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Serre planetarie

Negli ultimi anni lo “sviluppo sostenibile” è diventato un argomento di discussione sempre più comune e una necessità sempre più impellente. Addirittura alcuni potrebbero affermare che qualsiasi sviluppo ulteriore non sia sostenibile dal nostro bel pianeta, e che si debba imparare a vivere con meno, riducendo gli enormi sprechi che governano la nostra vita quotidiana.

Un invito accolto da un crescente numero di comunità locali è quello al consumo di frutta e verdura di stagione, preferendo prodotti provenienti dai territori limitrofi a quelli trasportati dai capi opposti del globo, avvicinandosi al consumo così detto a “chilometro zero”. Dopotutto i prodotti a km 0 costano meno (si risparmia sul trasporto e spesso anche sull’imballo), aiutano l’ambiente (si produce meno CO2, si spreca meno acqua, energia, plastica e cartone), e sono più freschi (quindi con meno conservanti).

Tuttavia, il rimpicciolirsi delle aree agricole vicino ai grandi centri urbani ostacola questo percorso di sostenibilità. Per ovviare a tale, al momento inevitabile, impoverimento della nostra capacità di provvedere efficientemente ai nostri bisogni basilari, sono ormai in crescente diffusione le coltivazioni urbane fuori suolo, ovvero degli orti che sfruttano la tecnologia idroponica per produrre frutta, verdura e piante ornamentali che possono essere ricavati in capannoni e aree industriali in disuso. Un esempio sono le serre verticali, che permettono coltivazioni su più livelli, facendo buon uso di una superficie ridotta, e spesso permettendo di fare uso efficiente di acqua e pesticidi.

serre planetarie 1La necessità di queste tecnologie diventa invece quasi inderogabile quando le condizioni ambientali sono avverse alla coltivazione e la logistica di rifornimento è proibitiva, come già avviene ad esempio in aree desertiche o polari, e, perché no, nelle basi planetarie del futuro (ad esempio su Marte!). Non per altro, ogni scenario di esplorazione dello spazio prevede ad un certo punto lo sviluppo della capacità di produrre cibo con coltivazioni fuori suolo.

La produzione a “chilometro zero” diventa infatti sempre più conveniente tanto più aumentano le dimensioni dell’equipaggio, la durata della missione e le difficoltà di rifornimento (come nel caso di Marte, posto ad una distanza dalla Terra sempre superiore a metà della distanza Terra-Sole). Gli studi per sviluppare la tecnologia necessaria coinvolgono conoscenze da ogni parte del mondo, e l’Europa è sicuramente in prima linea. L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) da anni promuove queste attività attraverso il progetto MELiSSA. Ad esempio, è recentemente terminato GreenMOSS, uno studio di fattibilità coordinato da Thales Alenia Space Italia, il quale aveva l’obiettivo di progettare una serra sulla superficie del polo sud lunare, basata sull’architettura MELiSSA, e capace di fare un uso efficiente della luce solare disponibile quasi continuamente, nonché di identificare i necessari sviluppi tecnologici critici.

Proprio nella sua ultima fase lo studio ha evidenziato poi la necessità di utilizzare la stazione spaziale internazionale (ISS) come piattaforma di sviluppo tecnologico, dando il via a PFPU, un nuovo studio tutto italiano, sempre in ambito MELiSSA, atto a progettare un precursore di un’unità per produzione di tuberi in orbita attraverso il test in laboratorio di alcuni prototipi chiave. Un altro progetto molto interessante, che permette di osservare a volte in diretta gli esperimenti in corso, riguarda lo sviluppo di un prototipo di serra lunare (chiamata LGH), portato avanti a cura dell’Università dell’Arizona (UA-CEAC) e sponsorizzato dalla NASA.serre planetarie 2

L’esplorazione dello Spazio conferma quello che gli esploratori di ogni tempo hanno sempre saputo. Si può vivere con molto meno, e liberandosi del superfluo e degli sprechi si possono raggiungere grandi obiettivi. Non aspettiamo di percorrere le 1.5 Unità Astronomiche, che ci separano in media da Marte, per affidarci ai prodotti km 0!

Per maggiori approfondimenti sul progetto MELiSSA, vai al sito. G. Boscheri – Thales Alenia Space Italia   [Immagine di copertina: credits NASA]  

I sistemi biorigenerativi

15/09/2015

Gli impianti di Colle Cerqueto: tecnologia applicata all’agricoltura

La Ferrari Farm ha investito in un nuovo progetto realizzando un impianto di coltivazione idroponica in serre sterili ed ermetiche; una soluzione di nuova generazione ed alta tecnologia che consente la coltivazione in condizioni di assoluta sterilità prescindendo dall’ambiente esterno alle serre. Un mix innovativo di cultura contadina, elettronica, ricerca ed innovazione che unisce le moderne tecnologie con la filosofia artigianale e “contadina” dei processi produttivi agricoli e degli alimenti.

L’impianto è stato completamente progettato e realizzato dalla Ferrari Farm che si è dotata di tutti gli strumenti tecnologici necessari per ottenere produzioni agricole di alta qualità. L’idea iniziale è stata di standardizzare le serre in modo tale che tutti gli impianti siano dimensionati per funzionare indistintamente con le 3 maggiori tecniche di coltivazione idroponica: Drip Irrigation, NFT ed Ebb&Flow, lavorando in “Closed Water Loop”.

FERRARI FARM 1

L’impianto è costituito da tre serre sterili completamente ermetiche senza scambio alcuno con l’ambiente esterno. Una di queste è un Fitotrone che, isolato dall’ambiente esterno con pannelli sandwich, non utilizza luce solare, ma la luce necessaria alla crescita vegetale è prodotta utilizzando dispositivi basati su tecnologia LED, che operano sulle lunghezze d’onda proprie della fotosintesi.

Le serre, invece, sono state costruite con una chiusura basata su un sandwich di vetri con particolari trattamenti superficiali tali da garantire isolamento termico, trasparenza per la luce utile ed abbattimento della radiazione IR. Sia il fitotrone che le serre, oltre ad essere “chiuse” verso l’ambiente esterno, sono decontaminate mediante l’utilizzo di macchine di trattamento aria dotate di filtri assoluti e dispositivi per il controllo batterico, in modo tale che l’ambiente interno sia totalmente controllabile ed indipendente dall’ambiente esterno.

Peculiarità degli impianti idroponici della Ferrari Farm è la creazione e gestione di una “Ricetta di Coltivazione” elettronica che codifica, comanda e controlla in automatico, per la specie di interesse, tutti i parametri climatici e nutrizionali: in ogni istante, tutti i giorni e per tutta la vita del vegetale che si intende produrre, il sistema computerizzato automatico comanda e controlla sia il clima che le irrigazioni in accordo con la Ricetta di Coltivazione.

IDROPONICA (2)

È stato quindi definito come far crescere vegetali in tecnologia idroponica in ambiente totalmente decontaminato, con comando e controllo di tutti i parametri. Eventuali malfunzionamenti o deviazioni dai parametri previsti sono segnalati real-time agli addetti. Per queste serre di nuova concezione l’accesso da parte dell’uomo è condizionato da apposita procedura di vestizione al fine di impedire contaminazione. I risultati ottenuti con la coltivazione di pomodoro e basilico hanno dimostrato l’efficacia del sistema. La ricetta computerizzata codificata in termini di soluzione nutritiva e di parametri climatici ha mostrato il reale funzionamento automatico delle serre in accordo con la “ricetta” prestabilita e codificata.

Questo nuovo impianto idroponico ermetico e sterile consente di coltivare in tutto il mondo dall’equatore al polo, mentre l’esperienza del fitotrone con illuminazione artificiale suggerisce la possibilità di coltivare anche senza Sole in ambienti confinati, anche nell’ottica di future missioni spaziali. Per questo ultimo obiettivo è importante il concetto di sistemi biorigenerativi a ciclo chiuso per la produzione di cibo nello spazio in modo ecologico ed autosufficiente. I sistemi biorigenerativi, infatti, partono dal presupposto di utilizzare le piante per scope molteplici: sono infatti un rifornimento di cibo per gli equipaggi, rilasciano ossigeno per gli astronauti, aiutano a purificare l’aria rimuovendo l’eccesso di diossido di carbonio ed a purificare l’acqua. Il fattore comune quindi fra le tecnologie per applicazioni terrestri e quelle per applicazioni spaziali è di offrire indubbi vantaggi nell’ottica di sostenere la vita umana nello spazio.

G. Pontetti – Ferrari Farm

I sistemi biorigenerativi

09/09/2015

Fonti di calcio vegetali

Quando si pensa all’assunzione di calcio, si fa quasi sempre riferimento al latte e ai suoi derivati. In realtà esistono molti altri alimenti che dovrebbero essere presi in considerazione. La maggior parte deriva dal mondo vegetale. Tra questi abbiamo i semi di sesamo e quelli di lino, il cavolo verde, gli spinaci, i broccoli, la quinoa, i legumi e le mandorle. «Tutti questi ingredienti – come ci spiega lo chef Stefano Polato – sono presenti in modo sostanzioso nel menu di Argotec per Samantha Cristoforetti, visto che assicurano un buon apporto di calcio, assolutamente fondamentale per chi vive in assenza di peso. Fra gli obiettivi del bonus food, infatti, è di primaria importanza permettere a Samantha di arginare i danni all’apparato scheletrico, ma allo stesso tempo garantirle una facile digeribilità. In effetti, i latticini possono risultare pesanti e non a tutti gradevoli, ma per fortuna il mondo vegetale ci viene in aiuto. Tra l’altro, molti semi oleaginosi, come quelli di sesamo, ci consentono di insaporire i piatti, diminuendo allo stesso tempo la quantità di sale».

Le cattive abitudini alimentari ci hanno indotto a fare un uso eccessivo di sale e zucchero, che oggi risultano essere “inquinanti” non solo per l’organismo, ma anche per il nostro palato. Tuttavia esistono dei validi sostituti: come fatto all’interno dello Space Food Lab di Argotec, al posto del sale è possibile utilizzare le spezie che abbiamo nella dispensa, anche se troppo spesso ce ne dimentichiamo. «Solo per citarne alcune – sottolinea Polato – mi vengono in mente il rosmarino, il timo (ideale per condire il pesce), la noce moscata (per salse e risotti), la maggiorana, il peperoncino (un ottimo vasodilatatore), il coriandolo, il cumino, la curcuma e la menta. Per le insalate, invece, il mio consiglio è quello di provare il gomasio. Utilizzato comunemente nella cucina asiatica, si tratta di un misto di semi di sesamo tostati e macinati con una quantità minima di sale. Si può preparare facilmente anche a casa».

Ricetta

Per ottenere 100 grammi di gomasio occorrono 1 cucchiaio di sale integrale marino fino, 8 cucchiai di sesamo e un cucchiaio di erbe aromatiche secche a piacere (salvia, rosmarino, alloro, timo, origano). In una padella antiaderente far dorare leggermente il sesamo a fuoco basso, mescolando con un cucchiaio di legno, facendo molta attenzione che i semi non abbrustoliscano o inizino a fumare. In quel caso, si formerebbe il sesamolo, che è una sostanza tossica e non particolarmente piacevole. Aggiungere il sale, le spezie secche e tritati, i semi di sesamo nel mortaio e pestare con molta pazienza. Conservare in un contenitore di vetro chiuso e al fresco per circa una settimana.

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/

Fai il pieno giusto | Osteoporosi

09/06/2015

La sintesi proteica

Con il termine sintesi proteica si intende il processo biochimico attraverso cui l’informazione genetica contenuta nel DNA viene convertita in proteine che svolgono varie funzioni biologiche nel nostro organismo. Attraverso un processo detto di trascrizione dal DNA si forma un filamento di RNA messaggero che serve da stampo per la produzione di una specifica proteina.

La sintesi proteica è parte di una serie complessa di reazioni metaboliche che, consumando energia, formano molecole complesse a partire da quelle più semplici. Lo scopo è in particolare quello di riparare e ricostruire i tessuti danneggiati. Al contrario le reazioni che degradano molecole complesse liberando energia vengono dette cataboliche.

Il metabolismo è caratterizzato da un continuo susseguirsi di reazioni anaboliche e cataboliche che varia a secondo delle fasi della vita, degli stimoli nutrizionali e ambientali come per esempio la quantità e la tipologia di attività fisica.

Perché la sintesi proteica avvenga in maniera ordinata e regolare è necessario fornire all’organismo un quantitativo sufficiente di materia prima, cioè di proteine alimentari che daranno gli aminoacidi necessari a formare a loro volta le proteine con azione biologica nell’organismo. Questa quantità varia a secondo del livello di attività fisica e va da un minimo di 0.8 grammi per chilo corporeo per una persona sedentaria fino anche a 1.5-2 grammi per gli atleti di sport di forza e potenza. Inoltre le reazioni anaboliche sono regolate da una serie di ormoni tra cui l’insulina, l’ormone della crescita e il testosterone, anche essi influenzati dall’assunzione di cibo, dalla tipologia di attività fisica e soprattutto dal rapporto tra attività e recupero.

In situazioni come la permanenza a lungo termine in orbita, è fondamentale continuare a stimolare la sintesi proteica per ridurre al minimo le reazioni cataboliche a carico del muscolo e delle ossa. Questo si ottiene attraverso un’alimentazione bilanciata che assicura una quantità corretta di proteine e un programma di allenamento giornaliero che prevede un intenso uso dei muscoli con particolari attrezzi che simulano l’allenamento con i pesi, logicamente impossibile in orbita.

Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Proteine e muscoli | Una cosa da ragazzi

27/01/2015

Più “muscoli”, più vita

Quando si parla di muscoli molto spesso le persone pensano immediatamente ai fisici scolpiti degli atleti o ancora di più alle masse muscolari enormi dei culturisti.

Ma i muscoli servono a tutti noi, esattamente come il cuore, il cervello, la pelle o le ossa, ed è per questo che tutti noi li abbiamo.

Pochi sanno però che ogni anno dopo i 35 anni la nostra massa muscolare si ridurrà dello 0.5-1%. Arrivati ai 75 anni, per esempio, se non avremmo fatto nulla per rallentare questa perdita, potremmo ritrovarci con il 40% di massa muscolare in meno!

Questo comporta una perdita di forza e di autonomia funzionale che molto spesso è alla base della spirale che porta alla tipica fragilità dell’anziano con debolezza, perdita di equilibrio e progressiva difficoltà ad uscire di casa. A sua volta questo comporterà cambiamenti psicologici che portano all’isolamento e anche ad un conseguente rallentamento delle funzioni cognitive.

Ovviamente non tutto dipende dalla presenza o meno di muscoli ma ricordiamoci che una muscolatura integra e forte aiuta a regolare la glicemia, la pressione arteriosa e perfino l’umore e mantiene solide le ossa e per questo è un aspetto centrale nel mantenimento della salute.

Per evitare questa evoluzione negativa non serve cimentarsi in attività estreme ma basta piuttosto dare spazio nella nostra routine settimanale a qualche allenamento con pesi o elastici o perfino al semplice corpo libero in aggiunta ad una buona dose di attività aerobica come il camminare, la corsa, il nuoto o la bici. Inoltre va ricordato che per mantenere la massa muscolare integra è necessario assumere una quantità adeguata di proteine scegliendo in particolare tra pesce, legumi e carni magre. Se non vi convince l’idea di costruire muscoli più forti per ragioni estetiche, prima di accantonare l’idea di allenarvi di più, ricordatevi che più muscoli significa davvero più vita.

Dr. Filippo Ongaro

per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Nell’immagine di copertina: l’astronauta ESA Thomas Pesquet in una sessione di allenamento a Terra con ARED (advanced Resistive Exercise Device) al Columbia Center presso il Johnson Space Center (NASA) il 16 settembre 2014.

Proteine e muscoli | Sfida

27/01/2015

Tè e caffè visti da vicino

In un precedente post abbiamo parlato di quanto sia importante fare una colazione corretta per garantire fin dalla prima mattina il giusto apporto di nutrienti al proprio corpo.

Se la colazione deve essere un pasto completo può quindi arricchirsi di alimenti che di solito non consumiamo appena svegli, come uova, pane integrale, della ricotta, se non addirittura tonno e salmone. Della colazione classica, però, si può mantenere la buona abitudine di bere del caffè o del .

Il caffè, soprattutto noi italiani, lo conosciamo bene: per molti più che una semplice bevanda è un rito per scandire vari momenti della giornata. Il segreto del caffè risiede nella caffeina. Sappiamo come questa sostanza stimolante allontani la fatica e il sonno, aumenti le prestazioni del cervello e favorisca la prontezza di riflessi. In un’ora raggiunge la massima concentrazione nel sangue e il suo effetto può durare anche fino a dodici ore.

Agisce sul cuore, dilata le coronarie e le arterie, rilassa la muscolatura dello stomaco e dell’intestino e ha proprietà diuretiche che, se associate alla sudorazione, possono favorire un’eccessiva disidratazione. Per poter beneficiare delle proprietà positive del caffè e evitare, invece, gli effetti indesiderati, è bene non superare le tre tazzine al giorno sempre con l’accortezza di consumarlo senza zucchero. Se, in un primo momento, non si riesce a consumarlo amaro, si può mescolare un po’ di cardamomo o di vaniglia finché non ci si abitua al diverso sapore.  Il caffè contiene anche molti antiossidanti e sostanze che attivano il metabolismo come l’acido clorogenico.

Rispetto al caffè, siamo meno abituati a consumare il tè, ancor di più se parliamo di tè verde. Eppure questa bevanda contiene elevate concentrazioni di catechine e, in particolare, di epigallo-catechina-3-gallate, un potente antiossidante che aiuta la detossificazione epatica e ha azioni protettive nei confronti dei tumori. Il tè verde aiuterebbe anche a ridurre il livello di colesterolo “cattivo” (LDL) nel sangue oltre che il rischio di patologie cardiache. Contribuisce anche a regolare il metabolismo del glucosio, con conseguenze positive per chi soffre di diabete, e a prevenire la demenza senile. Si può dire, quindi, che il tè verde sia davvero un elisir di giovinezza.

Dr.Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/    

Nutrizione e salute

18/11/2014

Apollo

“Okay, Houston, we’ve had a problem here”. La missione Apollo 13 avrebbe dovuto essere la terza missione della NASA a portare alcuni astronauti sulla Luna. Tuttavia, un guasto impedì il previsto allunaggio, rendendo molto complicato e pericoloso il loro rientro sulla Terra. Questa vicenda è stata raccontata molto bene nel film del 1995 diretto da Ron Howard. Il programma Apollo, che utilizzò la navicella spaziale omonima e il razzo vettore Saturn, si svolse tra il 1961 e il 1975. Il momento più importante fu certamente il 20 luglio 1969, quando gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin dell’Apollo 11 sbarcarono sul nostro satellite naturale. Nel corso di quegli anni, pur essendo ancora molto distanti dai menu ad hoc preparati da Argotec, ci furono parecchie novità anche per quanto riguarda i sistemi alimentari presenti a bordo.

aldrin footprint

L’impronta dell’astronauta NASA Buzz Aldrin durante la sua discesa sulla Luna il 20 Luglio 1969, all’interno della missione Apollo11.

Durante i programmi spaziali precedenti, Mercury e Gemini, il consumo di cibo degli equipaggi era spesso inadeguato. Tuttavia, con il passare del tempo, la qualità e la varietà dello space food iniziò ad aumentare. Gli astronauti delle missioni Apollo, per esempio, furono i primi a poter utilizzare l’acqua calda, che rese possibile la reidratazione degli alimenti e migliorò allo stesso tempo il gusto del cibo, rendendolo più appetibile. Gli equipaggi diretti verso la Luna furono anche i primi a utilizzare lo “spoon bowl”, cioè un contenitore di plastica che può essere aperto e il cui contenuto può essere mangiato con un cucchiaio. La NASA utilizzò in quel periodo anche alcuni alimenti termostabilizzati o irradiati, tecniche di conservazione che al tempo erano solo agli inizi dello sviluppo. La loro versione moderna viene oggi utilizzata all’interno dello Space Food Lab di Argotec.

Per quanto riguarda l’Apollo 11, i primi “pasti lunari” furono preparati in modo da essere gustosi, nutrienti e variegati. Armstrong e Aldrin ne ebbero a disposizione due durante la loro permanenza sul nostro satellite. Il primo era composto da alcuni quadratini di pancetta, pesche, cubetti di biscotto zuccherato, succo di frutta all’ananas e al pompelmo oltre che caffè. Con il secondo era invece possibile gustare stufato di manzo, crema di zuppa di pollo, torta di frutta e succo d’arancia. In questi menu furono inclusi anche alcuni snack, in particolare frutta secca e caramelle, insieme ad altre bevande supplementari.

A differenza delle altre missioni, i nutrizionisti programmarono i menu dell’Apollo 11 solo per i primi cinque giorni di volo. Agli astronauti fu messa a disposizione una sorta di dispensa da cui scegliere le pietanze in base ai propri gusti e necessità. Tra queste erano presenti alcuni dessert reidratabili come il budino alla banana, alle mele o al cioccolato. Oppure prodotti per la colazione come pesche, macedonia di frutta, pancetta, corn flakes, cubetti di fragola o albicocca. Senza dimenticare vari tipi di insalate, carni e persino un cocktail di gamberi.

Per saperne di più:

https://www.argotec.it/argotec/index.php/spacefood/spacefood

Storia del cibo spaziale

28/08/2014

Cibo spaziale: la termostabilizzazione

Nello Space Food Lab di Argotec a Torino vengono seguite alcune linee guida molto stringenti per poter mandare sulla Stazione Spaziale Internazionale un alimento con una shelf-life (ovvero quanto a lungo si puo’ conservare) di almeno 18 mesi. Come concordato con Samantha, tutto questo deve avvenire senza l’uso di conservanti o additivi.

I pasti, cotti direttamente in autoclave seguendo le procedure approvate dopo numerosi test, devono essere sottoposti ad alcuni trattamenti specifici in grado di eliminare o bloccare tutta la carica batterica presenti negli alimenti. Uno di questi è la termostabilizzazione: i pouch multistrato, pensati appositamente per non far passare l’aria e la luce, vengono inseriti all’interno di un’autoclave per circa 20 minuti alla temperatura di 121°C. Per evitare che gusto, colore e consistenza del cibo vengano in qualche modo danneggiati dal procedimento e dal calore elevato, sono state necessarie molte ricerche e analisi da parte del team coordinato da Stefano Polato, lo chef Argotec della missione Futura.

La scelta del giusto metodo di conservazione non è affatto banale e richiede una lunga serie di test e di aggiustamenti continui. Non tutti i cibi, infatti, possono essere termostabilizzati per via delle loro caratteristiche e proprietà nutrizionali. “Per quanto riguarda il menu di Samantha – dice Stefano Polato – grazie alla sua richiesta è stato possibile effettuare molti test su prodotti “nuovi” e poco utilizzati in precedenza. Un esempio sono i cereali integrali, che sono davvero adatti alla termostabilizzazione. Questo perché il chicco di riso integrale rimane intatto e non stracuoce avendo ancora la struttura esterna che lo mantiene integro e croccante. Un’altro ingrediente che con il processo di termostabilizzazione esprime il meglio di sé è sicuramente il legume. La cosa straordinaria di questa tecnica di conservazione è che il risultato finale sorprende per profumi e sapori, questo perché durante la cottura non c’è dispersione di aromi e non avviene la classica ossidazione causata dall’ossigeno. Ovviamente, e’ essenziale che tutti gli ingredienti siano di primissima qualità.” Una parte del bonus food di Samantha è già nello spazio, dopo aver già percorso molti chilometri sulla Terra. Normalmente, i pacchetti di cibo spaziale devono prima essere spediti dalla sede di Argotec sino a Houston. Poi, dopo il controllo della NASA,  vengono inviati alla sede del lancio. Seguendo questo percorso il 29 luglio 2014 il lanciatore Ariane-5 ha portato in orbita il cargo ATV-5 Georges Lemaitre con il suo carico prezioso di 6.6 tonnellate, tra cui anche le provviste extra di Samantha.

Antonio Pilello, Argotec

Per saperne di più’: https://www.argotec.it/argotec/index.php/spacefood/spacefood

Dietro le quinte

07/08/2014

Carboidrati: nemici o amici?

“Per dimagrire bisogna eliminare i carboidrati”, “Mai mangiare i carboidrati a cena”, “I carboidrati gonfiano la pancia”: tutti nella propria vita hanno sentito pronunciare o hanno pronunciato almeno una di queste affermazioni sui carboidrati, a dimostrazione del fatto che attorno a queste sostanze ruotano innumerevoli opinioni, spesso contrastanti tra loro.

I carboidrati per molti sono il “male assoluto” quando si parla di nutrizione. In realtà non è così, a guardar bene nello schema del piatto unico, i carboidrati occupano 3/4 del piatto: per il 50% sotto forma di frutta e verdura e per il 25% sotto forma di cereali, meglio se integrali.

Bisogna considerare, infatti, che non tutti i carboidrati sono uguali: si distinguono prima di tutto in semplici (zuccheri) e in complessi (polisaccaridi). Questi ultimi sono immagazzinati sotto forma di glicogeno nel fegato e nei muscoli per essere utilizzato in caso di necessità come fonte primaria di energia per il nostro organismo. Una dieta che preveda un limitato consumo di carboidrati è dannosa perché costringe l’organismo a ricavare l’energia per esempio dalle proteine dal tessuto muscolare che in questo modo viene danneggiato.

Dall’altro lato bisogna considerare anche le conseguenze di una cattiva assunzione di carboidrati, o meglio, di zuccheri. Infatti, il regolare consumo di zuccheri provoca dei continui sbalzi della glicemia che portano a una sovrapproduzione di insulina, un ormone che facilita l’accumulo di grasso, che a lungo andare può provocare patologie come il diabete di tipo II.

Come poter beneficiare delle proprietà dei carboidrati senza incorrere negli effetti collaterali indesiderati? Scegliere dei carboidrati di buona qualità cioè quelli complessi ricchi di fibra contenuti in frutta, verdura, bacche, ortaggi e nei cereali integrali che hanno un lento assorbimento e non comportano dei picchi della glicemia. Quindi, nel proprio piatto unico, una buona porzione di verdure fresche di stagione e del riso, pasta, orzo o farro in versione integrale sono il modo migliore per garantire all’organismo tutta l’energia di cui ha bisogno.

 Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di piú: https://www.filippo-ongaro.it/

Nutrizione e salute

05/08/2014

La nostra osteria ai confini dell’Universo, seconda parte

Nell’osteria ai confini dell’Universo si possono trovare diversi tipi di cibo spaziale. Negli ultimi decenni, gli astronauti hanno potuto sostituire gli alimenti poco appetibili delle prime missioni con altri di migliore qualità. Continuiamo qui la classificazione che abbiamo iniziato. Cibi pronti per essere consumati. Confezionati in buste trasparenti e flessibili, non richiedono alcun tipo di preparazione. Esempi: noci, barrette di cereali e biscotti. Carne irradiata. Le bistecche di manzo vengono cotte, confezionate in sacchetti flessibili e quindi sterilizzate usando una radiazione ionizzante. Esempio: bistecca di manzo.Vengono utilizzati prodotti attualmente in commercio. Inoltre, a bordo sono anche disponibili dei dosatori in polietilene contenenti pepe liquido sospeso in olio e sale liquido disciolto in acqua. Esempi: ketchup, senape, maionese, salsa taco, e salsa di peperoncino. Cibi surgelati. È possibile impedire l’accumulo dei cristalli di ghiaccio attraverso un congelamento rapido. Questo mantiene praticamente intatti la consistenza e il gusto dei prodotti. Esempi: torte salate, sformati e pasticcio di pollo. Cibi refrigerati. Questi alimenti hanno bisogno di basse temperature per evitare il deterioramento. Esempi: crema di formaggio e panna acida. Tortillas a lunga conservazione. Si tratta di una buona soluzione che elimina il problema della presenza di briciole di pane e cracker in condizioni di microgravità. Le tortillas vengono confezionate in atmosfera protettiva, con un ben definito livello di acidità e di acqua libera, cioè quella effettivamente disponibile per la crescita dei batteri patogeni, in modo da inibirne la crescita.

03/07/2014