L’equipaggio della Soyuz, la piccola astronave russa che ci porterà sulla Stazione Spaziale Internazionale, è composto da tre persone. Nel posto centrale si siede il comandante, che è sempre un/a cosmonauta russo/a. Nel mio caso si tratta di Anton Shkaplerov, al suo secondo volo nello spazio.
Io mi siederò nel posto di sinistra, quello dell’ingegnere di bordo, una sorta di co-pilota, anche se non si può davvero dire che la Soyuz si piloti come un aeroplano. L’addestramento del comandante e dell’ingegnere di bordo sono pressoché identici per quanto riguarda la conoscenza dei sistemi di bordo e delle procedure, nonché nella capacità di controllare manualmente il veicolo in alcune fasi del volo, come l’avvicinamento finale alla Stazione Spaziale, l’attracco e il rientro nell’atmosfera.
Ma quando siamo ai nostri posti nel simulatore Soyuz, o presto nel veicolo reale, ognuno di noi ha dei compiti ben precisi, che in gran parte derivano dall’accessibilità dei controlli. Per esempio, solo il comandante nel posto centrale ha una buona visione dal periscopio e può quindi controllare l’orientamento del veicolo prima di accendere il motore. Io, invece, nel posto di sinistra, ho accesso per esempio ai cosiddetti “comandi particolarmente importanti”, una serie di 22 pulsanti che permettono di effettuare molte operazioni vitali anche con il computer di bordo in completa avaria.
Come ingegnere di bordo ho inoltre, ancor più del comandante, la responsabilità di conoscere perfettamente il funzionamento di tutti i sistemi, in modo da poter supportare l’equipaggio nel prendere rapidamente la giusta decisione in caso di situazioni non nominali.
30/06/2014
Non sono cresciuta con il sogno di diventare pilota militare, probabilmente perché non c’erano donne nelle Forze Armate italiane quando ero giovane.
Mi affascinavano però molto gli aerei militari e compravo spesso le riviste specializzate. Su queste, ogni tanto, nella seconda metà degli anni ’90, quando io frequentavo l’università, si leggeva della possibile introduzione del servizio militare volontario femminile e io iniziai seriamente a pensare che, se fosse diventato possibile, avrei tentato di entrare in Accademia Aeronautica. La legge, però, tardava ad arrivare e nel 1998 io avevo ormai superato i limiti di età per l’amissione in Accademia.
I primi concorsi per le Forze Armate aperti alle donne si ebbero finalmente nel 2000. Potete immaginare il mio immenso stupore quando lessi che i limiti di età per le candidate erano stati innalzati di tre anni fino al 2002! Ormai al quarto anno di ingegneria, decidi di prendermi ancora un anno per laurearmi e poi, all’età di 24 anni, avrei avuto una chance di tentare il concorso.
Quell’anno, tra settembre 2000 e agosto 2001, fu tra i più intensi della mia vita. Ero a Mosca a lavorare sulla tesi di laurea, cercando di imparare rapidamente sia il russo che la chimica dei combustibili solidi. A febbraio tornai a Monaco per gli ultimi esami e poi partecipai, in un grande hangar di Guidonia pieno di banchetti “scolastici”, ai testi psico-attitudinali del concorso per l’Accademia Aeronautica. In giornata il responso: test superati! Si passava alla fase successiva. Tornai di nuovo da Mosca per le visite mediche. Quando misurarono la mia altezza, avevo il cuore in gola, perché sapevo di essere molto vicina al limite di 1,65m. Il sollievo fu immenso quando il medico lesse “1 m 65cm e 3mm”.
Seguirono altre fasi concorsuali e un lavoro frenetico per consegnare la tesi entro l’estate. Poi, finalmente, il telegramma con la convocazione in Accademia Aeronautica per il 31 agosto. Era stato un anno davvero faticoso ed ero esausta, ma anche al colmo della felicità e ansiosa di affrontare una nuova sfida. Un’esperienza che si sarebbe ripetuta circa otto anni dopo…
17/06/2014