelle provenienti ad esempio da mandorle, nocciole e noci..Se attraverso la frutta secca nutriamo l’organismo con sali minerali, grassi sani e antiossidanti, con caramelle e merendine forniamo al corpo solo zuccheri.

Diversi studi indicano come un’alimentazione sana non dipenda solo dalle quantità di calorie ingerite ma  anche dalla qualità dei cibi e dal corretto bilanciamento tra macro e micronutrienti, cioè tra proteine, carboidrati e grassi oltre che vitamine, sali minerali e fibre.

Le calorie quindi contano ma sono solo uno dei molteplici fattori da considerare per capire come il cibo influisce sulla salute del nostro organismo.

Dr. Filippo Ongaro

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25/11/2014