Dormire, forse sognare
L’astronauta della NASA Dan Burbank (Expedition 30) racconta che sulla Terra gli accadeva spesso di sognare di volare. Una volta in orbita, però, il suo sogno più frequente era di camminare con i piedi ben piantati sul nostro pianeta.
Luca Parmitano, invece, ogni mattina si svegliava e dimenticava i sogni. Non dimenticava però l’ultimo saluto alla moglie Kathy, la sera prima.
E che cosa sognerà Samantha, una volta in orbita? Basterà aspettare e chiederglielo. Intanto, fra i suoi tanti allenamenti, ha messo in pratica anche alcuni accorgimenti per controllare al meglio i ritmi del sonno.
In effetti, molti astronauti hanno raccontato di non riposare altrettanto bene e meno di quanto non accada loro sulla Terra. Un fenomeno studiato da tempo e che può avere varie cause.
Ora la rivista The Lancet Neurology ha pubblicato uno studio condotto da ricercatori della Brigham and Women’s Hospital (BWH) Division of Sleep and Circadian Disorders della Harvard Medical School, in collaborazione con la Università del Colorado, durato oltre 10 anni. I ricercatori americani hanno confrontato 4000 notti di sonno sulla Terra con oltre 4200 notti nello spazio, usando dati raccolti su 64 astronauti che hanno partecipato 80 voli Shuttle e 21 astronauti a bordo della Stazione Spaziale. L’analisi dei dati ha il merito di trasformare le sensazioni in misure. Per esempio, la ricerca mostra che la durata media di una notte di sonno in orbita è circa 6 ore, contro le 8 ore e mezzo previste dalla NASA.
Da una parte, dormire sulla Stazione Spaziale non è semplice come potrebbe sembrare. È vero che gli astronauti possono contare su un piccolo spazio privato – una specie di nicchia con le pareti morbide, grande quanto basta per contenere una persona, qualche pc e qualche altro effetto personale appeso alle pareti – ma certo non possono sprofondare nel sonno, dato che, in assenza di peso, viene meno quella bella sensazione di liquefarsi sul letto.
Per dormire poi, in genere usano delle mascherine per gli occhi e dei tappi per le orecchie. E, infine, si infilano in una specie di sacco a pelo (senza pelo, perché non ha funzioni termiche particolari), che evita loro di fluttuare in giro per l’astronave, sospinti dai flussi dei condizionatori per il riciclo dell’aria. Insomma, le condizioni sono un po’ più artificiali di quanto si potrebbe sperare.
Lo studio, fra l’altro, mette in evidenza che anche le settimane prima del lancio sono caratterizzate da una diminuzione delle ore di riposo. Il che, al di là dei motivi fisiologici, non crediamo che stupisca nessuno, se è vero che – a noi terricoli – a volte basta il pensiero di un appuntamento il giorno dopo per saltare qualche ora di sonno.
La conclusione è molto semplice. Visto che, a lungo andare, meno riposo significa anche meno reattività, meno lucidità e, in generale, una peggiore forma fisica, occorre trovare misure efficaci per permettere agli equipaggi che rimangono in orbita a lungo di riposare in modo adeguato.
A questo proposito, forse può venirci in aiuto la Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams, che ricorda come “l’asciugamano è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere”. Fra i vari motivi elencati c’è anche il fatto che “potete avvolgervelo intorno alla testa per evitare gas nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal”.
O anche per dormire meglio sulla ISS, dovremmo aggiungere. Potremo allora dire che i nostri astronauti sono “frughi che sanno davvero dove hanno l’asciugamano”.
La Guida galattica per gli autostoppisti chiarisce che frugo significa tipo straordinariamente in gamba. Ed è uno dei titoli più ambiti nell’intero universo.
Per saperne di più’: https://blogs.esa.int/luca-parmitano/it/2013/10/23/a-day-on-the-international-space-station/ https://www.space.com/14131-astronauts-dream-space-iss-crew.html
25/08/2014