Come ogni condominio che si rispetti, anche la nostra casa spaziale, la Stazione Spaziale, è afflitta da uno dei più seri problemi domestici: dove butto i rifiuti?
Oggi la questione centrale non è più, come nel primo decennio di volo umano, lo smaltimento di urine e feci. Ormai i sistemi di riciclo delle prime sono utilizzati ampiamente per rifornire di acqua potabile gli astronauti, mentre le seconde vengono immagazzinate dai serbatoi delle toilet. È la naturale conseguenza di missioni in orbita che non durano più pochi giorni, ma dai 3 ai 6 mesi.
Una lunga permanenza nello spazio comporta anche ad esempio l’accumulo di oggetti che si rompono, che si deteriorano, che non servono più, che si sporcano tanto da renderli inutilizzabili. Nonché dai depositi di feci a cui abbiamo accennato sopra. Insomma, rappresentanti di ciascuna di quelle categorie che noi terricoli conosciamo bene.
E allora? E allora la soluzione di questi ultimi anni escogitata per la Stazione Spaziale Internazionale ha la genialità delle idee semplici: un modulo che può essere riempito e che poi… si butta via.
Lo avete riconosciuto? È il Veicolo Automatico di Trasferimento (ATV) dell’ESA. Da affabile maggiordomo che porta agli abitanti dello spazio aria, cibo, acqua, esperimenti, vestiario, l’ATV viene gradualmente riempito di cose da dimenticare. Se la ISS fosse una villetta, l’ATV sarebbe la sua soffitta: con la comodità di poterla cambiare quando è piena. Ammettiamolo pure, con la giusta dose di cinismo: nei sei mesi in cui rimane attraccato alla ISS, piano piano l’ATV si trasforma in gentile e iper tecnologico bidone della spazzatura.
Nel corso del suo rientro, il modulo viene fatto tuffare nell’atmosfera a velocità ipersonica. Qui si disintegra in circa 700 pezzi. A circa 50 km di quota, l’alta temperatura (fino a 1500 gradi) causata dalla frizione atmosferica provoca l’esplosione dei serbatoi e il consumo del propellente residuo. Quasi tutti i pezzi dell’ATV vengono fusi e vaporizzati in questa fase, ben prima di arrivare a terra. L’impatto sul nostro pianeta e sulla sua atmosfera è praticamente nullo.
Sono pochissimi gli elementi in grado di raggiungere la superficie terrestre. Il pezzo più significativo è il motore, che è stato costruito per resistere a temperature molto alte. Tuttavia la traiettoria di rientro dell’ATV è calcolata in modo che i residui solidi si tuffino in una grande area disabitata dell’oceano pacifico, per cui il rischio di essere colpiti da pezzi di pattumiera galattica è effettivamente molto basso.
Visto che siamo in tema, vale la pena ribadire che questi rifiuti hanno ben poco a che vedere con rifiuti orbitali come satelliti spenti, pezzi di satelliti che sono esplosi, serbatoi vuoti, bulloni, schegge, addirittura guanti persi durante passeggiate spaziali. Questi residui, che sono rimasti in varie orbite intorno alla Terra, costituiscono un grave inquinamento dovuto all’uomo, ma non sono legati in modo specifico alle attività degli astronauti.
E questo è un problema da affrontare ben altrimenti che con l’ATV: si tratta di milioni di frammenti di artefatti sui quali occorre intervenire. In primo luogo non facendone aumentare il numero in futuro e, possibilmente, facendolo diminuire. Diversi studi sono in corso nelle varie agenzie spaziali e, ogni tanto, qualcuno fa capolino anche sulla stampa. Difficile dire quale sia il progetto più promettente.
Ma il concetto è chiaro: sviluppo sostenibile anche nello spazio.
Stefano Sandrelli
08/08/2014
2 Comments
Ragazzi non ci siamo. Qualcuno vi ha detto che niente si crea e niente si distrugge? Non pensate che le ton di rifiuti vaporizzati, prima o poi ricadranno a terra? Bellina anche l’idea dei motori seminati in mare, nimby! alla grande. Personalmente preferirei sentir dire: al momento non abbiamo una soluzione migliore, scusate. Almeno dareste l’idea di essere consapevoli di quanto le missioni spaziali sporchino il pianeta. Per il resto: avanti tutta Avamposto 42, ti seguiremo con trepidazione ed affetto,
Caro Capperom,
su una cosa hai ragione: di tutto si deve dire che “al momento non
riusciamo a fare di meglio”. Altrimenti a che serve la ricerca?
Pero’, appunto, niente panico. Nel mio articolo non ho riportato
i numeri, che pero’ aiutano a capire.
E’ vero che l’idea che “qualche tonnellata di rifiuti” sia buttata
in atmosfera fa un po’ impressione. Considera pero’ che quando i
rifiuti si vaporizzano, si trasformano in gas, che poi si mescola
con quello dell’alta atmosfera. Qualche tonnellata di gas prodotti
è una quantità’ enormemente piccola e non modifica l’atmosfera in
nessun modo. Considera che l’atmosfera è composta da
circa 5 milioni di miliardi di tonnellate di gas. E’ come perdere
una pallina nera fra 5 milioni di miliardi di tonnellate di palline
bianche: pensi di ritrovarla? Scherzi a parte, non respiri niente
di nocivo in questo modo, non ci sono veramente effetti: nessun
buco nell’ozono, niente di niente.
E se qualche tonnellata di rifiuti continua a sembrarti tanta,
considera anche che un termovalorizzatore come quello
di Bologna, una città di medie dimensioni, tratta circa 600
tonnellate di rifiuti al giorno (fonte: FEA,
https://www.feafrullo.it/archivio_faq/). Al giorno!
Circa il motore, la questione e’ più’ complicata. Al momento
davvero non si riesce a fare di meglio. In questo caso,
come ho scritto, si pilota il tutto in modo che cada in aree non
abitate del Pacifico. Quindi non solo nimby, ma nel cortile di
nessuno. Anche in questo caso si tratta di un motore per ogni ATV,
che sono stati 5 finora. Motori che non contengono materiali
pericolosi, non ci sono materiali radioattivi ne’ altro. I nostri
mari, i nostri oceani, sono pieni di ben altre cose che
ci preoccupano. Ma non lo dico per distogliere l’attenzione dalle
attività spaziali: bisogna avere gli occhi aperti sempre. Lo dico
perché, al momento, non sono le attività’ spaziali a essere
preoccupanti per lo stato di salute del pianeta.
un saluto,
stefano sandrelli