Archivio mensile: October 2014

Domande dalla Terra: e se un astronauta sta male?

Ciao Samantha, insegno matematica e fisica in un liceo linguistico. Ho parlato di te e della tua prossima partenza in una mia classe, gli ho fatto vedere una tua intervista nonché il sito Avamposto42. I ragazzi hanno mostrato molto interesse e hanno fatto un sacco di domande, alcune un po’ bizzarre… (perdonali, hanno 17 anni…): cosa succede se ti ammali in quei 6 mesi? Come si fa a starnutire con la tuta spaziale? Gli ho promesso che ti avrei scritto…. 

Ciao, Silvia

Cara Silvia,

Innanzitutto ogni astronauta e’ seguito prima, durante e dopo la missione da un team medico per assicurarsi che la sua salute sia sempre al meglio.

Prima della partenza l’equipaggio vive, per precauzione, le ultime due settimane prima della partenza in quarantena in un’area apposita a Bajkonour, in Kazakistan (dove si trova anche il sito di lancio della Soyuz). Le visite sono ridotte al minimo necessario e ogni persona, dal personale ai familiari, e’ sottoposta a controlli medici prima di ottenere il permesso di entrare nella zona riservata. Anche un banale raffreddore potrebbe essere un problema…quindi la prudenza non e’ mai troppa!

Sia che un astronauta sia l’ufficiale medico dell’equipaggio, e abbia quindi una preparazione più approfondita nelle cure mediche, sia che non lo sia tutti sono addestrati a fornire aiuto ai propri compagni e intervenire in caso di necessita’, come ha raccontato Samantha Cristoforetti nel suo Diario di Bordo. Esiste poi a bordo una buona farmacia e una serie di strumenti che permettono di fare ” telemedicina” con il medico della missione che è a terra. Ovviamente se la situazione è talmente grave da richiederlo, si deve interrompere la missione e rientrare; una cosa del genere non è però per fortuna mai accaduta soprattutto perché  tutti gli astronauti sono tenuti talmente sotto controllo che è difficile che sfugga qualcosa prima del volo. 

L’equipaggio di Avamposto42


Per quanto riguarda l’Expedition42 di cui fa parte Samantha Cristoforetti, sia lei sia Terry Virts sono addestrati come ufficiali medici, come ha raccontato in questo diario di bordo.

Nella foto di copertina alcuni astronauti sulla ISS si allenano ad eseguire la CPR, ovvero la manovra di rianimazione cardiopolmonare.

Domande dalla Terra

30/10/2014

Il programma Shuttle

Riprendiamo il racconto sulla storia del cibo spaziale con quello dello Space Shuttle, utilizzato dalla NASA dal 1981 al 2011. Lo Space Transportation System (STS), questo il suo nome ufficiale, era una navetta spaziale riutilizzabile in grado di raggiungere un’orbita di oltre 600 km. In totale sono stati costruiti cinque orbiter, impiegati nell’arco di 135 missioni, ma purtroppo due di questi sono andati distrutti nei terribili incidenti del Challenger (1986) e del Columbia (2003).

La patch del programma Space Shuttle. Credits: NASA

La patch del programma Space Shuttle. Credits: NASA

Di questi Shuttle fu l’Atlantis a portare in orbita Franco Malerba, il primo astronauta italiano che ha volato con la missione STS-46. Fu grazie alla partecipazione dell’Agenzia Spaziale Italiana alla costruzione della Stazione Spaziale Internazionale, costruita proprio durante le missioni Shuttle, che altri cinque italiani hanno potuto volare nello spazio; Samantha Cristoforetti, con la sua missione Futura in collaborazione con ESA, ASI e l’Aeronautica Militare sarà la sesta dopo la sua partenza il 23 novembre.

Progettata per missioni di breve durata, circa due settimane, la navetta non aveva lo spazio e nemmeno la potenza per poter ospitare frigoriferi o congelatori, quindi la NASA concentrò i propri sforzi sullo sviluppo di un sistema alimentare a lunga conservazione senza catena del freddo. Avendo spazio a disposizione venne sviluppato un nuovo vassoio in sostituzione del tavolo da pranzo utilizzato sullo Skylab. L’imballaggio fu perfezionato, passando dai pacchetti rigidi ad altri più flessibili, simili a quelli utilizzati ai giorni nostri.

Nel programma Shuttle, sono stati utilizzati molti prodotti alimentari disponibili in commercio: biscotti, cracker, frutta secca e bevande in polvere. Altri, come per esempio le verdure, sono stati trasformati in prodotti liofilizzati per lo spazio. L’uso di articoli commerciali ha ridotto i costi e permesso all’equipaggio di mangiare prodotti più familiari. Tuttavia, la maggior parte di questi aveva più grassi e sodio di quanto raccomandato per gli astronauti.

I cibi e le bevande liofilizzate erano presenti in gran numero nel menu Shuttle perché l’uso di celle a combustibile per creare elettricità produceva una quantità significativa di acqua come un sottoprodotto di questo processo. Questo non avviene più sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove i pannelli solari forniscono elettricità, ma l’acqua deve essere trasportata in orbita oppure riciclata tramite il Potable Water Dispenser. Tra l’altro, rispetto a quello liofilizzato, il cibo termostabilizzato ha il vantaggio di mantenere pressoché intatta la consistenza e il gusto del cibo. Questo è proprio uno dei motivi per cui Argotec e Stefano Polato hanno preferito questa tecnica di conservazione.

Un esempio del cibo spaziale a disposizione sullo Space Shuttle. Credits: NASA

Un esempio del cibo spaziale a disposizione sullo Space Shuttle.
Credits: NASA

Il menu Shuttle ha permesso agli astronauti di avere più scelta rispetto ai decenni precedenti, dando loro la possibilità di comporre un menu personalizzato selezionando tra numerosi prodotti disponibili. Purtroppo, i loro menu avevano in generale più sodio e ferro di quanto richiesto, probabilmente a causa dell’impiego di numerose confezioni commerciali, spesso arricchite con sale per migliorarne il sapore e facilitarne la conservazione.

Il sistema alimentare dello Shuttle è stato certamente un passo in avanti per l’equipaggio, che poteva anche disporre di acqua fredda o calda per la reidratazione insieme a un sistema di riscaldamento degli alimenti più affidabile. Tuttavia, il consumo medio effettivo di cibo durante le missioni Shuttle è stato spesso inadeguato, probabilmente a causa del sistema alimentare stesso, oltre che ai pesanti carichi di lavoro tipici delle missioni di breve durata dove c’è anche il problema dell’adattamento alla microgravità nei primi giorni in orbita.

Antonio Pilello

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/index.php/spacefood

L’immagine in copertina in questo post e’ stata scattata il 14 Aprile 1981 all’atterraggio dello Space Shuttle Colombia, dopo aver concluso la prima missione del programma Shuttle (STS-1).

Storia del cibo spaziale

30/10/2014

Chiedilo a Samantha: pensarsi a gravità zero, cosa cambia?

Il video è stato effettuato in occasione del progetto di Formazione a distanza per l’Educazione Continua in Medicina dal titolo “La comunicazione e la relazione nelle professioni sanitarie. Tecniche di counseling e di Programmazione Neuro Linguistica” realizzato per Nutrimedifor dai dott.ri Giuseppina Menduno, Maria Luisa Pasquarella e Marco Rufolo, docenti ed organizzatori.

Il Capitano dell’Aeronautica Militare Samantha Cristoforetti, astronauta ESA in missione per l’Agenzia Spaziale Italiana con Futura da fine Novembre 2014, ha risposto alla seguente domanda: “L’astronauta ha l’esigenza di poter contare su un corpo in piena forma e in salute, per sostenere la leggerezza del proprio corpo, del corpo senza peso. Quali considerazioni puoi fare, sia concettuali che in termini di sensazioni fisiche ed emotive, in particolare rispetto al connubio pesantezza-leggerezza, rispetto all’ascolto di se stessi e del proprio corpo nella prospettiva di vivere sei mesi nello spazio?”

[youtube hUf2OSr2Zh4 nolink]

Avete qualche curiosità che vorreste chiedere a Samantha?

Potete mandarci tutte le vostre domande attraverso il nostro sito, su Twitter con l’ hashtag #ChiediloaSamantha o su Facebook.

L’ immagine in copertina è stata scattata durante l’ addestramento di Samantha Cristoforetti in una simulazione di chiamata con il Centro Controllo di Mosca e la potete trovare qui.

Chiedilo a Samantha

29/10/2014

Meno sale, più spezie

Una delle qualità principali che caratterizzano gli alimenti e le pietanze che accompagneranno il capitano Samantha Cristoforetti durante la sua permanenza sulla ISS per la missione Futura dell’Agenzia Spaziale Italiana è la totale assenza di sale.

L’eccesso di sodio nei cibi, come confermato da numerosi studi, è uno dei fattori che contribuisce a causare l’ipertensione, con effetti negativi sull’intero sistemo cardiocircolatorio. Specialmente nei prodotti industriali elaborati si riscontrano quantitativi di sale ancora troppo alti. Sarebbe bene, quindi, per la nostra salute, cercare di diminuire quanto più possibile l’uso del sale in cucina. Purtroppo, però, siccome siamo abituati a sapori molto salati, sembra che il nostro palato non riesca a sopportare dei cibi privi di sale.

Si può dunque cercare di ridurre poco per volta la quantità di sale sostituendolo con delle erbe aromatiche o spezie. Curcuma, zenzero, cannella e altri tipi di spezie possono essere aggiunte nelle ricette non solo per insaporire il piatto ma anche per le loro proprietà benefiche.

È noto, per esempio, come la curcuma, cioè una delle spezie presenti nel curry, sia ricca di antiossidanti e di proprietà antinfiammatorie. Per favorire il suo assorbimento è bene associarla al peperoncino, un altro aroma dalle notevoli virtù date soprattutto dal suo principio attivo, la capsaicina. Questa sostanza conferisce al peperoncino il suo intenso sapore piccante e ottime proprietà analgesiche. Anche allo zenzero e alla cannella sono riconosciute ottime qualità: il primo contribuisce a ridurre i livelli di colesterolo-LDL nel sangue e allevia gli stati di nausea e vomito, mentre la seconda è in grado di regolarizzare la glicemia.

Gradualmente, grazie all’uso della spezie, sarà possibile ridurre se non eliminare del tutto il sale in cucina.

Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Nutrizione e salute

28/10/2014

La scienza nell’armadio

Si dice spesso che sulla Stazione Spaziale Internazionale si fa ricerca. Ma che cosa significa? Di quale ricerche si parla? E in quali ambienti viene svolta?

Gran parte delle ricerche sfruttano la condizione di microgravità a bordo della Stazione Spaziale. L’assenza di peso, infatti, modifica molti fenomeni fisici e biologici, mettendo in evidenza meccanismi che sulla Terra sono nascosti o meno facilmente isolabili. Le ricerche si estendono a molti campi diversi fra loro: fisica dei fluidi, scienza dei materiali, fisica della radiazione ionizzante, biologia, fisiologia, medicina.

Il primo laboratorio nello spazio è il corpo stesso degli astronauti: da quando l’uomo è volato intorno alla Terra, le analisi si sono concentrate sulle sue reazioni e le modifiche a livello fisiologico. Oggi però ben quattro dei moduli in cui gli abitanti della Stazione Spaziale vivono e operano sono, a tutti gli effetti, veri e attrezzatissimi laboratori di ricerca: Destiny (Stati Uniti), Kibo (Giappone), Poisk (Russia) e Columbus (ESA).

Columbus, in particolare, è il “cuore” del contributo europeo al progetto della ISS: Il design del laboratorio europeo è semplicissimo ed è basato su quello degli MPLM che l’ASI (e l’industria italiana) ha costruito per la NASA: è un cilindro di 4,5 metri di diametro, lungo circa 7 metri. Come ogni altro luogo abitabile della Stazione è dotato di pannelli termici e anti-meteoriti; inoltre ha un sistema di controllo e mantenimento di un’atmosfera abitabile (pressione, temperatura e composizione).

Il laboratorio Columbus fu installato sulla Stazione Spaziale Internazionale durante la prima passeggiata spaziale della missione  STS-122 nel Febbraio 2008. Gli astronauti NASA Stanley Love and Rex Walheim hanno passatocirca otto ore al di fuori della ISS per preparare Columbus per il trasferimento dallo Shuttle Atlantis al nodo 2 Harmony della Stazione Spaziale.

Il laboratorio Columbus fu installato sulla Stazione Spaziale Internazionale durante la prima passeggiata spaziale della missione STS-122 nel Febbraio 2008. Gli astronauti NASA Stanley Love and Rex Walheim hanno passatocirca otto ore al di fuori della ISS per preparare Columbus per il trasferimento dallo Shuttle Atlantis al nodo 2 Harmony della Stazione Spaziale.

In totale, circa 75 metri cubi di spazio abitabile. Spazio abitabile? La prima volta si rimane perplessi: sulla Terra nessun agente immobiliare vi parla di metri cubi abitabili, ma di metri quadrati di superficie calpestabile. Ma siccome nello spazio i nostri astronauti non calpestano, ma svolazzano in 3D… ci siamo capiti. Torniamo al Columbus.

Il pezzo forte del modulo sono gli “armadi per gli esperimenti” (rack): 10 rack, ciascuno dei quali delle dimensioni di una cabina telefonica. Ne primi 5 anni di attività, hanno ospitato 110 esperimenti europei, con il coinvolgimento diretto (ovviamene da Terra) di circa 500 scienziati. Con risultati interessanti. Facciamo solo un esempio, legato al tema di avamposto 42.

Com’è noto, in orbita gli astronauti tendono a perdere massa ossea. Il meccanismo sembra intuitivo: in assenza degli stimoli indotti dal peso, il corpo produce meno cellule ossee che rimpiazzino quelle che via via muoiono. E, con il tempo, questo produce un indebolimento delle ossa.

Questo quadro, però, ha iniziato ad arricchirsi. Si è osservato che gli astronauti hanno la tendenza ad assorbire più sale, senza però che questo comporti una maggiore ritenzione idrica. Dato che questo è il contrario di quel che è ben noto fra noi terricoli, sono state predisposti studi specifici su culture cellulari. Grazie alla facilities del Columbus, gli esperimenti hanno mostrato come certi enzimi del nostro sistema immunitario, in assenza di peso, vivano una super attività. Senza entrare in dettagli, uno dei risultati suggerisce che alla perdita di massa ossea negli astronauti possa contribuire anche l’accumulo di sale. Da cui la necessità di diete in cui il gusto è stimolato dalle spezie.

Le attività all’interno del Columbus sono monitorate e organizzate dal Columbus Control Centre dell’ESA, in Germania

Molto altro, ma ne parleremo ancora.

Stefano Sandrelli

Per saperne di più: https://www.esa.int/ita/ESA_in_your_country/Italy/Missione_Columbus_Information_Kit_versione_italiana https://www.esa.int/ita/ESA_in_your_country/Italy/Il_laboratorio_dell_ESA https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Columbus/Five_years_of_unique_science_on_Columbus A questo link un video con gli esperimenti selezionati dall’Agenzia Spaziale Italiana per la missione Futura: https://www.asitv.it/media/vod/v/1615  

Niente Panico

24/10/2014

Che consigli daresti alle giovani donne?

A questa domanda, che mi viene rivolta davvero molto spesso, rispondo sempre con grande esitazione. Diciamola tutta, se posso non rispondo proprio.

Ho qualche consiglio che amo dare ai giovani (e per giovani intendo adolescenti e adulti, diciamo, sotto ai 25 anni), ma li offro indifferentemente a uomini e donne. Il mio preferito? Scegliete sempre la strada più difficile, perché la cosa più importante è formare il carattere e coltivare la fiducia nella propria forza.

 Spesso però mi chiedono consigli per le giovani donne, che siano quindi adatti alla specifica esperienza femminile. E qui iniziano i problemi, perché io le specificità dell’esperienza femminile non le conosco. “Come?” direte voi. Sei una donna! Certo che sono una donna. E sono Samantha. E non è detto che la mia esperienza nel mondo sia rappresentativa dell’esperienza, per esempio, di Barbara. E quella di Barbara magari è diversa dall’esperienza di Luisa, o di Valentina. Insomma, a parte nelle chiacchiere da bar, non è che si possa dire così alla leggera “le donne” e pensare di includerci tutte, no? (E se sembra che questo parlare genericamente de “le donne” come se non fossimo degli individui tutti diversi mi irriti un po’, beh… non è un’impressione così sbagliata).

Certo, direte voi, ci sono persone che per lavoro studiano proprio le specificità dell’esperienza femminile: sociologi, per esempio, “gender scientists” e sicuramente chi crea campagne pubblicitarie (o campagne elettorali). E quindi basta ascoltare quello che ci raccontano ed ecco che abbiamo tutte le risposte sulla nostra esperienza di donne. Neanche per sogno, dico io. Queste figure professionali lavorano sui grandi numeri. Quando dicono, per esempio, che le donne tendono a comportarsi in un certo modo,  lo dicono in senso probabilistico, non deterministico. Non vuol dire che tu, Barbara o Valentina o Luisa, ti comporti per forza così  perché sei una donna. Magari è vero proprio il contrario!

C’è un’inflazione di “consigli per le donne” nella conversazione pubblica e non credo che siano utili alle giovani e alle adolescenti. Non dubito che una professionista adulta possa trarre spunti interessanti dai numerosi libri rivolti specificatamente alle donne su come avere successo nel mondo del lavoro, se sono ben documentati e applicabili al proprio contesto professionale. E possono servire, perché no, ben vengano anche programmi di networking o mentoring.

Ma non credo che dai “consigli per le donne” possano trarre grande beneficio adolescenti e giovani, che hanno necessariamente un’identità ancora fragile e difficilmente hanno l’esperienza per capire che cosa sia davvero applicabile a loro. Temo possano trarne invece facilmente l’impressione che per loro la strada sia  necessariamente più difficile o che siano meno equipaggiate per affrontare le sfide di percorsi di formazione e di carriera impegnativa: nulla come queste convinzioni limitanti può sabotare progetti di vita ambiziosi. Questi richiedono infatti fiducia in sè stesse, nella propria forza, nei propri talenti, nella propria capacità di impegno e fatica.

I “role models” servono moltissimo, io credo, ad irrobustire la fiducia in se stesse, a non farsi intaccare dai piccoli incidenti di percorso. Spero, come astronauta, di poter essere un “role model” positivo per qualche giovane o adolescente. Ma di una cosa sono certa: i “role models” sono tali per quello che sono e per quello che fanno, non perché distribuiscono consigli.

Samantha Cristoforetti


La foto in alto e’ stata scattata durante un incontro nel 2012 di tutti gli astronauti donna NASA e del primo Direttore donna del Johnson Space Center della NASA Carolyn Huntoon; l’incontro e’ stato in onore di Sally Ride, la prima astronauta statunitense a raggiungere lo spazio nel 1983 dopo le due colleghe russe Valentina Vladimirovna Tereškova e Svetlana Evgen’evna Savickaja. Da sinistra nella prima fila: Carolyn Huntoon, Ellen Baker, Mary Cleave, Rhea Seddon, Anna Fisher, Shannon Lucid, Ellen Ochoa, Sandy Magnus. Da sinistra nella fila in piedi: Jeanette Epps, Mary Ellen Weber, Marsha Ivins, Tracy Caldwell Dyson, Bonnie Dunbar, Tammy Jernigan, Cady Coleman, Janet Kavandi, Serena Aunon, Kate Rubins, Stephanie Wilson, Dottie Metcalf-Lindenburger, Megan McArthur, Karen Nyberg, Lisa Nowak.

Le scarpe rosa

23/10/2014

Il lungo viaggio sulla Soyuz…e il bagno?

chiedilo a samantha bagno soyuz Cara Stefania, dire che c’è un bagno sulla Soyuz è forse un’esagerazione, ma c’è un piccolo “angolo toilette” che permette di espletare i propri bisogni fisiologici se necessario. Puoi fartene un’idea guardando la foto, che è stata scattata nel simulatore qui alla Città delle Stelle. Come tutte le toilette spaziali, anche questa, molto rudimentale, è basata sul principio dell’aspirazione. All’inizio dell’utilizzo si accende un ventilatore : il flusso d’aria così prodotto trasporta rifiuti solidi e liquidi nella giusta direzione. Avrai intuito che il ricettacolo conico giallo è per le urine: attraverso il tubo finiscono in un contenitore con del materiale assorbente. Il ricettacolo bianco è invece per l’uso “Numero 2”, come amano dire gli americani: in questo caso viene utilizzato un sacchetto monouso, che dopo ogni utilizzazione viene rimosso, chiuso e infilato successivamente in due buste per garantire il contenimento e prevenire la diffusioni di cattivi odori. Non c’è molta privacy sulla Soyuz. Se qualcuno deve usare il “bagno”, gli altri due membri dell’equipaggio si spostano nel modulo di discesa e socchiudono il portello. Come puoi immaginare, gli astronauti preferiscono ridurre al minimo l’uso di questa toilette e soprattutto, se possibile, l’uso “Numero 2”. Per questo quasi tutti accettano ben volentieri quello che i medici russi offrono nelle ultime ore prima della partenza: un clistere. Sono gli aspetti meno “luccicanti” dell’esplorazione spaziale, ma sono parte della realtà! Un’altro aspetto di vita reale dal gusto ben poco eroico è… il pannolone! È particolarmente importante con il nuovo profilo che ci fa arrivare sulla ISS sei ore dopo il lancio invece che, come prima, dopo due giorni. Eh si, in un certo senso le cose si sono un po’ complicate, specialmente per chi, come me, è seduta sul posto di sinistra come ingegnere di bordo. Ecco la spiegazione: in passato si arrivava in orbita, si facevano i controlli di tenuta e le prime due prime accensioni di motore e poi non c’era più molto da fare fino al giorno successivo. Quindi un sacco di tempo per sfruttare la “toilette” dopo poche ore dal lancio! E invece ora che succede? Succede che si arriva in orbita, si fanno come sempre i controlli di tenuta e le prime due accensioni, ma poi c’è soltanto una pausa molto breve fino alle successive accensioni di motore e all’inizio del rendez-vous con la Stazione Spaziale. Difficilmente l’ingegnere di bordo ha modo di muoversi dal proprio posto. Vogliamo fare un po’ di conti? Indossiamo la tuta circa tre ore prima del lancio, poi ci vogliono sei ore per arrivare sulla ISS e altre due ore circa di controlli di tenuta e altre procedure varie prima di poter aprile i portelli. Fanno almeno 11 ore! Capito perché tutti indossiamo il pannolone?

 Samantha Cristoforetti

 

Chiedilo a Samantha

22/10/2014

Il buongiorno si vede… dalla colazione

Immaginate di svegliarvi la mattina, guardare fuori e vedere la Terra: è il panorama unico di cui probabilmente possono godere ogni giorno al loro risveglio gli astronauti in missione sulla ISS. Se la vista per noi e per gli astronauti è molto diversa, non si discosta di molto il rituale mattutino, soprattutto per quanto riguarda la colazione.

In realtà, qui sulla Terra sono ancora troppe le persone che concepiscono la colazione solo come “cappuccino e brioche” o che la saltano del tutto. Eppure la colazione gioca un ruolo strategico nel corretto funzionamento dell’organismo. Al risveglio, il corpo si trova ad essere “affamato” perché è rimasto a digiuno per diverse ore: si aspetta quindi di essere nutrito ed è pronto a fare buon uso delle sostanze nutritive dagli alimenti che si ingeriscono. Con la colazione si attiva il metabolismo che, invece, rimarrebbe bloccato in caso di digiuno e il corpo sarebbe costretto a ricavare energia trattenendo il grasso accumulato. Per questo, saltare la colazione non è la soluzione migliore per dimagrire.

Bisogna anche considerare la tipologia degli alimenti che si assumono a colazione. Di solito la colazione “all’italiana” è ricchissima di zuccheri, invece la colazione ideale contiene quantità giuste di proteine, grassi e carboidrati, tra cui fibre, sia solubili che insolubili. Grazie a una colazione adeguata è possibile evitare picchi nella glicemia e si è portati anche a tenere sotto controllo l’introito calorico nel corso di tutta la giornata. In una corretta colazione, quindi, si possono consumare dei fiocchi di avena integrali con una bevanda vegetale, un paio di noci, caffè o tè senza zucchero e un frutto. In alternativa si possono scegliere dello yogurt magro biologico, un po’ di noci o mandorle, dell’avena integrale e un frutto. Chi vuole sperimentare la colazione salata, può provare con due uova sode o del salmone affumicato o del tonno assieme a del pane integrale e all’immancabile frutto.

Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più’: https://www.filippo-ongaro.it/

Nutrizione e salute

21/10/2014

Le vostre altre 53 cose da fare a gravita’ zero

Ecco alcune delle 53 cose da fare a gravita’ zero che ci avete mandato; ogni settimana raccoglieremo i migliori suggerimenti… quindi cosa aspettate?

Scrivete alla redazione, postatelo su Facebook  Twitter usando l’hashtag #53ZeroG, mandatelo per posta ordinaria, fate segnali di fumo, sbracciatevi, datevi da fare: scriviamo insieme questo “libro” di enorme successo. Non lasciamolo tutto agli autori di Avamposto 42, che scrivono peggio dei Vogon (e se non sapete come scrivono i Vogon, meglio per voi).

Carlo Paolantonio: Far volare un palloncino di piombo

Maurizio De Angelis: Dopo mangiato, non si ha un peso sullo stomaco.

Giorgio, 10 anni: Giocare con l’acqua fluttuante

andreav @_an_vi_: Riuscire finalmente a schiacciare a canestro! maril pitt. @MarilPitt: Salire ai piani alti e fare a meno delle scale Javier Vázquez @senorcacomixtle: Mi piacerebbe di guardare come si comportano le bolle all’ aprire una bottiglia di champagne luca rossi @luca_lrs: Vorrei dormire come un pipistrello adrianamarcotulli @adrimarcotulli: Farei la palla! Aggiornamento del 27 ottobre:  Serena Abrate: Mi piacerebbe preparare un gustosissimo zabajone per poi lasciarlo libero di esser divorato mentre fluttua leggero!  Sabrina Provini: Avere una scrivania invisibile e appoggiare in modo ordinato …biro fogli libro…etc:) Bertilla Bertesina: Tenere sotto controllo le emozioni negative giocando con il LEGO 🙂 Sara Zolla: io vorrei provare a saltare alla corda! Katia: Con questi sbalzi di temperatura e raffreddori in arrivo, il naso non colerebbe!!! Lorenzo di Renzo: vorrei vedere il mio gatto fluttuare Maurizio De Angelis: Si ferma la caduta dei capelli. Alla prossima settimana con le prossime altre 53 cose da fare a gravità zero!    

Niente Panico

20/10/2014

Altre 53 cose da fare a gravità zero

La Guida galattica per autostoppisti, com’è noto, è il libro di maggiore successo pubblicato dalle grandi case editrici dell’Orsa Minore. Un degno concorrente è Altre 53 cose da fare a gravità zero. Di quest’ultima opera, però, non si conoscono né l’autore né il contenuto. Almeno non si conoscevano fino a oggi.

Un gruppo di ricercatori di Avamposto 42, in collaborazione con l’Accademia Antiquaria del Futuro Prossimo e Remoto, sostiene, infatti, di aver trovato stralci originali di Altre 53 cose da fare a gravità zero. Quel che rende molto discutibile l’originalità del ritrovamento, è che accanto alle frasi, appare il nome degli autori. Nomi piuttosto sospetti: date un’occhiata alla sezione L’equipaggio dell’Avamposto 42.

In ogni caso, vi proponiamo i 23 frammenti ritrovati.

Samantha Cristoforetti

Non avere mai i piedi per terra.

Non doverti mai chiedere: quali scarpe metto oggi?

Giocare a prendere una fragola al volo con la bocca senza paura che cada sul pavimento.

Avere la pelle sotto i piedi tenera come quella di un bimbo

Spostarsi con un soffio

Mettere le cose nel vano più alto dell’armadio senza l’aiuto del famigliare spilungone.

Non doversi mai più preoccupare di piantare chiodi: basta un po’ di velcro!

Giocare a chi arriva più lontano senza toccare le pareti (ma se sposti i sensori di flusso d’aria nei portelli russi sei squalificata!)

Non rifare il letto la mattina.

Far ruotare la tua casa in modo che gli amici in arrivo trovino facilmente l’entrata

Usare una bicicletta senza sella.

Gettare la bilancia, tanto segna sempre zero!

Tenere le cose da trasportare con le gambe mentre cammini con le mani.

  Antonio Pilello

Fare yoga a testa in giù.

Nuotare senza acqua.

Mangiare tantissimo e sentirmi comunque leggero

  Chiara Forin

Poter leggere un libro a letto senza doverlo tenere sollevato

Poter dare tutto un altro senso al costume da Superman ad Halloween (anche se gia’ Luca Parmitano ci ha pensato)

Cucinare senza aver paura di sporcare per terra…tanto niente cade!

Stefano Polato

Rompere un uovo e separare l’albume dal tuorlo

  Stefano Sandrelli

Avere la testa molto oltre le nuvole e sentirsi a posto così

Sapere di essere in caduta libera e riderci sopra

Poter essere pesanti e noiosi e riuscire a volare lo stesso

Ma soprattutto: che cosa fareste voi a gravità zero?

Scrivete alla redazione, postatelo su Facebook  o Twitter usando l’hashtag #53ZeroG, mandatelo per posta ordinaria, fate segnali di fumo, sbracciatevi, datevi da fare: scriviamo insieme questo “libro” di enorme successo. Non lasciamolo tutto agli autori di Avamposto 42, che scrivono peggio dei Vogon (e se non sapete come scrivono i Vogon, meglio per voi).

Stefano Sandrelli

Nella foto di questo post: i due astronauti NASA Carl Meade e Mark Lee testano il dispositivo semplificato di aiuto per le passeggiate spaziali (SAFER) al di fuori della Stazione Spaziale Internazionale.

Niente Panico

17/10/2014