Il lungo viaggio sulla Soyuz…e il bagno?
Samantha Cristoforetti
22/10/2014
Samantha Cristoforetti
22/10/2014
Immaginate di svegliarvi la mattina, guardare fuori e vedere la Terra: è il panorama unico di cui probabilmente possono godere ogni giorno al loro risveglio gli astronauti in missione sulla ISS. Se la vista per noi e per gli astronauti è molto diversa, non si discosta di molto il rituale mattutino, soprattutto per quanto riguarda la colazione.
In realtà, qui sulla Terra sono ancora troppe le persone che concepiscono la colazione solo come “cappuccino e brioche” o che la saltano del tutto. Eppure la colazione gioca un ruolo strategico nel corretto funzionamento dell’organismo. Al risveglio, il corpo si trova ad essere “affamato” perché è rimasto a digiuno per diverse ore: si aspetta quindi di essere nutrito ed è pronto a fare buon uso delle sostanze nutritive dagli alimenti che si ingeriscono. Con la colazione si attiva il metabolismo che, invece, rimarrebbe bloccato in caso di digiuno e il corpo sarebbe costretto a ricavare energia trattenendo il grasso accumulato. Per questo, saltare la colazione non è la soluzione migliore per dimagrire.
Bisogna anche considerare la tipologia degli alimenti che si assumono a colazione. Di solito la colazione “all’italiana” è ricchissima di zuccheri, invece la colazione ideale contiene quantità giuste di proteine, grassi e carboidrati, tra cui fibre, sia solubili che insolubili. Grazie a una colazione adeguata è possibile evitare picchi nella glicemia e si è portati anche a tenere sotto controllo l’introito calorico nel corso di tutta la giornata. In una corretta colazione, quindi, si possono consumare dei fiocchi di avena integrali con una bevanda vegetale, un paio di noci, caffè o tè senza zucchero e un frutto. In alternativa si possono scegliere dello yogurt magro biologico, un po’ di noci o mandorle, dell’avena integrale e un frutto. Chi vuole sperimentare la colazione salata, può provare con due uova sode o del salmone affumicato o del tonno assieme a del pane integrale e all’immancabile frutto.
Dr. Filippo Ongaro
Per saperne di più’: https://www.filippo-ongaro.it/
21/10/2014
La Guida galattica per autostoppisti, com’è noto, è il libro di maggiore successo pubblicato dalle grandi case editrici dell’Orsa Minore. Un degno concorrente è Altre 53 cose da fare a gravità zero. Di quest’ultima opera, però, non si conoscono né l’autore né il contenuto. Almeno non si conoscevano fino a oggi.
Un gruppo di ricercatori di Avamposto 42, in collaborazione con l’Accademia Antiquaria del Futuro Prossimo e Remoto, sostiene, infatti, di aver trovato stralci originali di Altre 53 cose da fare a gravità zero. Quel che rende molto discutibile l’originalità del ritrovamento, è che accanto alle frasi, appare il nome degli autori. Nomi piuttosto sospetti: date un’occhiata alla sezione L’equipaggio dell’Avamposto 42.
In ogni caso, vi proponiamo i 23 frammenti ritrovati.
Samantha CristoforettiNon avere mai i piedi per terra.
Non doverti mai chiedere: quali scarpe metto oggi?
Giocare a prendere una fragola al volo con la bocca senza paura che cada sul pavimento.
Avere la pelle sotto i piedi tenera come quella di un bimbo
Spostarsi con un soffio
Mettere le cose nel vano più alto dell’armadio senza l’aiuto del famigliare spilungone.
Non doversi mai più preoccupare di piantare chiodi: basta un po’ di velcro!
Giocare a chi arriva più lontano senza toccare le pareti (ma se sposti i sensori di flusso d’aria nei portelli russi sei squalificata!)
Non rifare il letto la mattina.
Far ruotare la tua casa in modo che gli amici in arrivo trovino facilmente l’entrata
Usare una bicicletta senza sella.
Gettare la bilancia, tanto segna sempre zero!
Tenere le cose da trasportare con le gambe mentre cammini con le mani.
Antonio PilelloFare yoga a testa in giù.
Nuotare senza acqua.
Mangiare tantissimo e sentirmi comunque leggero
Chiara ForinPoter leggere un libro a letto senza doverlo tenere sollevato
Poter dare tutto un altro senso al costume da Superman ad Halloween (anche se gia’ Luca Parmitano ci ha pensato)
Cucinare senza aver paura di sporcare per terra…tanto niente cade!
Stefano PolatoRompere un uovo e separare l’albume dal tuorlo
Stefano SandrelliAvere la testa molto oltre le nuvole e sentirsi a posto così
Sapere di essere in caduta libera e riderci sopra
Poter essere pesanti e noiosi e riuscire a volare lo stesso
Ma soprattutto: che cosa fareste voi a gravità zero?
Scrivete alla redazione, postatelo su Facebook o Twitter usando l’hashtag #53ZeroG, mandatelo per posta ordinaria, fate segnali di fumo, sbracciatevi, datevi da fare: scriviamo insieme questo “libro” di enorme successo. Non lasciamolo tutto agli autori di Avamposto 42, che scrivono peggio dei Vogon (e se non sapete come scrivono i Vogon, meglio per voi).
Stefano Sandrelli
Nella foto di questo post: i due astronauti NASA Carl Meade e Mark Lee testano il dispositivo semplificato di aiuto per le passeggiate spaziali (SAFER) al di fuori della Stazione Spaziale Internazionale.
17/10/2014
Nello spazio anche le cose piu’ naturali diventano diverse e nuove, fiamme comprese! Ed ecco una breve risposta, di Stefano Sandrelli, all’interessante domanda di Lucia:
Quando si accende una candela, per esempio, la fiamma si allunga verso l’alto perché viene “allungata” dalle correnti di aria calda che formano e che risalgono verso l’alto. Le correnti si formano infatti come conseguenza del principio di Archimede. Quando una bolla di aria calda si forma, si espande e in questo modo sposta un volume di aria fredda, che ha un peso maggiore di quello della bolla. Ne risulta una spinta verso l’alto che porta la bolla a spostarsi. Poiche’ il microgravità il peso dei corpi viene annullato, anche la spinta subita dall’aria calda verso l’alto viene annullata. Dunque non ci sono quelle correnti che danno alla fiamma terrestre la sua tipica forma. Di fatto le fiamme, in orbita, tendono a essere sferiche.
Per saperne di piu’:
[youtube BxxqCLxxY3M nolink]
https://spaceflight.nasa.gov/history/shuttle-mir/science/mg/nm21453009.htm
08/10/2014
La Cupola della Stazione Spaziale internazionale è affrescata come la cupola di San Pietro, in Vaticano. Ma mentre a San Pietro si guarda affascinati la cupola stessa e il meraviglioso progetto di Michelangelo, sulla stazione spaziale si guarda attraverso la Cupola. Più trasparente è, più si apprezza. I suoi affreschi variano mentre la stazione spaziale internazionale si muove intorno al pianeta: sono continenti, mari, nuvole. È l’infinita fragilità della Terra a commuovere, la sottigliezza dell’atmosfera, che sembra giusto una pennellata di tenue azzurro che sfuma nel nero del cosmo; sono i colori sempre variabili, è l’assenza di confini fra stati. È l’alternanza instancabile tra giorno e notte: la ISS, a circa 400 km di quota, ruota intorno alla Terra compiendo un’orbita in 90 minuti.
La Cupola è un piccolo modulo a base esagonale, con un diametro di appena 3 metri, installato sulla finestra che punta verso la Terra del nodo 3, Tranquillity. La sua vera forza sono le 7 finestre che ha portato in dono agli astronauti: una per lato, più una settima sulla sommità. Quest’ultima, di ben 80 cm è la più grande mai usata nella storia del volo spaziale umano. Da qui gli astronauti, non solo possono dedicarsi alle fotografie del pianeta, ma sono anche in grado di controllare a vista alcune operazioni robotiche e le attività dei colleghi che stanno eseguendo una EVA, una “passeggiata spaziale”.
Questa straordinario balcone sullo spazio è un prodotto a marca italiana: è stata consegnata alla NASA da Alenia Spazio (ora Thales Alenia Spazio), che sovrintendeva il lavoro di altre numerose industrie europee, il 6 settembre 2004. A causa del blocco dei voli degli Shuttle, si è dovuto attendere oltre 6 anni per vederla sulla ISS: è stata installata il 15 febbraio 2010, l’ottavo giorno della missione STS-130 dello Shuttle Endeavour.
I vetri delle finestre (in silicio fuso e vetro borosilicato) non sono lasciati impunemente allo spazio, ma sono protette – quando non in uso – da una “tapparella” di protezione. Opportuna, visto che appena due anni dopo il suo arrivo, è stata colpita – senza danni – da un micrometeorite.
Di qui, dicevamo, non si vedono confini fra nazioni. Eppure qualche cosa si intravede. Perché nel suo incessante orbitare intorno alla Terra, la ISS sorvola linea di demarcazione giorno-notte 32 volte, due ogni orbita. Quando si osserva la notte terrestre, a seconda del continente su cui si sta passando, le luci delle città sono estremamente diverse. Grandi deserti, catene montuose, certo. Ma non solo: anche paesi più ricchi e più illuminati e paesi più poveri. Non che non si sappia: ma vederlo così “illuminato” fa una certa impressione. Sta a noi il compito di trasformare la fragilità del pianeta in una forza per il futuro.
Stefano Sandrelli
Fonti
Shuttle windows:
https://www.nasa.gov/missions/highlights/webcasts/shuttle/sts113/processing-qa.html
La cupola:
https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/International_Space_Station/Cupola
Il micrometeorite:
https://www.nasaspaceflight.com/2012/06/cupola-minor-mmod-strike-shutter-closed-evaluations/
19/09/2014
Parlando di nutrizione, come non occuparci del “plancton spaziale”? Certo, si tratta di nutrizione di cetacei, non di astronauti, ma casomai si decidesse di mandare su Marte una balena… inutile dire che stiamo scherzando, vero?
La storia è questa. Secondo l’agenzia di stampa russa Itar-Tass, il cosmonauta Vladimir Solovyev, responsabile del segmento russo della Stazione Spaziale Internazionale, ha rivelato che l’esperimento TEST ha documentato la presenza di plancton capace di vivere sulla superficie esterna della navicella.
Secondo Solovyev il problema maggiore è spiegare come del plancton, che vive nei mari, possa essere arrivato a 400 chilometri di quota. Correnti di aria ascensionali? Oppure contaminazione da parte delle superfici di navette spaziali attraccate alla Stazione Spaziale? O altre spiegazioni? Al momento non risultano commenti di nessun’altra agenzia spaziale. Staremo a vedere.
Certo che è che gli studi sulla sopravvivenza di forme di vita elementari nello spazio sono probabilmente fondamentali per comprendere l’origine e la diffusione della vita nello spazio. E nel corso degli anni non sono mancate sorprese e novità riguardo a capacità di sopravvivenza insospettate di alcune di queste forma di vita.
L’esperimento “Lichens” dell’ESA, condotto a bordo di un Foton-M2 nel 2005, per esempio, aveva riportato la notevole resistenza dei licheni alla esposizione delle dure condizioni del vuoto: radiazioni ultraviolette, temperature estreme, assenza di pressione e di peso. Gli studi sono proseguiti e negli anni successivi sono stati realizzati esperimenti analoghi (di qualche settimana, come Biopan su un Foton M-3) o di maggiore durata (come la EXPOSE-E, nel corso della missione Columbus sulla Stazione Spaziale, di 18 mesi) ma sempre di grande semplicità.
Nel caso di EXPOSE-E, per esempio, un ricettacolo di batteri, licheni, alghe, germi, è stato disposto in un contenitore a celle separate e esposto al vuoto spaziale, all’esterno della ISS. Naturalmente ancora senza protezione contro radiazioni ed escursioni termiche di oltre 50 °C, con centinaia di passaggi da -12 °C a +40 °C..
I più resistenti? I licheni. Addirittura, alcuni di essi, una volta riportati a terra 18 mesi più tardi, hanno continuato tranquillamente a crescere, come se l’intermezzo spaziale non li avesse turbati più di tanto.
Perché è interessante tutto questo? Per almeno due motivi.
Una scoperta del genere è un piccolo punto a favore dell’ipotesi della panspermia: una vita che si diffonde attraverso il vuoto interstellare. Niente di conclusivo, dato che i viaggi interstellari non durano certo mesi ma decine di anni alla velocità della luce, solo per rimanere nei dintorni del Sole. Inoltre alcune ditte che si occupano di creme per la protezione solare hanno alzato le antenne: i licheni hanno resistono 18 mesi ai raggi UV del Sole? Qual è il loro segreto? Sarà utilizzabile per migliorare i loro prodotti?
Le ricerche continuano. In attesa di saperne di più sulla curiosa storia del plancton.
Stefano Sandrelli
Per saperne di più’:
https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Lichen_survives_in_space
https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Columbus/The_toughest_life_on_Earth
04/09/2014
Ciao Samantha,
approfittando di Avamposto42 qui dalla Terra (anzi, più precisamente dalle aule del Liceo “Leonardo Da Vinci” di Civitanova Marche) ci chiedevamo se per comunicare tra la ISS e la Terra si può usare anche una videochiamata tramite Skype. C’è sempre il rischio che si perda la “connessione” per via dei satelliti? Infine… gli studenti, affascinati da questo percorso che stiamo per intraprendere anche grazie a te, desiderano sapere se sarà possibile, durante la tua permanenza nella ISS, un collegamento anche di pochi minuti per uno scambio di saluti tra “terrestri ed extraterrestri”.
Per la serie… “@Leonardo Da Vinci calls for @AstroSamantha!”.
Grazie, un saluto dalle Marche
Cari ragazzi e ragazze del Liceo “Leonardo da Vinci”,
intanto, che bel nome: io ho frequentato l’ultimo anno del liceo in un “Leonardo da Vinci”!
Purtroppo non sarà possibile sentirci via Skype, tecnicamene è un po’ troppo complicato. Dalla Stazione Spaziale facciamo periodicamente delle chiamate simil-Skype con la famiglia, il medico, i direttori di volo… ma il supporto tecnico richiesto non permette che si possano fare videochiamate analoghe con le scuole.
L’associazione ARISS organizza contatti radioamatoriali: a meno che non siate già in lista, non sarà possibile per la mia missione, ma ci sono sempre astronauti a bordo felici di parlare via HAM Radio con le scuole quindi perché non mandare fin d’ora la richiesta?
Nel frattempo magari ci incroceremo su Twitter!
Un caro saluto,
Samantha
02/09/2014
L’astronauta della NASA Dan Burbank (Expedition 30) racconta che sulla Terra gli accadeva spesso di sognare di volare. Una volta in orbita, però, il suo sogno più frequente era di camminare con i piedi ben piantati sul nostro pianeta.
Luca Parmitano, invece, ogni mattina si svegliava e dimenticava i sogni. Non dimenticava però l’ultimo saluto alla moglie Kathy, la sera prima.
E che cosa sognerà Samantha, una volta in orbita? Basterà aspettare e chiederglielo. Intanto, fra i suoi tanti allenamenti, ha messo in pratica anche alcuni accorgimenti per controllare al meglio i ritmi del sonno.
In effetti, molti astronauti hanno raccontato di non riposare altrettanto bene e meno di quanto non accada loro sulla Terra. Un fenomeno studiato da tempo e che può avere varie cause.
Ora la rivista The Lancet Neurology ha pubblicato uno studio condotto da ricercatori della Brigham and Women’s Hospital (BWH) Division of Sleep and Circadian Disorders della Harvard Medical School, in collaborazione con la Università del Colorado, durato oltre 10 anni. I ricercatori americani hanno confrontato 4000 notti di sonno sulla Terra con oltre 4200 notti nello spazio, usando dati raccolti su 64 astronauti che hanno partecipato 80 voli Shuttle e 21 astronauti a bordo della Stazione Spaziale. L’analisi dei dati ha il merito di trasformare le sensazioni in misure. Per esempio, la ricerca mostra che la durata media di una notte di sonno in orbita è circa 6 ore, contro le 8 ore e mezzo previste dalla NASA.
Da una parte, dormire sulla Stazione Spaziale non è semplice come potrebbe sembrare. È vero che gli astronauti possono contare su un piccolo spazio privato – una specie di nicchia con le pareti morbide, grande quanto basta per contenere una persona, qualche pc e qualche altro effetto personale appeso alle pareti – ma certo non possono sprofondare nel sonno, dato che, in assenza di peso, viene meno quella bella sensazione di liquefarsi sul letto.
Per dormire poi, in genere usano delle mascherine per gli occhi e dei tappi per le orecchie. E, infine, si infilano in una specie di sacco a pelo (senza pelo, perché non ha funzioni termiche particolari), che evita loro di fluttuare in giro per l’astronave, sospinti dai flussi dei condizionatori per il riciclo dell’aria. Insomma, le condizioni sono un po’ più artificiali di quanto si potrebbe sperare.
Lo studio, fra l’altro, mette in evidenza che anche le settimane prima del lancio sono caratterizzate da una diminuzione delle ore di riposo. Il che, al di là dei motivi fisiologici, non crediamo che stupisca nessuno, se è vero che – a noi terricoli – a volte basta il pensiero di un appuntamento il giorno dopo per saltare qualche ora di sonno.
La conclusione è molto semplice. Visto che, a lungo andare, meno riposo significa anche meno reattività, meno lucidità e, in generale, una peggiore forma fisica, occorre trovare misure efficaci per permettere agli equipaggi che rimangono in orbita a lungo di riposare in modo adeguato.
A questo proposito, forse può venirci in aiuto la Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams, che ricorda come “l’asciugamano è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere”. Fra i vari motivi elencati c’è anche il fatto che “potete avvolgervelo intorno alla testa per evitare gas nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal”.
O anche per dormire meglio sulla ISS, dovremmo aggiungere. Potremo allora dire che i nostri astronauti sono “frughi che sanno davvero dove hanno l’asciugamano”.
La Guida galattica per gli autostoppisti chiarisce che frugo significa tipo straordinariamente in gamba. Ed è uno dei titoli più ambiti nell’intero universo.
Per saperne di più’: https://blogs.esa.int/luca-parmitano/it/2013/10/23/a-day-on-the-international-space-station/ https://www.space.com/14131-astronauts-dream-space-iss-crew.html
25/08/2014
Come ogni condominio che si rispetti, anche la nostra casa spaziale, la Stazione Spaziale, è afflitta da uno dei più seri problemi domestici: dove butto i rifiuti?
Oggi la questione centrale non è più, come nel primo decennio di volo umano, lo smaltimento di urine e feci. Ormai i sistemi di riciclo delle prime sono utilizzati ampiamente per rifornire di acqua potabile gli astronauti, mentre le seconde vengono immagazzinate dai serbatoi delle toilet. È la naturale conseguenza di missioni in orbita che non durano più pochi giorni, ma dai 3 ai 6 mesi.
Una lunga permanenza nello spazio comporta anche ad esempio l’accumulo di oggetti che si rompono, che si deteriorano, che non servono più, che si sporcano tanto da renderli inutilizzabili. Nonché dai depositi di feci a cui abbiamo accennato sopra. Insomma, rappresentanti di ciascuna di quelle categorie che noi terricoli conosciamo bene.
E allora? E allora la soluzione di questi ultimi anni escogitata per la Stazione Spaziale Internazionale ha la genialità delle idee semplici: un modulo che può essere riempito e che poi… si butta via.
Lo avete riconosciuto? È il Veicolo Automatico di Trasferimento (ATV) dell’ESA. Da affabile maggiordomo che porta agli abitanti dello spazio aria, cibo, acqua, esperimenti, vestiario, l’ATV viene gradualmente riempito di cose da dimenticare. Se la ISS fosse una villetta, l’ATV sarebbe la sua soffitta: con la comodità di poterla cambiare quando è piena. Ammettiamolo pure, con la giusta dose di cinismo: nei sei mesi in cui rimane attraccato alla ISS, piano piano l’ATV si trasforma in gentile e iper tecnologico bidone della spazzatura.
Nel corso del suo rientro, il modulo viene fatto tuffare nell’atmosfera a velocità ipersonica. Qui si disintegra in circa 700 pezzi. A circa 50 km di quota, l’alta temperatura (fino a 1500 gradi) causata dalla frizione atmosferica provoca l’esplosione dei serbatoi e il consumo del propellente residuo. Quasi tutti i pezzi dell’ATV vengono fusi e vaporizzati in questa fase, ben prima di arrivare a terra. L’impatto sul nostro pianeta e sulla sua atmosfera è praticamente nullo.
Sono pochissimi gli elementi in grado di raggiungere la superficie terrestre. Il pezzo più significativo è il motore, che è stato costruito per resistere a temperature molto alte. Tuttavia la traiettoria di rientro dell’ATV è calcolata in modo che i residui solidi si tuffino in una grande area disabitata dell’oceano pacifico, per cui il rischio di essere colpiti da pezzi di pattumiera galattica è effettivamente molto basso.
Visto che siamo in tema, vale la pena ribadire che questi rifiuti hanno ben poco a che vedere con rifiuti orbitali come satelliti spenti, pezzi di satelliti che sono esplosi, serbatoi vuoti, bulloni, schegge, addirittura guanti persi durante passeggiate spaziali. Questi residui, che sono rimasti in varie orbite intorno alla Terra, costituiscono un grave inquinamento dovuto all’uomo, ma non sono legati in modo specifico alle attività degli astronauti.
E questo è un problema da affrontare ben altrimenti che con l’ATV: si tratta di milioni di frammenti di artefatti sui quali occorre intervenire. In primo luogo non facendone aumentare il numero in futuro e, possibilmente, facendolo diminuire. Diversi studi sono in corso nelle varie agenzie spaziali e, ogni tanto, qualcuno fa capolino anche sulla stampa. Difficile dire quale sia il progetto più promettente.
Ma il concetto è chiaro: sviluppo sostenibile anche nello spazio.
Stefano Sandrelli
08/08/2014
01/08/2014