L’idroponica (dal greco ύδωρ, acqua, + πόνος, lavoro) comprende tutte quelle tecniche di coltivazione fuori suolo, ovvero condotte in un mezzo diverso dal terreno, che trovano impiego pressoché esclusivo nella coltivazione di piante da frutto, ortaggi e fiori.
Gli impianti idroponici possono essere, inoltre, suddivisi in sistemi “aperti” o “chiusi”, nei primi la soluzione nutritiva è “a perdere”, mentre nei secondi è “riciclata”, cioè recuperata e rimessa in circolo dopo le opportune integrazioni.
Tutti i sistemi idroponici si basano sull’erogazione di una soluzione contenente gli elementi nutritivi necessari alla vita delle piante. Per la preparazione del substrato di coltivazione, che agisce come sostituto del terreno naturale, possono essere utilizzati diversi tipi di materiali scelti in base a considerazioni economiche e tecniche. In particolare, i substrati devono possedere alcune importanti caratteristiche fisico-meccaniche in modo da garantire un’adeguata capacità di trattenere la soluzione nutritiva e rilasciarla alle radici in funzione dei ritmi di assorbimento delle piante. Il substrato o, nel caso di coltura liquida, la soluzione nutritiva devono anche contenere aria per evitare fenomeni di anossia radicale.
L’idroponica non è una tecnica nuova, infatti, era già utilizzata dagli antichi Egizi e dai Babilonesi, basti pensare ai giardini pensili di Babilonia. Altri esempi di idroponica sono i giardini galleggianti degli Aztechi e degli antichi Cinesi. Tuttavia, fu solo intorno al 1860 che furono stabiliti i principi scientifici delle colture idroponiche a opera di due studiosi tedeschi, J. Sach (1859) e da J. Knop (1860), considerati a ragione i “padri” della moderna idroponica.
L’idroponica fu impiegata per applicazioni sperimentali nel campo della biologia vegetale fino agli anni ‘20 del XX secolo, quando per la prima volta in California fu utilizzata per la coltivazione commerciale di ortaggi in serra. La diffusione dell’idroponica su larga scala, però, fu resa possibile dall’avvento della plastica, che ha consentito la realizzazione di impianti più leggeri e meno costosi rispetto a quelli impiegati originariamente.
A partire dalle prime applicazioni commerciali, sono stati sviluppati diversi sistemi idroponici che possono essere classificati in base all’impiego o meno di un substrato, di natura organica (torba, fibra di cocco, vinacce) o inorganica (lana di roccia, perlite, poliuretano, argilla espansa, pomice) e al tipo di erogazione della soluzione nutritiva.
Per la produzione di ortaggi e di fiori recisi, s’impiegano soprattutto substrati artificiali in contenitore con erogazione della soluzione nutritiva attraverso impianti di micro-irrigazione (“a goccia” e similari), mentre per le piante ornamentali, coltivate in vaso su substrato, si vanno sempre più diffondendo gli impianti cosiddetti “a flusso e riflusso” (in inglese “ebb and flow”) in cui la soluzione nutritiva viene somministrata in maniera discontinua per sub-irrigazione (dal basso) e raggiunge le radici delle piante attraverso i fori di drenaggio dei vasi. Le colture liquide, cioè senza substrato, come la Nutrient Film Technique (NFT) e il Floating System (letteralmente, sistema galleggiante), sono utilizzate per lo più per coltivare ortaggi da foglia, cioè piante di taglia ridotta e a ciclo breve, come le lattughe.
Nel sistema NFT, un sottile film di soluzione nutritiva viene fatto ricircolare all’interno di apposite canaline di plastica dove sono sistemate le piante; non è prevista la presenza del substrato che viene utilizzato in piccola quantità solo per la preparazione delle piantine. La soluzione nutritiva viene pompata dal serbatoio alle canaline dove scorre bagnando le radici, per poi venire recuperata, reintegrata e rimessa in circolo.
Nel Floating System, pannelli o vassoi di polistirolo in cui sono alloggiate le piante galleggiano in vasche contenenti la soluzione nutritiva che viene areata e ciclicamente reintegrata dei nutrienti assorbiti dalle piante.
I sistemi descritti, ovviamente, non funzionano in condizioni di gravità ridotta o in assenza di gravità, poiché nel primo l’acqua si accumulerebbe all’uscita della pompa senza fluire nelle canaline, lasciando le radici delle piante asciutte, mentre nel secondo la soluzione non rimarrebbe nella vasca ma fluttuerebbe nella cabina.
Pertanto nello Spazio è necessario sviluppare nuove tecniche di distribuzione della soluzione nutritiva, in grado di utilizzare forze attive anche in assenza di gravità come i fenomeni capillari. L’utilizzo di un substrato poroso consente, ad esempio, di trattenere e distribuire la soluzione nutritiva alle radici sfruttando proprio queste forze.
Man mano che le piante assorbono acqua e nutrienti, come avviene anche sulla Terra, i substrati si impoveriscono di soluzione nutritiva che dovrà essere opportunamente reintegrata. A questo scopo sono state messe a punto alcune tecniche, sperimentate con successo nelle recenti missioni spaziali, distinte in sistemi di controllo attivo e sistemi passivi. I sistemi di controllo attivo si basano sull’iniezione di soluzione nutritiva nel substrato grazie ad una pompa. I sistemi passivi permettono, invece, di controllare il flusso di soluzione nutritiva al substrato utilizzando materiali idrofilici microporosi che richiamano liquido dal serbatoio man mano che questo viene assorbito dalle piante.
S. De Pascale – Università di Napoli “Federico II”
R. Fortezza, D. Castagnolo – Telespazio
18/09/2015