Avete visto Gravity, il film di Alfonso Cuarón, che si è aggiudicato 7 Oscar? Nelle scene iniziali, il comandante Matt Kowalsky (George Clooney) giocherella all’esterno della navicella spaziale, spingendosi con una sedia a propulsione intorno alla dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) che sta invece svolgendo un lavoro di manutenzione. L’atmosfera è serena (la quiete prima della tempesta), ideale per una passeggiata.
La passeggiata nello spazio, diciamolo, è solo un enorme equivoco. Un eufemismo con un tocco di romanticismo. In termini che asciugano fin troppo l’immaginazione, è ormai da anni in uso la dizione “attività extraveicolari” (EVA, Extra Vehicular Activity), ad indicare quel complesso di attività che un astronauta svolge all’esterno della navicella spaziale.
Sembra semplice, ma all’inizio del volo umano nello spazio, quando si sfidavano a colpi di record, statunitensi e russi non si trovavano d’accordo neanche su questo. Secondo la definizione dell’ex Unione Sovietica, infatti, un cosmonauta si trova all’esterno del proprio veicolo fin dal momento in cui è separato dal resto della navicella da un portellone ben chiuso. L’analogo potrebbe essere quello di una pallina da golf dentro una buca: non si trova “sotto terra”, perché è immersa in atmosfera – anche se bisogna ammettere che si trova neppure sul prato. Per gli statunitensi, invece, un’EVA inizia quando l’astronauta ha almeno tirato su la testa dalla sua “buca”. Una sciocchezza? Non quando le superpotenze si combattevano anche a colpi di minuti nello spazio.
In ogni caso, è bene ribadirlo, né il 18 marzo 1965 (data della prima uscita nello spazio di Alexey Leonov) né adesso, si tratta di una passeggiata. Si tratta invece della più dura e faticosa delle attività che gli astronauti sono richiesti di fare sulla Stazione Spaziale: dalle 5 alle 7 ore all’esterno della Stazione Spaziale, indossando una tuta di circa 120 kg.
È vero che le condizioni sono di assenza di peso ma, per spostarsi, l’astronauta deve vincere un’inerzia enorme. La massa della tuta si oppone a ogni movimento: braccia, gambe, corpo, testa. Per immaginare questa incresciosa situazione potete fare diverse cose: per esempio seguire una lezione dimostrativa di acquagym. Oppure, se siete più pigri o pigre, potete limitarvi a pensare all’addestramento degli astronauti: ore di immersione completa in una piscina, con indosso una tuta protettiva, a lavorare su alcuni elementi a grandezza naturale della Stazione Spaziale.
Il punto è che la tuta indossata dagli astronauti impone sforzi che sono simili a quelli che si devono fare per muoversi quando siamo immersi nell’acqua. Immaginate di montare o smontare una bicicletta mentre siete in immersione, ancorati sul fondo e indossando dei guanti che permettono solo parzialmente la presa. L’eventuale invidia per la presunta “passeggiata spaziale” dell’astronauta inizierà a far posto, prima, a una sorta di solidarietà per lui o lei, e poi di sincera soddisfazione per non essere al suo posto.
E potersi sbracciare senza tanta fatica, noi terricoli, per salutare gli amici.
Stefano Sandrelli
Per saperne di più:
L-131: Di nuovo in piscina per l’addestramento alle passeggiate spaziali
L-411: Ancorati al braccio robotico
https://www.astronautinews.it/2013/10/17/l-411-ancorati-al-braccio-robotico/
Nella foto: Samantha Cristoforetti durante l’allenamento alle EVA al Neutral Buoyancy Facility al Centro Europeo di addestramento astronauti di Colonia (Germania) il 31 Agosto 2010.
05/12/2014