L’esplorazione umana dello spazio profondo e la colonizzazione di altri corpi celesti, come la Luna e Marte, richiederà l’utilizzo di una nuova generazione di moduli spaziali capaci di sostenere per lunghi periodi la vita degli astronauti senza fare ricorso ai rifornimenti da Terra.
I sistemi di supporto alla vita tradizionali sono basati su processi chimico-fisici che garantiscono il controllo dell’atmosfera e dell’aria respirabile, il riciclo dell’acqua, lo smaltimento dei rifiuti. Questi sistemi richiedono per il loro mantenimento un costante apporto di risorse dall’esterno.
Ma se si volesse creare un sistema chiuso completamente auto-rigenerante, cioè in cui le risorse si riciclano in continuazione senza esaurirsi? I sistemi biorigenerativi per il supporto alla vita vogliono rispondere a questa esigenza.
Si tratta di sistemi complessi basati su elementi biologici, come le piante, le alghe e i microorganismi, in grado di generare e mantenere all’interno di un ambiente chiuso un’atmosfera respirabile, di purificare e riciclare l’acqua e l’umidità, di fornire cibo agli astronauti, come ad esempio ortaggi e pomodori, smaltendo al contempo gli scarti, sia vegetali che umani, in un ciclo continuo. In altre parole, l’idea è di ricreare all’interno dei moduli spaziali una biosfera artificiale in grado di mantenere la vita, proprio come la biosfera naturale sulla superficie della Terra.
Un altro vantaggio certo delle piante nello Spazio è che esse avrebbero un ruolo positivo non soltanto sul sostentamento, ma anche sul benessere psicologico degli astronauti. Pionieri su altri mondi e agricoltori spaziali, dunque!
Tuttavia, la coltivazione di piante in ambienti chiusi e in condizioni di gravità diverse da quelle della Terra è estremamente complessa e sono in atto ricerche sia nel campo della biologia sia in quello della tecnologia per far fronte alle numerose domande che questa sfida pone agli scienziati e agli ingegneri.
In campo biologico attualmente gli studi si concentrano sulla scelta delle specie di piante più adatte a essere coltivate in condizioni estreme, come lo sono le condizioni nello Spazio. In altre parole, si cerca di individuare le specie più resistenti alle radiazioni e meno sensibili alle condizioni diverse di gravità e di luce. In campo tecnologico, invece, gli studi si concentrano sulla definizione delle condizioni ottimali di luce, di distribuzione dei nutrienti, di scelta del substrato più adatto per la crescita delle piante e per una produzione di cibo di qualità e sicura per la salute degli astronauti.
Un altro elemento essenziale dei sistemi biorigenerativi sono i microrganismi, come ad esempio i batteri o le alghe unicellulari, che vengono “coltivati” in sistemi detti bioreattori, ambienti compatti i cui parametri ambientali sono controllati finemente per ottimizzare la crescita dei minuscoli ospiti. Sfruttare la grande biodiversità dei microrganismi offre il vantaggio di combinare tra loro diverse funzioni, permettendo la “chiusura” del sistema biorigenerativo, cioè la creazione di catene di comparti in cui i prodotti di base o gli scarti di un modulo alimentano i processi di un altro modulo.
Un esempio di sistema ecologico chiuso è rappresentato dal funzionamento combinato di un bioreattore fotosintetico e di un bioreattore cosiddetto “nitrificante”. Nei bioreattori fotosintetici, micro-alghe o altri microorganismi commestibili, come il cianobatterio Arthrospira, producono ossigeno e cibo, utilizzando la luce come sorgente di energia e i nitrati, cioè composti dell’azoto, come substrato nutritivo. Non tutti sanno che Arthrospira, pur richiedendo per la propria crescita volumi molto ridotti, ha proprietà nutritive paragonabili a quelle del cibo fornito dalle piante.
Da dove ricavare i nitrati di cui Arthrospira ha bisogno per crescere? Ecco che entra in gioco il bioreattore nitrificante, in cui una specie diversa di batteri produce a partire dalle acque di scarto i nitrati di cui si nutrono le alghe fotosintetiche. Questo processo, chiamato nitrificazione, consente al contempo di purificare l’acqua rendendola nuovamente potabile e utilizzabile dall’equipaggio. A chiudere il ciclo, è l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi delle alghe nel primo bioreattore ad alimentare il processo di nitrificazione nel secondo. Ecco allora come i due reattori combinati fra loro si alimentano a vicenda con i propri prodotti di scarto e al contempo generano risorse preziose, come cibo, acqua e ossigeno, per il sostentamento degli astronauti.
Il progetto MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative), dell’Agenzia Spaziale Europea, si propone di sviluppare uno di questi sistemi. MELiSSA si basa su cicli di carbonio, azoto e acqua, in cui batteri, alghe e piante vengono usate per produrre risorse vitali e mantenere l’ambiente dentro un modulo chiuso abitabile e in condizioni di equilibrio. Il sistema è suddiviso in cinque compartimenti, in cui il cibo per gli astronauti, le sostanze nutritive per le piante, l’acqua e l’ossigeno vengono prodotti a partire dai rifiuti organici dell’uomo, dai prodotti di scarto delle piante, dall’anidride carbonica. Altri progetti, come EDEN ISS, finanziato dalla Commissione Europea, GreenMOSS dell’ESA, Lunar Greenhouse della NASA, si concentrano sullo sviluppo di tecnologie per l’agricoltura in ambiente Spaziale.
Il Logo del Gruppo di Lavoro IBIS.
Il tema dei sistemi di controllo ambientale, o in altri termini di supporto alla vita, di tipo biorigenerativo, è presente nell’agenda del programma dell’Unione Europea per il finanziamento della ricerca (H2020) e nella Global Exploration Roadmap, il cammino della Esplorazione Spaziale tracciato dall’ISECG (International Space Exploration Coordination Group), il gruppo di studio internazionale per l’esplorazione umana dello Spazio, a cui partecipano tutte le maggiori agenzie del mondo.
E’ dunque evidente come le tecnologie biorigenerative costituiscano un area di ricerca di fondamentale importanza per lo sviluppo di moduli abitati a zero consumo di risorse per l’esplorazione e la colonizzazione del Sistema Solare. Ma quali sono le possibili applicazioni a terra? Sono molteplici. Basti pensare allo sviluppo di tecnologie per l’agricoltura in ambienti confinati ed estremi, come i deserti o i poli ghiacciati, o al possibile contributo alla soluzione di questioni vitali quali la sostenibilità ambientale, il risparmio delle risorse, l’efficienza energetica.
L’Agenzia Spaziale Italiana, forte delle competenze nazionali nel settore, ha avviato un programma di attività che ha lo scopo di stimolare e incoraggiare iniziative di ricerca, di sviluppo tecnologico e commerciali sul tema. E’ questo l’obiettivo del Gruppo di Lavoro nazionale sui sistemi biorigenerativi IBIS (Italian BIoregenerative Systems) che, coordinato dall’ASI, raccoglie il contributo delle migliori competenze scientifiche e industriali nazionali.
E visto che il tema della Missione Futura di Samantha è la nutrizione, il Gruppo di Lavoro IBIS, non poteva non dare il suo contributo. Quello che avete letto è il primo di una serie di articoli sui sistemi biorigenerativi e sulla coltivazione di cibo nello Spazio che saranno pubblicati su Avamposto 42 e che cercheranno di rispondere alle domande “Quale cibo?, “Come produrlo nello Spazio?”, “Con quali tecnologie?”, “Cosa si sta facendo sulla Terra?”; conducendoci alla scoperta di un affascinante tema di ricerca scientifica e tecnologica e di una sfida per il futuro.
Salvatore Pignataro, ASI, Direttore Missione Futura e Coordinatore GdL IBIS
Sara Piccirillo, ASI, Biologa dell’Unità Volo Umano
Francesca Ferranti, ASI, Biotecnologa dell’Unità Volo Umano
Per saperne di piú: https://www.asi.it