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Sistemi terrestri per ecosistemi in microgravità

La permanenza umana nello spazio è concessa da un fragile equilibrio di fattori tecnologici e ambientali, la cui interazione definisce l’abitabilità degli ambienti. Nutrizione, respirazione, gestione degli scarti, sono funzioni essenziali al buon corso di ogni attività.

Missioni sempre più lunghe e popolate e prospettive di insediamento a lungo termine in ambienti extra-terrestri richiedono elaborati sistemi di supporto alla vita, nei quali la componente biologica gioca un ruolo decisivo. In questo ambito, si svolge un’intensa attività di ricerca scientifica e tecnologica, ma la sperimentazione è resa difficoltosa dall’accessibilità limitata agli ambienti in microgravità. Effettuare esperimenti nello spazio è costoso ed è possibile in periodi limitati, di conseguenza possono essere testate solo alcune tra le tecnologie impiegabili. Per far fronte a questa problematica e sviluppare sistemi che supportino la permanenza umana nello spazio in modo sempre più affidabile e completo, si rende necessario lo sviluppo di modelli terrestri, con i quali simulare ciò che avviene nello spazio.

Data l’assenza di risorse biologiche al di fuori del nostro pianeta, la sperimentazione di queste soluzioni avviene spesso a partire da ambienti difficili, dove la sopravvivenza umana è garantita solo parzialmente. Gli ambienti di prova, chiamati anche “testbed”, possono essere forniti da condizioni naturali avverse, come nel caso dei deserti o dell’Antartide, o provocati artificialmente, come nel caso dei territori compromessi dall’inquinamento o da un eccessivo consumo del suolo. Luoghi di questo tipo, che in termini terrestri presentano condizioni estreme, presentano condizioni in realtà ben più ospitali degli ambienti in microgravità, semplificando la logistica degli esperimenti e offrendo risultati più rapidamente.

Le soluzioni messe a punto sulla Terra, oltre a sostenere direttamente la vita delle persone coinvolte e a offrire risultati scientifici promettenti per lo Spazio, possono contribuire all’ambiente circostante, innescando processi di miglioramento ecologico. Tali risultati richiedono una profonda collaborazione tra discipline, coinvolgendo dai biologi, ai medici, ai bioingegneri, ai progettisti. Queste figure lavorano insieme per sviluppare ecosistemi controllati, integrando componenti biologiche e tecnologiche per la sopravvivenza umana.

Un progetto che si basa su questa collaborazione per innescare un trasferimento tecnologico bidirezionale, dalla Terra allo Spazio e dallo Spazio alla Terra, è AstartE, un ecosistema artificiale terrestre intelligente, capace di adattarsi all’ambiente in cui si trova per produrre aria pulita, cibo sicuro (vegetali) e acqua potabile in condizioni ambientali sfavorevoli, come nelle periferie urbane degradate.

L’ecosistema è contenuto in un involucro gonfiabile, diviso in una parte terrestre e una acquatica, in contatto tra loro, e in aree micro-climatiche differenziate. Questo si appoggia a una struttura in stampa 3D, che viene dimensionata sulla base delle caratteristiche del luogo di utilizzo e che filtra l’acqua e i nutrienti che l’ambiente esterno può offrire.

articolo 4.2

I processi biologici che avvengono al suo interno derivano dai sistemi di supporto alla vita bio-rigenerativi a ciclo chiuso (BLSS), già impiegati in orbita terrestre. Come questi ultimi, sono in grado di sostenersi in autonomia, raggiungendo spontaneamente condizioni di crescita ottimale. Queste condizioni vengono mantenute con il supporto di una centralina a intelligenza artificiale (rete neurale), che gestisce in modo dinamico e interdipendente gli apporti di acqua, luce, calore e nutrienti, rispondendo alla varietà di fabbisogni delle forme di vita presenti al suo interno e alla mutevolezza del contesto. L’efficienza del sistema così configurato consente il sostegno alla vita umana e un contributo pro-attivo alla salute dell’ambiente circostante, oltre a supportare la sperimentazione delle tecnologie che potranno essere portate in orbita.

La prospettiva indicata da AstartE è quella di una progettazione multidisciplinare e collaborativa, che tragga risultati scientifici dal confronto di ambienti diversi e rinforzi la cooperazione tra i diversi ambienti della ricerca sugli ecosistemi, unificandone le informazioni e configurando sistemi ad elevata intelligenza biologica, capaci di far fronte a una varietà di situazioni, proprio come già fa la natura sul nostro pianeta.

D. Martini, I. Loddo – Università di Venezia

I sistemi biorigenerativi

14/09/2015

Esperimenti in microgravità: i sounding rocket

Centrifughe, torri di caduta, voli parabolici: e ancora non siamo alla fine. Per completare la panoramica delle condizioni sperimentali a “gravità ridotta” senza andare in orbita, occorre aggiungere un ulteriore metodo.

Non si tratta di un’idea rivoluzionaria, come l’invenzione dell’antigravità di Archimede Pitagorico o di qualche altra meravigliosa idea fantascientifica. Occorre invece estremizzare un po’ un’idea che abbiamo già incontrato nei post precedenti.

Come abbiamo visto, se vogliamo realizzare un esperimento in condizioni di gravità ridotta, occorre che l’esperimento stesso cada da qualche altezza. Non pensate a lanci improvvisati dal finestrino di un dirigibile o da una mongolfiera: voliamo un po’ più in alto. Utilizziamo i cosiddetti sounding rocket, spesso tradotti in italiano come “razzi sonda.”

I sounding rocket sono parenti dei missili balistici. Furono inizialmente progettati per superare la velocità del suono in atmosfera e studiarne le caratteristiche fisiche.

Riadattati e utilizzati dall’ESA fin dal 1982 per esperimenti a gravità ridotta, i razzi sonda europei oggi raggiungono quote dai 250 km (configurazione MASER o TEXUS) ai 750 km (configurazione MAXUS) e sono in grado di trasportare esperimenti per una massa totale di diverse centinaia di kg. Come vedete, si tratta di un salto di ordini di grandezza rispetto alle Drop tower: il tempo di caduta passa da pochi secondi a una decina di minuti e si arriva a ridurre il peso a circa un decimillesimo di quello terrestre.

La caduta, come immaginate, è libera ma non sconsiderata: al termine della discesa, si aprono i paracadute che permettono l’atterraggio della capsula che contiene il carico scientifico a circa 30 km/h.

Vediamo da vicino la capsula che contiene gli esperimenti: la struttura esterna è un cilindro che misura complessivamente circa 3,3 – 3,5 metri di lunghezza, per un diametro di 43 cm (MASER o TEXUS) o 63 cm (MAXUS).

Al suo interno, vengono sistemati i singoli moduli sperimentali. Ciascun esperimento è montato su piattaforme di diametro di 40 cm (MASER o TEXUS) o 60 cm (MAXUS). Le piattaforme sono poi chiuse in contenitori cilindrici e fissati alla struttura della capsula con degli ammortizzatori elastici, per ridurre le vibrazioni in fase di lancio. Infine si aggiungono le batterie, l’elettronica necessaria e così via. E il “pacco sperimentale” è pronto. In questo modo gli esperimenti sono del tutto indipendenti, tanto che possono essere tranquillamente impilati uno sull’altro.

Una curiosità: durante la fase di lancio, a causa di vibrazioni interne e della spinta dei motori, gli esperimenti vengono esposti a condizioni di gravità aumentata. Di quanto? La spinta dei motori raggiunge e mantiene per circa 45 secondi un’accelerazione di 12 g. Dodici volte il peso. Inutile dire che non sono voli che prevedono la partecipazione di scienziati o tecnici a bordo….

Stefano Sandrelli

Per saperne di più sui sounding rockets: https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Human_Spaceflight_Research/Sounding_rockets

Niente Panico

19/11/2014

Cosa si intende con “Vomit comet”?

Un’altra domanda arrivata su Twitter per un nuovo appuntamento di #ChiediloaSamantha.

Ecco la risposta di Samantha Cristoforetti: “Vomit Comet” è un termine, diciamo umoristico, per indicare gli aerei utilizzati per i voli parabolici. In questi voli, l’aeroplano effettua una sequenza di traiettorie approssimativamente paraboliche, durante le quali chi è all’interno dell’abitacolo, per circa 20-25 secondi, è condizione di assenza di peso, come gli astronauti sulla Stazione Spaziale.

Diciamo che dentro l’abitacolo si è in caduta libera, e l’aereo viene pilotato in modo che segua quella stessa traiettoria: chi è all’interno della cabina si trova a fluttuare.

Mi è capitato diverse volte di volare sull’aereo Airbus A300 Zero-G di Novespace, basato a Bordeaux. Nella cabina di questo aeroplano non ci sono file di sedili, se non in una piccola sezione. Ci sono invece tanti apparati sperimentali, attorno ai quali si affaccendano gruppi di scienziati. I voli parabolici sono infatti una piattaforma per effettuare esperimenti in microgravità, quando 20-25 secondi sono sufficienti per osservare il fenomeno. Per tempi più lunghi, c’è naturalmente la Stazione Spaziale, ma anche in questo caso i voli parabolici possono essere un utile passaggio di validazione delle apparecchiature e delle procedure.

Per noi astronauti i voli parabolici sono l’unico modo, prima di andare nello spazio, di sperimentale la vera assenza di peso!

Chiedilo a Samantha

15/07/2014

Perdere peso?

Quanti di noi hanno desiderato essere nello spazio solo per il gusto di perdere peso? Perderlo del tutto, voglio dire.

Eppure nessun dietologo serio ve lo consiglierebbe: intanto perché saprebbe perfettamente che, se vogliamo smaltire un po’ di ciccia, è la massa, non il peso, quella che si deve perdere. E saprebbe anche che la massa ve la portate dietro tale e quale ovunque voi siate: a casa, al mare, in montagna, nello spazio. E sulla Stazione Spaziale.

Se poi vi accontentate di perdere letteralmente peso… be’, niente da fare nemmeno in questo caso. Tecnicamente, a bordo della ISS non si perde affatto peso. Il motivo è semplice. Il nostro peso non è altro che la forza con la quale la Terra ci attrae e dipende dalla distanza tra noi stessi e il centro del pianeta: più ci allontaniamo, più la forza diminuisce.

Ecco, proprio qui sta il punto: la ISS si trova ad appena 400 km di quota, mentre il raggio medio della Terra è di circa 6371 km. In altri termini, nonostante la gran fatica e tutta la tecnologia necessaria per arrivare in orbita non ci siamo allontanati poi di molto e il peso – inteso come forza peso – diminuisce appena del 10%.

Riassumendo quindi la massa rimane la stessa e il peso diminuisce di poco. Eppure gli astronauti della ISS galleggiano nello spazio. Com’è questa storia? Ma se abbiamo ancora peso, perché non si cade? Gli astronauti, quando li vediamo galleggiare, stanno cadendo. Non verso la Terra, ma intorno alla Terra.

Non perdetevi la prossima puntata e … Niente Panico!

 

Stefano Sandrelli

 

Niente Panico

26/06/2014

Posto che vai gravita’ che (non) trovi!

Quando il cavaliere Jedi Qui-Gon Jinn e il suo allievo Obi-Wan Kenobi atterrano sul pianeta Naboo, imbarcano nella loro compagnia Jar Jar Binks, un umanoide anfibio e pasticcione – un tipo decisamente simpatico, se non lo si deve frequentare troppo spesso. Sul pianeta Tatooine, invece, i due incontrano il mercante Watto, un toydariano – una specie di calabrone di cui si stenta a credere possa volare davvero. Per quanto i pianeti e le razze che li popolano siano differenti fra loro, per quanto Naboo sia ricco di acqua e Tatooine desertico, c’e’ qualcosa che li accomuna: la forza di gravità. Per accorgersene basta osservare come camminano nel film Jinn e Kenobi: pur cambiando pianeta si muovono esattamente allo stesso modo sembrando anche a loro agio; e’ quindi probabile che quei pianeti esercitino un’attrazione gravitazionale simile a quella dei pianeti d’origine dei personaggi. E non è soltanto la scioltezza dei movimenti: anche se non ce ne accorgiamo, il peso e quindi la forza di gravita’, influenza profondamente tutta la nostra vita quotidiana, persino nei dettagli. Quando siamo in piedi, per esempio, il sangue si trova in gran parte sotto il livello del cuore: se la circolazione deve funzionare, allora il muscolo cardiaco deve pompare con una forza sufficiente a vincere l’attrazione gravitazionale. Il nostro senso dell’equilibrio dipende dai movimenti degli otoliti, sassolini che si trovano nell’orecchio interno e che si muovono sotto l’azione della gravità: cambiate la gravità e il nostro sistema di orientamento naturale andrà del tutto in tilt. E questi non sono che due casi particolari. E sulla Stazione Spaziale? Lassù in orbita, la forza di gravità è controbilanciata dalla forza centrifuga: è come se il peso scomparisse. Gli astronauti devono fare i conti con la mancanza della principale forza con cui facciamo i conti quotidianamente: una bella prova di adattamento!

Stefano Sandrelli

Niente Panico

17/06/2014