→ Niente Panico

” La Guida galattica per autostoppisti è un libro decisamente notevole, forse il più notevole, sicuramente quello di maggiore successo, mai pubblicato dalle grandi case editrici dell’Orsa Minore. Più popolare del “Manuale di economia domestica celeste”, più venduto di “Altre 53 cose da fare a gravità zero”… per due importanti ragioni. Primo, costa un po’ meno; secondo, reca la scritta, DON’T PANIC, niente panico, in grandi e rassicuranti caratteri sulla copertina “.
In questa sezione, settimana dopo settimana, troverete fatti, curiosità, approfondimenti ai limiti della fantascienza legati alla principale sfida che l’uomo deve affrontare nello spazio. Una sfida per affrontare una mancanza, un vuoto: l’assenza di peso, appunto. Sfida che viene vinta con la tecnologia, con la pazienza, con l’allenamento, con il lavoro di team e anche con la giusta nutrizione.

Una missione in assetto ideale

Anton Shkaplerov e Terry Virts: li avete riconosciuti? Sono i compagni di missione di Samantha Cristoforetti. Con lei, sono assegnati alla missione della Soyuz TMA-15M che, a fine novembre, li condurrà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.

Ora provate a immaginare di chiedere loro di progettare il patch per la missione Soyuz su cui stanno per imbarcarsi. Che cosa ne verrà fuori? Un suggerimento: Samantha, Anton e Terry non sono solo tre astronauti, ma anche tre piloti. Avete già un’idea? Ecco un altro suggerimento: hanno voluto puntare tutto sul concetto di equilibrio.

ASoyuz_TMA-15M_2014 questo punto, se siete appassionati di simulatori di volo, probabilmente avete intuito qualcosa. Ma se non lo siete, avete bisogno di un terzo indizio. Eccolo: è un po’ come se tre tennisti si fossero ispirati alla loro racchetta. Come se tre ciclisti avessero preso spunto dal manubrio. Chiaro? No? D’accordo, ve lo diciamo noi: avete presente quella specie di bussola sul cruscotto di un aereo che mostra l’assetto del veicolo durante il volo? Sì, quella che vi fa capire se state andando nella direzione giusta? Quello è uno degli strumenti più importanti per un pilota: si chiama indicatore di assetto, o orizzonte artificiale.

Ecco: Samantha, Anton e Terry si sono ispirati proprio a quello. Come per dirci: noi andiamo, ma serve equilibrio e tecnologia.

Grazie alla grafica magistrale di Riccardo Rossi, nel patch le linee orizzontali di riferimento dell’indicatore sono rappresentati dalla Soyuz stessa e dei suoi pannelli solari, mentre le scale angolari rappresentano gli angoli di beccheggio e rullio. La Soyuz ha un assetto che corrisponde a un angolo di rullio di 15° (15 è il numero di serie di questa Soyuz TMA) e a un angolo di beccheggio di 51° (51 corrisponde all’inclinazione dell’orbita rispetto all’equatore).

Ma non è finita qui. Come in un bestiario medioevale, ci sono altri infiniti rimandi e simboli. Per esempio, il Sole che sorge suggerisce la consapevolezza e il rinnovo, mentre le tre stelle più evidenti, vicino alle costellazioni dell’Auriga e di Cassiopeia, rappresentano la realizzazione del sogno dei tre astronauti: il volo spaziale. Come i loro sogni fossero divenuti stelle.

Infine il numero totale di stelle corrisponde alle ultime due cifre dell’anno di lancio (2014) e – se includiamo il Sole – alle ultime due cifre dell’anno di ritorno (2015).

Infine, un’ultima nota significativa. Osservate l’ombra della Soyuz. Non ha affatto la forma della capsula russa. Ha la forma di un aereo. In particolare combina elementi di un MiG-29 russo, di un F-16 USA e di un AMX italiano, a sottolinare il legame indissolubile tra aviazione e volo spaziale.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

15/10/2014

Il poster fantascientifico della Expedition 42

Non è un segreto che questo sito, Avamposto 42, debba il suo nome al numero della Expedition, la 42 appunto, di cui il Cap. Samantha Cristoforetti, astronauta ESA di nazionalità italiana impegnata nella Missione Futura dell’ASI e Pilota dell’Aeronautica Militare, fa parte. Come non è un segreto che Samantha Cristoforetti abbia voluto giocare sul numero 42, attingendo a piene mani dalla Guida Galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, libro-cult della fantascienza ironica fin dalla sua prima uscita, ormai 35 anni fa. Ma questa volta i sei astronauti e cosmonauti della Expedition 42 hanno fatto ancora di più: si sono si trasformati in alcuni dei personaggi che animano le storie del ciclo della Guida nella realizzazione del poster per il programma Space Flight Awareness dalla NASA. Poster su cui campeggia il motto “Don’t panic” – niente panico. Non a caso, il titolo di questa sezione di Avamposto 42. Ve li presentiamo, personaggi e astronauti/cosmonauti, da sinistra a destra:

• Zaphod Beeblebrox è impersonato da Terry Virts e Anton Shkaplerov (servono due cosmonauti, visto che ha due teste); • Humma Kavula è Aleksander Samokutyayev • Arthur Dent, ovvero Barry “Butch” Wilmore • Ford Prefect: Elena Serova • Trillian, la nostra Samantha Cristoforetti • Guest star: Marvin, il robot paranoide, interpretato dal Robonaut

E dato che non tutti hanno letto la “Guida Galattica”, una mancanza davvero disdicevole, che in certi circoli del Sistema planetario di Beta Pictoris viene punita con la lettura obbligata dell’opera Omnia di ARGStramph, il peggiore dei poeti Vogon, ecco alcuni spunti per assaporare almeno il senso dei personaggi interpretati dagli astronauti di Expedition 42. Zaphod Beeblebrox è uno dei grandi protagonisti della Guida. Ha due teste, raramente pensanti, certamente squilibrate, e almeno tre braccia. Edonista, irresponsabile, insensibile e tuttavia carismatico, è stato Presidente della Galassia e, soprattutto, ha inventato il Gotto Esplosivo Pangalattico, la miglior bevanda alcolica dell’Universo. Humma Kavula è ora un missionario che predica l’Avvento del Grande Fazzoletto Bianco, ma in passato è stato un pirata dello spazio. I suoi occhiali nascondono l’assenza degli occhi dovuta a una ferita. È stato avversario di Zaphod nella corsa per l’elezione di Presidente della Galassia, con lo slogan “Non votate quello stupido!” Ha perso e non l’ha presa benissimo. Arthur Dent è un terrestre spaesato, nel senso più letterale del termine: la sua casa viene distrutta dalle ruspe per fare spazio a una nuova strada. Per una strana e certamente significativa coincidenza, quello stesso giorno la Terra viene distrutta da una flotta di navi extraterrestri, per costruire una nuovissima autostrada. Arthur viene salvato da Ford Perfect innumerevoli volte. Ford Perfect non è un tranquillo ragazzo di Guilfod ma proviene da un piccolo pianeta dalle parti di Betelgeuse ed e’ arrivato sulla Terra per aggiornare la voce relative al nostro pianeta per la Guida Galattica. Dopo anni di vita terrestre, il suo contributo alla Guida recita: “Terra: praticamente innocua”. Grande amico di Arthur Dent, lo guida nelle sue esilaranti avventure nell’Universo. Trillian, e’ descritta come “bruna, magra, umanoide, con lunghi capelli neri ondulati, labbra piene, uno strano naso a patata e occhi assurdamente castani”. Insieme a Arthur è l’unica terrestre sopravvissuta alla demolizione, ed è una brillante matematica e astrofisica. Arthur Dent ha provato un’intera sera ad abbordarla a un party a Islington. Purtroppo al party era presente – sotto mentite spoglie – anche Zaphod, con il quale Trillian era finita per uscire. Salverà l’Universo dai terribili Krikketers. Marvin: è un robot di straordinarie capacità mentali ma di scarsissima tenuta psicologica. Di fatto è inconsolabilmente depresso e la sua compagnia ha veramente dell’insopportabile.

E infine una nota specifica sull’arma tenuta in mano da Samantha – Trillian: si tratta di un Fucile a Punto di Vista. Quando viene azionato contro qualcuno, quest’ultimo inizia a vedere le cose dal punto di vista di chi ha premuto il grilletto. È stato inventato per rispondere a una precisa richiesta del Consorzio delle Mogli Arrabbiate, che erano definitivamente stufe di terminare i litigi con i propri mariti con la frase : “non capisci proprio, vero?”.

Stefano Sandrelli

Per saperne di più’ potete guardare la raccolta di poster della NASA dedicati alle citazioni nei poster delle missioni:

https://www.nasa.gov/directorates/heo/sfa/products.html

Niente Panico

06/10/2014

Michelangelo in orbita

La Cupola della Stazione Spaziale internazionale è affrescata come la cupola di San Pietro, in Vaticano. Ma mentre a San Pietro si guarda affascinati la cupola stessa e il meraviglioso progetto di Michelangelo, sulla stazione spaziale si guarda attraverso la Cupola. Più trasparente è, più si apprezza. I suoi affreschi variano mentre la stazione spaziale internazionale si muove intorno al pianeta: sono continenti, mari, nuvole. È l’infinita fragilità della Terra a commuovere, la sottigliezza dell’atmosfera, che sembra giusto una pennellata di tenue azzurro che sfuma nel nero del cosmo; sono i colori sempre variabili, è l’assenza di confini fra stati. È l’alternanza instancabile tra giorno e notte: la ISS, a circa 400 km di quota, ruota intorno alla Terra compiendo un’orbita in 90 minuti.

La Cupola è un piccolo modulo a base esagonale, con un diametro di appena 3 metri, installato sulla finestra che punta verso la Terra del nodo 3, Tranquillity. La sua vera forza sono le 7 finestre che ha portato in dono agli astronauti: una per lato, più una settima sulla sommità. Quest’ultima, di ben 80 cm è la più grande mai usata nella storia del volo spaziale umano. Da qui gli astronauti, non solo possono dedicarsi alle fotografie del pianeta, ma sono anche in grado di controllare a vista alcune operazioni robotiche e le attività dei colleghi che stanno eseguendo una EVA, una “passeggiata spaziale”.

niente panico cupola 2Questa straordinario balcone sullo spazio è un prodotto a marca italiana: è stata consegnata alla NASA da Alenia Spazio (ora Thales Alenia Spazio), che sovrintendeva il lavoro di altre numerose industrie europee, il 6 settembre 2004. A causa del blocco dei voli degli Shuttle, si è dovuto attendere oltre 6 anni per vederla sulla ISS: è stata installata il 15 febbraio 2010, l’ottavo giorno della missione STS-130 dello Shuttle Endeavour.

I vetri delle finestre (in silicio fuso e vetro borosilicato) non sono lasciati impunemente allo spazio, ma sono protette – quando non in uso – da una “tapparella” di protezione. Opportuna, visto che appena due anni dopo il suo arrivo, è stata colpita – senza danni – da un micrometeorite.

Di qui, dicevamo, non si vedono confini fra nazioni. Eppure qualche cosa si intravede. Perché nel suo incessante orbitare intorno alla Terra, la ISS sorvola linea di demarcazione giorno-notte 32 volte, due ogni orbita. Quando si osserva la notte terrestre, a seconda del continente su cui si sta passando, le luci delle città sono estremamente diverse. Grandi deserti, catene montuose, certo. Ma non solo: anche paesi più ricchi e più illuminati e paesi più poveri. Non che non si sappia: ma vederlo così “illuminato” fa una certa impressione. Sta a noi il compito di trasformare la fragilità del pianeta in una forza per il futuro.

Stefano Sandrelli

Fonti

Shuttle windows:

https://www.nasa.gov/missions/highlights/webcasts/shuttle/sts113/processing-qa.html

La cupola:

https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/International_Space_Station/Cupola

Il micrometeorite:

https://www.nasaspaceflight.com/2012/06/cupola-minor-mmod-strike-shutter-closed-evaluations/

Niente Panico

19/09/2014

Sulla ISS a caccia di funghi

Parlando di nutrizione, come non occuparci del “plancton spaziale”? Certo, si tratta di nutrizione di cetacei, non di astronauti, ma casomai si decidesse di mandare su Marte una balena… inutile dire che stiamo scherzando, vero?

La storia è questa. Secondo l’agenzia di stampa russa Itar-Tass, il cosmonauta Vladimir Solovyev, responsabile del segmento russo della Stazione Spaziale Internazionale, ha rivelato che l’esperimento TEST ha documentato la presenza di plancton capace di vivere sulla superficie esterna della navicella.

Secondo Solovyev il problema maggiore è spiegare come del plancton, che vive nei mari, possa essere arrivato a 400 chilometri di quota. Correnti di aria ascensionali? Oppure contaminazione da parte delle superfici di navette spaziali attraccate alla Stazione Spaziale? O altre spiegazioni? Al momento non risultano commenti di nessun’altra agenzia spaziale. Staremo a vedere.

Certo che è che gli studi sulla sopravvivenza di forme di vita elementari nello spazio sono probabilmente fondamentali per comprendere l’origine e la diffusione della vita nello spazio. E nel corso degli anni non sono mancate sorprese e novità riguardo a capacità di sopravvivenza insospettate di alcune di queste forma di vita.

L’esperimento “Lichens” dell’ESA, condotto a bordo di un Foton-M2 nel 2005, per esempio, aveva riportato la notevole resistenza dei licheni alla esposizione delle dure condizioni del vuoto: radiazioni ultraviolette, temperature estreme, assenza di pressione e di peso. Gli studi sono proseguiti e negli anni successivi sono stati realizzati esperimenti analoghi (di qualche settimana, come Biopan su un Foton M-3) o di maggiore durata (come la EXPOSE-E, nel corso della missione Columbus sulla Stazione Spaziale, di 18 mesi) ma sempre di grande semplicità.

Nel caso di EXPOSE-E, per esempio, un ricettacolo di batteri, licheni, alghe, germi, è stato disposto in un contenitore a celle separate e esposto al vuoto spaziale, all’esterno della ISS. Naturalmente ancora senza protezione contro radiazioni ed escursioni termiche di oltre 50 °C, con centinaia di passaggi da -12 °C a +40 °C..

I più resistenti? I licheni. Addirittura, alcuni di essi, una volta riportati a terra 18 mesi più tardi, hanno continuato tranquillamente a crescere, come se l’intermezzo spaziale non li avesse turbati più di tanto.

Perché è interessante tutto questo? Per almeno due motivi.

Una scoperta del genere è un piccolo punto a favore dell’ipotesi della panspermia: una vita che si diffonde attraverso il vuoto interstellare. Niente di conclusivo, dato che i viaggi interstellari non durano certo mesi ma decine di anni alla velocità della luce, solo per rimanere nei dintorni del Sole. Inoltre alcune ditte che si occupano di creme per la protezione solare hanno alzato le antenne: i licheni hanno resistono 18 mesi ai raggi UV del Sole? Qual è il loro segreto? Sarà utilizzabile per migliorare i loro prodotti?

Le ricerche continuano. In attesa di saperne di più sulla curiosa storia del plancton.

Stefano Sandrelli

Per saperne di più’:

https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Lichen_survives_in_space

https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Columbus/The_toughest_life_on_Earth

Niente Panico

04/09/2014

Dormire, forse sognare

L’astronauta della NASA Dan Burbank (Expedition 30) racconta che sulla Terra gli accadeva spesso di sognare di volare. Una volta in orbita, però, il suo sogno più frequente era di camminare con i piedi ben piantati sul nostro pianeta.

Luca Parmitano, invece, ogni mattina si svegliava e dimenticava i sogni. Non dimenticava però l’ultimo saluto alla moglie Kathy, la sera prima.

E che cosa sognerà Samantha, una volta in orbita? Basterà aspettare e chiederglielo. Intanto, fra i suoi tanti allenamenti, ha messo in pratica anche alcuni accorgimenti per controllare al meglio i ritmi del sonno.

In effetti, molti astronauti hanno raccontato di non riposare altrettanto bene e meno di quanto non accada loro sulla Terra. Un fenomeno studiato da tempo e che può avere varie cause.

Ora la rivista The Lancet Neurology ha pubblicato uno studio condotto da ricercatori della Brigham and Women’s Hospital (BWH) Division of Sleep and Circadian Disorders della Harvard Medical School, in collaborazione con la Università del Colorado, durato oltre 10 anni. I ricercatori americani hanno confrontato 4000 notti di sonno sulla Terra con oltre 4200 notti nello spazio, usando dati raccolti su 64 astronauti che hanno partecipato 80 voli Shuttle e 21 astronauti a bordo della Stazione Spaziale. L’analisi dei dati ha il merito di trasformare le sensazioni in misure. Per esempio, la ricerca mostra che la durata media di una notte di sonno in orbita è circa 6 ore, contro le 8 ore e mezzo previste dalla NASA.

Da una parte, dormire sulla Stazione Spaziale non è semplice come potrebbe sembrare. È vero che gli astronauti possono contare su un piccolo spazio privato – una specie di nicchia con le pareti morbide, grande quanto basta per contenere una persona, qualche pc e qualche altro effetto personale appeso alle pareti – ma certo non possono sprofondare nel sonno, dato che, in assenza di peso, viene meno quella bella sensazione di liquefarsi sul letto.

Per dormire poi, in genere usano delle mascherine per gli occhi e dei tappi per le orecchie. E, infine, si infilano in una specie di sacco a pelo (senza pelo, perché non ha funzioni termiche particolari), che evita loro di fluttuare in giro per l’astronave, sospinti dai flussi  dei condizionatori per il riciclo dell’aria. Insomma, le condizioni sono un po’ più artificiali di quanto si potrebbe sperare.

Lo studio, fra l’altro, mette in evidenza che anche le settimane prima del lancio sono caratterizzate da una diminuzione delle ore di riposo. Il che, al di là dei motivi fisiologici, non crediamo che stupisca nessuno, se è vero che – a noi terricoli – a volte basta il pensiero di un appuntamento il giorno dopo per saltare qualche ora di sonno.

La conclusione è molto semplice. Visto che, a lungo andare, meno riposo significa anche meno reattività, meno lucidità e, in generale, una peggiore forma fisica, occorre trovare misure efficaci per permettere agli equipaggi che rimangono in orbita a lungo di riposare in modo adeguato.

A questo proposito, forse può venirci in aiuto la Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams, che ricorda come “l’asciugamano è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere”. Fra i vari motivi elencati c’è anche il fatto che “potete avvolgervelo intorno alla testa per evitare gas nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal”.

O anche per dormire meglio sulla ISS, dovremmo aggiungere. Potremo allora dire che i nostri astronauti sono “frughi che sanno davvero dove hanno l’asciugamano”.

La Guida galattica per gli autostoppisti chiarisce che frugo significa tipo straordinariamente in gamba. Ed è uno dei titoli più ambiti nell’intero universo.

Per saperne di più’: https://blogs.esa.int/luca-parmitano/it/2013/10/23/a-day-on-the-international-space-station/ https://www.space.com/14131-astronauts-dream-space-iss-crew.html

Niente Panico

25/08/2014

E questo dove lo butto?

Come ogni condominio che si rispetti, anche la nostra casa spaziale, la Stazione Spaziale, è afflitta da uno dei più seri problemi domestici: dove butto i rifiuti?

Oggi la questione centrale non è più, come nel primo decennio di volo umano, lo smaltimento di urine e feci. Ormai i sistemi di riciclo delle prime sono utilizzati ampiamente per rifornire di acqua potabile gli astronauti, mentre le seconde vengono immagazzinate dai serbatoi delle toilet. È la naturale conseguenza di missioni in orbita che non durano più pochi giorni, ma dai 3 ai 6 mesi.

Una lunga permanenza nello spazio comporta anche ad esempio l’accumulo di oggetti che si rompono, che si deteriorano, che non servono più, che si sporcano tanto da renderli inutilizzabili. Nonché dai depositi di feci a cui abbiamo accennato sopra. Insomma, rappresentanti di ciascuna di quelle categorie che noi terricoli conosciamo bene.

E allora? E allora la soluzione di questi ultimi anni escogitata per la Stazione Spaziale Internazionale ha la genialità delle idee semplici: un modulo che può essere riempito e che poi… si butta via.

Lo avete riconosciuto? È il Veicolo Automatico di Trasferimento (ATV) dell’ESA. Da affabile maggiordomo che porta agli abitanti dello spazio aria, cibo, acqua, esperimenti, vestiario, l’ATV viene gradualmente riempito di cose da dimenticare. Se la ISS fosse una villetta, l’ATV sarebbe la sua soffitta: con la comodità di poterla cambiare quando è piena. Ammettiamolo pure, con la giusta dose di cinismo: nei sei mesi in cui rimane attraccato alla ISS, piano piano l’ATV si trasforma in gentile e iper tecnologico bidone della spazzatura.

Nel corso del suo rientro, il modulo viene fatto tuffare nell’atmosfera a velocità ipersonica. Qui si disintegra in circa 700 pezzi. A circa 50 km di quota, l’alta temperatura (fino a 1500 gradi) causata dalla frizione atmosferica provoca l’esplosione dei serbatoi e il consumo del propellente residuo. Quasi tutti i pezzi dell’ATV vengono fusi e vaporizzati in questa fase, ben prima di arrivare a terra. L’impatto sul nostro pianeta e sulla sua atmosfera è praticamente nullo.

Sono pochissimi gli elementi in grado di raggiungere la superficie terrestre. Il pezzo più significativo è il motore, che è stato costruito per resistere a temperature molto alte. Tuttavia la traiettoria di rientro dell’ATV è calcolata in modo che i residui solidi si tuffino in una grande area disabitata dell’oceano pacifico, per cui il rischio di essere colpiti da pezzi di pattumiera galattica è effettivamente molto basso.

Visto che siamo in tema, vale la pena ribadire che questi rifiuti hanno ben poco a che vedere con rifiuti orbitali come satelliti spenti, pezzi di satelliti che sono esplosi, serbatoi vuoti, bulloni, schegge, addirittura guanti persi durante passeggiate spaziali. Questi residui, che sono rimasti in varie orbite intorno alla Terra, costituiscono un grave inquinamento dovuto all’uomo, ma non sono legati in modo specifico alle attività degli astronauti.

E questo è un problema da affrontare ben altrimenti che con l’ATV: si tratta di milioni di frammenti di artefatti sui quali occorre intervenire. In primo luogo non facendone aumentare il numero in futuro e, possibilmente, facendolo diminuire. Diversi studi sono in corso nelle varie agenzie spaziali e, ogni tanto, qualcuno fa capolino anche sulla stampa. Difficile dire quale sia il progetto più promettente.

Ma il concetto è chiaro: sviluppo sostenibile anche nello spazio.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

08/08/2014

Un funghetto per Rosetta

Nelle immagini raccolte dallo strumento OSIRIS, a bordo della sonda dell’ESA Rosetta, la cometa Comet 67P/Churyumov-Gerasimenko appare ancora poco dettagliata, sfumata: ha ancora l’incertezza dei sogni inseguiti a lungo. Eppure, dopo un percorso di dieci anni e di oltre 6 miliardi di kilometri, il 14 luglio scorso, Rosetta si trovava a soli 12 mila kilometri dal traguardo, che risulta ancora più interessante di quanto avessimo immaginato. La cometa, oltre a ruotare su se stessa, ha una forma molto irregolare, che ricorda decisamente quella di un funghetto misterioso.

Per il 6 agosto è previsto l’arrivo a destinazione: in realtà, si tratterà dell’inserimento in orbita intorno alla cometa, un’orbita che verrà mantenuta anche attraverso i motori della sonda stessa. Da qui inizierà la seconda vita di Rosetta, la parte più importante della missione: la sonda seguirà la Churyumov-Gerasimenko nel corso del suo avvicinamento al Sole.

Un'immagine della cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko ottenuta il  14 Luglio 2014 dalla camera OSIRIS della sonda ESA Rosetta. Le immagini hanno permesso di creare un modello 3D della cometa che mostra la sua struttura con il doppio lobo.

Un’immagine della cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko ottenuta il 14 Luglio 2014 dalla camera OSIRIS della sonda ESA Rosetta.
Le immagini hanno permesso di creare un modello 3D della cometa che mostra la sua struttura con il doppio lobo.

E nel prossimo novembre, vi lascerà cadere il lander Philae, che arpionerà la cometa e, se tutto va bene, sarà in grado di raccogliere del materiale sotto la superficie e analizzarlo dal punto di vista fisico-chimico. Nei mesi successivi, fino al massimo avvicinamento alla nostra stella, Rosetta e Philae assisteranno a uno dei fenomeni più straordinari che conosciamo: la nascita e lo sviluppo delle code cometarie.

Forse è poco scientifico, ma se c’è una missione che rasenta la fantascienza o il fantasy, questa è davvero Rosetta. Lanciata il 2 marzo 2004, dopo un rinvio di un anno, Rosetta è stata inizialmente immessa su una traiettoria che aveva lo scopo di aumentarne la velocità. Come una fionda che viene fatta roteare prima del lancio vero e proprio, Rosetta ha ricevuto ben 4 spinte gravitazionali in sequenza (Terra, Marte, Terra, Terra).  Nei 5 anni che sono occorsi, la sonda ha disegnato nello spazio una curva che pittori astrattisti come Klee o Kandinskij avrebbero sicuramente apprezzato.  Poi, come se non bastasse, tra una curva e l’altra, Rosetta ha già osservato due asteroidi della fascia principale, Steins e Lutetia. L’insieme dei dati raccolti, ci fornirà elementi fondamentali per capirne di più sulla formazione del Sistema Solare.

Ogni volta che si scrive di Rosetta, vien quasi da pensare di trovarsi davvero di fronte a una stella del cinema un po’ “esibizionista”. Non si fa mancare niente. Come in un film di fantascienza classica, in cui i lunghi viaggi nello spazio si affrontano con l’ibernazione dei protagonisti, anche Rosetta è stata “ibernata”: nel giugno 2011 le sue funzioni vitali sono state ridotte al minimo e solo nel gennaio scorso, da Terra è arrivato il segnale di risveglio. È stato, finora, uno dei momenti più emozionanti per tutti coloro che hanno partecipato alla missione: non era mai successo che un set di strumenti venisse spento per così tanto tempo e non c’era la certezza del risveglio.

Ma tutto questo è niente, rispetto alla coda che nascerà.

Aggiornamento del 6 agosto: 

Rosetta c’è. È arrivata alla Comet 67P/Churyumov-Gerasimenko dopo un inseguimento di 10 anni e 6 miliardi di km. Una costanza rara, degna di Romeo e Giulietta, anzi Rosetta.

La manovra di avvicinamento è perfettamente riuscita. Nei prossimi 4 giorni, la sonda dell’ESA accompagnerà la cometa nel suo avvicinamento al Sole. Non orbiterà intorno alla cometa, ma la precederà mantenendosi a  circa 100 km di distanza, in modo da controllare istante per instante la superficie esposta al Sole. Uno degli scopi di questa prima fase della missione è saperne di più sulla sua composizione esterna.

Massimo Capaccioni (INAF-IAPS) PI dello strumento VIRTIS a bordo della sonda sottolinea come i primi risultati siano già arrivati. Dall’analisi della emissione termica e della radiazione riflessa, si ricava la massima temperatura della superficie cometaria e il suo andamento con la rotazione. Da questi primi dati si deduce che la crosta, almeno i primi centimetri di spessore, sia porosa e non contenga ghiacci, ma sia dominata dalla polvere.

 L’avventura è iniziata.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

06/08/2014

L’ATV e l’Uovo Cosmico

C’erano una volta un prete cattolico, un astronomo e un professore di fisica all’università di Leuven. Era il terzo decennio del ‘900: mentre il prete si occupava di Creazione, l’astronomo ipotizzò l’Uovo Cosmico e il professore di fisica scrisse le prime equazioni di quel che diventerà poi la teoria del Big Bang.

Quel che rende straordinaria questa storia, è che il prete, l’astronomo e il professore convivevano nella stessa persona: Georges Lemaître. Einstein, che in quegli anni sosteneva l’ipotesi dell’universo stazionario, si accorgerà del valore delle ipotesi del collega belga un po’ a scoppio ritardato. Ma quando lo farà, definirà il suo disaccordo con Lemaître “il più grande errore della mia vita”.

Qualche anno fa Lemaître è diventato anche il nome del quinto e ultimo Veicolo Automatico di Trasferimento (ATV), che sarà lanciato il 29 luglio dalla base europea di Kourou, nella Guiana Francese. L’ATV sarà portato nello spazio – fino a un’orbita circolare a 260 km di quota – da un lanciatore Ariane 5, un razzo di dimensioni non esattamente modeste: 52 metri di altezza, per una massa di 760 tonnellate. Un gioiello della tecnologia europea, che con questo lancio batterà il suo record di sollevamento pesi: sollevare Lemaître significa fare i conti con una massa di oltre 20 tonnellate. Per l’esattezza 20275 kg.

Di questi, ben 6,6 tonnellate sono materiali che saranno utilizzati sulla ISS. Per la prima volta i tre serbatoi di acqua di un ATV saranno pieni: 850 litri di acqua fresca, sia nella versione russa sia nella versione americana . E poiché 850 litri di acqua finiscono rapidamente, Lemaître porterà sulla ISS anche il Fluids Control Pump Assembly (FCPA), che permette di riciclare l’urina e renderla pienamente potabile.

Quando l’ATV terminerà la sua missione, sarà un momento storico. Non solo perché la fase di sgancio sarà seguita da.. indovinate chi? Samantha Cristoforetti, naturalmente. Ma anche perché Lemaître è l’ultimo ATV previsto dal programma per la ISS. La sua combustione in atmosfera sarà l’ultimo atto di una storia europea di enorme successo e sarà ripresa grazie ad una Break-Up Camera ad infrarossi fino a 40 chilometri di altitudine.

Stefano Sandrelli

Aggiornamento del 30 Luglio: Il lancio di ATV-5 e’ avvenuto senza problemi nella notte del 29 Luglio alle ore 23:47 GMT dalla base di Kourou nella Guiana francese. L’arrivo alla Stazione Spaziale è previsto per martedì 12 Agosto. Questo il video del replay del lancio:  

[youtube V0L6XTXvDw8]

  Aggiornamento del 12 Agosto: 
ATV5 a 19 metri dalla Stazione Spaziale Internazionale durante le manovre per il docking il 12 Agosto 2014.

ATV5 a 19 metri dalla Stazione Spaziale Internazionale durante le manovre per il docking il 12 Agosto 2014.

  ATV5 ha completato senza problemi il docking alla Stazione Spaziale Internazionale agganciandosi al service module Zvezda alle ore 15:29 italiane.     Per maggiori informazioni sull’acqua che gli astronauti bevono sulla ISS: Liscia, gassata o spaziale? In Marocco e Antartide, l’acqua della ISS Per saperne invece di piu’ sull’ATV-5 potete leggere gli aggiornamenti sul blog ufficiale.

Niente Panico

25/07/2014

Appesi a una stringa apparente

Che cosa succede se prendiamo una scarpa per una stringa e la teniamo sospesa in aria? Qualcuno potrebbe seriamente pensare che quella scarpa abbia perso peso? Niente di magico: il peso della scarpa è stato semplicemente equilibrato dalla stringa. Fin qui non c’è davvero bisogno di uno scienziato.

Ma allora perché, a volte, ci si riferisce agli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) si trovano in “assenza di peso”?

Dite che il paragone non è calzante? Che le due cose sono molto diverse? Avete ragione e torto nello stesso momento. La differenza è dovuta al fatto che… sembra mancare la stringa.

Che invece c’è, anche se non si vede: e che agisce sia sul singolo astronauta che sull’intera Stazione.

Spesso, infatti, dimentichiamo che la ISS è in orbita intorno alla Terra. Compie un intero giro intorno al pianeta in appena 90 minuti, alla bella velocità media di circa 27 724 km/h.

Per restare in orbita intorno alla Terra, dato che l’orbita è più o meno circolare, occorre che la ISS “curvi” in ogni istante. E ciascuno di noi ha sperimentato l’effetto di una curva in auto: veniamo spinti verso l’esterno della curva. Ecco, quella è la stringa: la forza che annulla il peso della Stazione Spaziale (degli astronauti e di tutto ciò che sta in orbita intorno alla Terra) è la stessa che appare quando si curva con un auto.

Si chiama “forza apparente”. Apparente perché appare, non perché non sia reale. Che cosa ha di speciale, però? Che, a guardarci, sembra non avere nessuna origine plausibile e che esiste solo a causa della curvatura della traiettoria della ISS.

La forza apparente è la stringa che equilibra il peso degli astronauti e che permette loro di svolazzare indisturbati per la loro casa spaziale.

(NB questa è la spiegazione del fenomeno in un sistema di riferimento non inerziale. Per la spiegazione in un sistema di riferimento inerziale potete leggere questo post)

Stefano Sandrelli

Niente Panico

25/07/2014

Apollo 11, niente panico: ma lasciate la porta socchiusa, per favore

Quanti di noi sono usciti di casa chiudendosi la porta alle spalle e, subito dopo, sono stati assaliti da un brivido di terrore: “avrò preso le chiavi?”

A chi scrive è capitato qualche anno fa, a Bologna, e ricorda ancora con passione l’arrivo dei pompieri a sirene spiegate che, essendo informati della situazione, lo prendevano allegramente in giro.

Ma non sempre i pompieri hanno scale sufficientemente alte per passare dalla finestra. Prendete la Luna, per esempio. C’è una storia di serrature e chiavi piuttosto curiosa, che riguarda l’Apollo 11, la missione che ha portato per la prima volta l’uomo a sbarcare sul nostro satellite naturale e che, il 21 luglio celebra il 45esimo anniversario della discesa degli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla superficie lunare.

Gli ufficiali di missione dell'Apollo 11 si rilassano dopo il lancio il 16 lulgio 1969. Credits: NASA

Gli ufficiali di missione dell’Apollo 11 si rilassano dopo il lancio il 16 lulgio 1969.
Credits: NASA

La scena è questa: Neil Armstrong ha annunciato da poco – in mondovisione – di aver fatto un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità. Buzz Aldrin sta uscendo dal modulo di atterraggio Eagle. I due astronauti sono in contatto radio e ciascuno fa la cronaca all’altro di quel che sta per fare. Armstrong guida Aldrin nella discesa, che evidentemente non è così banale come si potrebbe pensare.

Ecco un brano (in traduzione libera) della trascrizione originale del dialogo tratta da Apollo 11 – lunar surface journal, a cura di Eric M. Jones, e pubblicata sul sito ufficiale della NASA.

109:41:28 Aldrin: Okay. Ora torno indietro e chiudo parzialmente il portellone (lunga pausa). Voglio essere sicuro di non chiudermelo alle spalle uscendo.

109:41:53 Armstrong: (ride) Be’, mi pare proprio una bella idea!

109:41:56 Aldrin: Sarà la nostra casa per il prossimo paio di ore e voglio averne buona cura.

Questo scambio ha dato il via a una serie di semplificazioni “da web”, come per esempio la battuta secondo cui il portellone dell’Eagle non avesse una maniglia esterna. Il che tecnicamente era vero, se si prende il termine maniglia alla lettera. Ma questo non significa che il portellone non potesse essere aperto dall’esterno attraverso una valvola. Non senza difficoltà: se per qualche mal funzionamento, fosse aumentata la pressione interna all’Eage, i due sarebbero rimasti chiusi fuori, come emerge dai commenti di Aldrin e Armstrong, riportati da Jones. Nel settembre 1991 ci ridono sopra:

Armstrong (serio): (abbiamo socchiuso) per evitare che qualcuno dicesse: ma dove siete nati? In un granaio?

Aldrin: Ora che sollevi il problema, che cosa sarebbe successo se la valvola si fosse rovinata o altro e avesse iniziato la ri-pressurizzazione?

Armstrong: Non saremmo mai rientrati

Aldrin (ridacchiando): Avevamo mai affrontato questo problema? Forse sarebbe stata una buona idea usare un mattone o una macchina fotografica per evitare che si chiudesse. Qualcuno ci avrà pensato.

Morale della storia: quando uscite di casa, non chiudete la porta. Neanche sulla Luna. Probabilmente riuscirete a rientrare, ma perché complicarsi la vita?

Link alla trascrizione originale:

https://www.hq.nasa.gov/alsj/a11/a11.step.html

Originale inglese:

L'astronauta Edwin E. Aldrin, Jr. durante la sua EVA sulla Luna il 20 Luglio 1969. Nella foto si trova accanto all'esperimento Solar Wind Composition (SWC) e nelle vicinanze del modulo lunare Eagle.

L’astronauta Edwin E. Aldrin, Jr. durante la sua EVA sulla Luna il 20 Luglio 1969. Nella foto, scattata dal compagno Neil Armstrong, Aldrin si trova accanto all’esperimento Solar Wind Composition (SWC) e nelle vicinanze del modulo lunare Eagle.

109:41:28 Aldrin: Okay. Now I want to back up and partially close the hatch. (Long Pause) Making sure not to lock it on my way out.

109:41:53 Armstrong: (Laughs) A particularly good thought.

109:41:56 Aldrin: That’s our home for the next couple of hours and we want to take good care of it.

[Armstrong (straight-faced) – “To avoid having somebody say ‘Were you born in a barn?'”]

[Aldrin – “Now that you bring it up, what would have happened if the valve had gotten screwed up or something and it started re-pressurizing?”]

[Armstrong – “You’d never get back in.”]

[Aldrin – “Did we really ever investigate that problem? (Chuckling) It probably would have been a good idea to use a brick or a camera to keep it from closing. Somebody must have thought about that.”]

In corsivo sono riportati I commenti di A. e A. a Jones, quando hanno riascoltato la registrazione del loro dialogo, nel 1991, in occasione della trascrizione del tutto.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

21/07/2014