→ Gli esperimenti di Futura

Fuori dalla Terra ma per la Terra! Sulla Stazione Spaziale Internazionale gli esperimenti condotti sono molti e qui vi racconteremo sia quelli che sta seguendo Samantha Cristoforetti sia quelli realizzati a Terra per cercare di capire come migliorare la vita e la scienza dell’avamposto umano nello Spazio.

Effetti delle radiazioni ionizzanti sulla crescita delle piante

Nello Spazio, tutti gli organismi sono esposti a forti livelli di radiazioni ionizzanti, ossia radiazioni dotate di un’energia tale da poter ionizzare gli atomi e le molecole con cui interagiscono. Le radiazioni ionizzanti comprendono radiazioni ultraviolette ad alta frequenza, raggi X, raggi g, neutroni, elettroni ed altri tipi di particelle.

In generale, le piante sono molto più resistenti alle radiazioni ionizzanti rispetto agli organismi animali: dosi letali per gli animali possono infatti avere un effetto positivo o nullo sulle piante.

L’effetto delle radiazioni ionizzanti sulle piante segue uno dei principi fondamentali della tossicologia: come enunciato da Paracelso (Theophrastus Bombastus von Hohenheim) all’inizio del 1500, “Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit” (i.e. “Ogni cosa è veleno, non esiste cosa che non lo sia. Solo la dose fa sì che una sostanza non divenga veleno”). Questa idea, rifiutata per molto tempo, è ora comunemente accettata: è infatti riconosciuto che alcune sostanze possono avere effetti tossici ad alte concentrazioni, mentre a basse dosi possono indurre risposte positive. Tale fenomeno, noto come ormesi, è stato riscontrato anche per quanto riguarda l’interazione tra la radiazione ionizzante e la pianta: l’esposizione ad alte dosi può avere effetti da molto tossici a letali, mentre dosi moderate o basse possono addirittura stimolare la crescita. La soglia di radiazione per cui si può generare danno o ormesi è diversa per ogni pianta e dipende principalmente dalle caratteristiche genetiche e fisiologiche della specie.

Figura Art Radiazioni

Gli effetti delle radiazioni ionizzanti sulle piante variano in funzione del tipo di radiazione, del tipo di esposizione (acuta o cronica), delle dosi, e delle caratteristiche dell’organismo: specie, cultivar (la varietà), stato fisiologico e nutrizionale, ciclo vitale (stadio fenologico) in cui si trova la pianta al momento dell’irraggiamento.

Quando le radiazioni ionizzanti colpiscono la pianta, possono agire a differenti scale: cellula, tessuto, organo, intero organismo. Le radiazioni ionizzanti possono provocare alterazioni geniche (mutazioni) che poi si traducono in modifiche nello sviluppo, nella morfologia e nel metabolismo della pianta. Possono anche provocare danni diretti ai tessuti ed agli organi oppure determinare danni dovuti alla produzione di radicali liberi (ROS – Reactive Oxygen Species). Questi ultimi sono molecole instabili ed estremamente reattive che possono danneggiare macromolecole strutturali e funzionali quali lipidi, proteine e acidi nucleici. La resistenza delle piante alle radiazioni ionizzanti è in alcuni casi dovuta alla presenza di più copie nel genoma di uno stesso gene (poliploidia) per cui se una copia di un gene è danneggiata, ne esiste una di riserva (back-up) che ne garantisce comunque l’espressione. Le cellule vegetali sono inoltre capaci di mettere in atto meccanismi cellulari molto complessi per riparare il DNA danneggiato o per rimuovere i radicali liberi.

Elevate dosi di radiazioni possono agire negativamente sugli organismi vegetali riducendo la capacità di germinazione, ostacolando il completamento dei cicli riproduttivi e prevenendo quindi la produzione di frutti e semi. Il nanismo della pianta, generalmente considerato un effetto di crescita negativo per un individuo, è tuttavia da valutare come effetto positivo per la crescita delle piante nello Spazio dove ci sono limitazioni nei volumi a disposizione per la coltivazione. Basse dosi di radiazione possono determinare effetti positivi tra cui si annoverano l’aumento della produzione di frutti e semi, una migliore capacità delle piante di resistere agli stress ambientali (per es. deficit idrico) e l’aumento del contenuto di sostanze antiossidanti in alcuni tessuti che può avere importanti conseguenze sul valore nutrizionale delle parti commestibili delle piante coltivate nello Spazio.

In conclusione, le radiazioni ionizzanti, tanto pericolose per l’uomo e per gli organismi animali in genere, potrebbero essere addirittura utilizzate nello spazio come strumento per aumentare la quantità e la qualità delle parti delle piante da utilizzare come cibo fresco prodotto direttamente a bordo.

Università di Napoli/Veronica De Micco, Carmen Arena & Giovanna Aronne

https://www.dipartimentodiagraria.unina.it/

I sistemi biorigenerativi

08/04/2015

Come addomesticare il vostro esperimento spaziale

Ci sono operazioni che qui dal Centro di Controllo a Terra non possiamo controllare più di tanto e questo, lo ammettiamo, ci rende nervosi a volte. Una di queste è l’esperimento MARES nel laboratorio spaziale Columbus: è  grande, altamente complesso e a volte sa essere alquanto capriccioso.

Il Muscle Atrophy Research and Exercise system (MARES) https://en.wikipedia.org/wiki/Muscle_Atrophy_Research_and_Exercise_System) ci permette di studiare il sistema muscolare degli astronauti e contribuire cosi a rispondere ad alcune delle domande essenziali che riguardano le missioni spaziali di lunga durata: come reagisce il corpo umano alla microgravità ? Quanto velocemente i muscoli si indeboliscono se non vengono usati da un astronauta?

Muscle Atrophy Research and Exercise System (MARES). Credits: ESA

Muscle Atrophy Research and Exercise System (MARES). Credits: ESA

A volte ci piace pensare a MARES come a una specie di “ mostro” : riempie ben meta’ del modulo Columbus. Richiede molto tempo ad essere preparato e altrettanto tempo per essere messo via alla fine della sessione; assomiglia un po’  ad uno di quegli attrezzi da palestra che si trovano nei centri fitness e che nessuno all’ inizio sa mai come usare. E’ forse per questo che noi flight controllers ne abbiamo cosi’  tanto rispetto: e’ un sistema meccanicamente complesso e tutte le volte che ci sono stati problemi mentre un astronauta lo stava utilizzando si sono rivelate situazioni decisamente complicate da risolvere alla radio.

Quindi devo ammettere che quando ho scoperto di non essere di turno quando MARES era programmato mi sono sentito sollevato; anche se poi non bisogna mai sottovalutare i colleghi in malattia da dover sostituire….

Ma alla fine i miei colleghi e Samantha Cristoforetti hanno fatto un ottimo lavoro; la sostituzione della batteria e’ andata a buon fine (una macchinario di queste dimensioni richiede più’  energia di quella che il Columbus può’ fornire di per se’ ). Oltre a questo lavoro di manutenzione Samantha ha installato un nuovo hard drive per poi testare MARES per la prima volta in orbita attraverso la calibratura dei suoi servomotori.

E infine MARES e’ stato rimesso dove ogni mostro deve stare, nella sua “ gabbia”  (un armadio all’interno del laboratorio Columbus)…ma solo fino alla prossima volta!

Thomas Uhlig, Columbus Control Centre

Nella foto di copertina: Da non provare a casa, solo nello spazio! Quattro anni fa MARES veniva installato nel modulo Columbus – l’astronauta Doug Wheelock dimostra la sua bravura in microgravità’. (Credits: NASA)

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27/03/2015

Respira: l’esperimento Airway Monitoring

Mi ricordo molto bene della lunga discussione che abbiamo avuto quando lavoravo come bagnino molti anni fa: era meglio dare o no lo spray alla nitroglicerina ai pazienti che soffrivano di cuore? Da un lato questo spray è in grado di dare un immediato sollievo al paziente ma dall’altro lato può anche fargli abbassare notevolmente e in poco tempo la pressione sanguigna – una condizione non proprio raccomandabile in caso di emergenza. All’epoca decidemmo di no e fu una saggia decisione. La nitroglicerina sublinguale agisce sul monossido di azoto, una molecola che anche il corpo umano produce e che può essere usata come indicatore di uno stato infiammatorio delle vie respiratorie: un suo aumento nell’aria espirata può indicare infiammazione.

“Airway Monitoring” è un esperimento piuttosto complesso che è stato messo a punto proprio per capire come funzioni questo meccanismo e in che modo possa essere influenzato da un flusso sanguigno guidato dalla gravità e dalla pressione atmosferica.

I risultati sono importanti per la ricerca medica di base come anche per il futuro dell’esplorazione umana dello spazio oltre l’orbita bassa e verso altri corpi celesti. Le polveri presenti sulla Luna e su Marte sono molto aggressive e di conseguenza non solo bisognerà pensare a come proteggere le navicelle spaziale ma anche a come proteggere polmoni e gole degli astronauti che le useranno. È inevitabile che le polveri si accumulino nelle tute spaziali utilizzate o nei condotti dell’aria delle future eventuali stazioni su Marte e/o sulla Luna: sarà quindi di primaria importanza individuare sul nascere una eventuale infiammazione delle vie respiratorie.

La scorsa settimana sia Samantha sia il collega statunitense Terry Virts della NASA hanno iniziato i preparativi dell’esperimento; dopo aver portato l’equipaggiamento nel Quest airlock (solitamente utilizzato per la preparazione delle passeggiate spaziali) hanno iniziato le prime misurazioni venerdì

Con la supervisione dell’astronauta Barry Wilmore della NASA in qualità di ufficiale medico di bordo Samantha e Terry hanno iniziato le procedure previste per Airway Monitoring abbassando la pressione dell’aria all’interno dell’airlock.

Data la sua complessità, l’esperimento ha visto la collaborazione di più team a livello internazionale: il centro danese DAMEC, per la sua lunga esperienza con i medici di bordo, a Houston il gruppo che si occupa del controllo del Quest airlock, noi qui a Oberpfaffenhofen e, infine, Katja Leuoth e Marius Bach dal Columbus Control centre, per il supporto agli astronauti. Per delle procedure così complicate e che richiedono precisione gli astronauti hanno bisogno di un costante aiuto da Terra per fare in modo che l’esperimento venga condotto nel miglior modo possibile e per rispondere alle loro possibili domande in tempo reale.

Ora è tempo di lasciare i risultati agli scienziati: i dati ricavati devono essere processati e analizzati per poi decidere in che modo continuare le sessioni future di Airway Monitoring.  Il Columbus Control centre sarà pronto a riportare gli astronauti nell’airlock per rispondere alle loro domande e preparare il terreno per quelle missioni future che avranno la fortuna di atterrare in atmosfere meno dense di quella terrestre….

Col-CC

Nella foto di copertina Samantha mentre esegue delle misurazioni BDC (base data collection) per l’esperimento Airway Monitoring.

Per saperne di più: https://avamposto42.esa.int/blog/diario-di-bordo/single/l-129-nella-camera-ipobarica-lesperimento-airway-monitoring/ https://www.esa.int/spaceinimages/Images/2015/03/Samantha_working_on_Airway_Monitoring

Gli esperimenti di Futura | Niente Panico

13/03/2015

L’esperimento Drain Brain: intervista al prof. Paolo Zamboni

Negli uomini la circolazione cerebrale è uno dei principali fattori che regolano la fisiologia del cervello ma ad oggi non se ne hanno conoscenze approfondite e complete.

Proprio di questo si occupa l’esperimento Drain Brain, sviluppato dal prof. Paolo Zamboni del Centro Malattie Vascolari dell’Università degli Studi di Ferrara, selezionato dall’Agenzia Spaziale Italiana per essere svolto sulla Stazione Spaziale Internazionale durante la missione FUTURA.

L’inizio delle operazioni è stata una vera sfida per il team del progetto. La prima versione dello strumento è andata perduta nell’ottobre del 2014 nell’incidente del veicolo americano Orbital-3. Per cercare di rimanere nei tempi prestabiliti l’Università di Ferrara e i suoi partner, hanno realizzato un nuovo strumento arrivato il 12 gennaio con lo SpaceX-5 Dragon, partito due giorni prima da Cape Canaveral, permettendo così a Samantha di iniziare le misurazioni.

Come ci ha raccontato lei stessa nel suo Diario Di Bordo “gli strumenti specifici per Drain Brain comprendono tre pletismografi a estensimetro, che hanno l’aspetto di collari di un materiale estensibile… In realtà sono sensori in grado di misurare il flusso sanguigno nelle vene in un modo molto semplice e non invasivo che non dipende dalle abilità e dall’interpretazione dell’operatore, come nel caso dell’ecografia. Indossando questi collari al collo, al braccio e alla gamba, ho eseguito una serie di respirazioni al 70% della capacità dei polmoni rimanendo ferma, oppure distendendo e contraendo la mano o la caviglia.”

Ma quali sono gli obiettivi e le modalità di svolgimento di questo esperimento?

Lo abbiamo chiesto direttamente al prof. Paolo Zamboni, P.I. di drain Brain e potete ascoltare le sue risposte qui:

per maggiori informazioni su Drain Brain: https://www.asi.it/it/news/gli_esperimenti_di_samantha https://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/experiments/1278.html https://avamposto42.esa.int/blog/diario-di-bordo/single/l5-i-trucchi-dellecografia-spaziale/ https://avamposto42.esa.int/blog/diario-di-bordo/single/l57-l58-la-lunga-giornata-della-fisiologia-umana/

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06/03/2015

Sistemi e tecniche di coltivazione per i Sistemi Biorigenerativi di Supporto alla Vita

I Sistemi Biorigenerativi di Supporto alla Vita nello Spazio (Bioregenerative Life Support Systems, BLSSs) sono ecosistemi artificiali basati sulle interazioni tra uomo, microorganismi e piante superiori, in cui ciascuno utilizza come risorsa i prodotti di scarto del metabolismo dell’altro.

All’interno dei BLSSs, il ruolo delle piante è rigenerare l’aria assorbendo anidride carbonica ed emettendo ossigeno attraverso la fotosintesi, purificare l’acqua mediante la traspirazione, e produrre cibo fresco utilizzando scarti dell’equipaggio e luce come fonte di energia. Tuttavia, affinché le piante possano assolvere a queste funzioni è necessario che siano allevate in opportune condizioni climatiche e colturali. Per questo motivo, negli esperimenti sulla Terra finalizzati alla progettazione di BLSSs per lo Spazio, la creazione di camere di crescita, equipaggiate per un preciso controllo ambientale, è di fondamentale importanza.

In particolare, scopo delle camere di crescita è riprodurre i livelli di intensità luminosa, temperatura, umidità relativa e concentrazione di anidride carbonica ottimali per le diverse colture. Tali parametri si ritengono ottimali quando sono in grado di determinare le migliori performances delle piante in termini di accrescimento, durata del ciclo produttivo e soprattutto resa (prodotto utile per unità di superficie impiegata), anche intesa come proporzione tra la componente edibile, cioè commestibile (semi, bacche, foglie o tuberi), e la biomassa di scarto (radici, fusti, ecc.).

Il rapporto tra frazione edibile e biomassa totale delle piante, definito indice di raccolto, dipende dalla specie e, nell’ambito di questa, dalla varietà ma può, entro certi limiti, essere migliorata impiegando idonee tecniche di coltivazione. L’indice di raccolta rappresenta un requisito importante nella scelta delle specie candidate all’utilizzo nello Spazio, a causa del ridotto volume disponibile alla coltivazione e alla conservazione e trasformazione degli scarti vegetali nei moduli spaziali.

Figura Sistemi e Tecniche di coltivazione ItalianoLe ricerche finalizzate alla realizzazione di BLSSs sono condotte utilizzando impianti di coltivazione sofisticati, comunemente indicati come “senza suolo” o “fuori suolo” o “idroponici”. Con tali termini sono definite coltivazioni condotte in assenza di terreno naturale in cui le piante, collocate in substrati solidi per l’ancoraggio delle radici o opportunamente sorrette in contenitori vuoti, sono alimentate con soluzioni nutritive diluite, complete in elementi minerali.

La tecnica, ideata da fisiologi vegetali per condurre in laboratorio studi sulla nutrizione, ha origini molto antiche, con testimonianze risalenti già alla metà del 1800. Collaudata ormai da numerose esperienze sulla terraferma, l’idroponica fu utilizzata dagli Americani durante la Seconda Guerra Mondiale nelle stive delle navi, munite di impianti di illuminazione artificiale, per fornire alle truppe ortaggi freschi nei lunghi tempi di permanenza in mare.

Tra le diverse varianti di sistemi idroponici, la prevalenza delle ricerche spaziali realizzate sulla Terra utilizza substrati in contenitore o la tecnica del film nutritivo (Nutrient Film Technique o NFT). Nel primo caso, sono impiegati materiali fisicamente e chimicamente inerti (es. lana di roccia), allo scopo di minimizzare l’influenza del substrato in termini di ritenzione idrica e scambio ionico, consentendo un dosaggio preciso di acqua e nutrienti. La somministrazione delle soluzioni nutritive (fertirrigazione) è effettuata con sistemi a piccola portata di erogazione (microirrigazione), e gli interventi hanno frequenza e durata variabile in funzione del substrato, della coltura e dello stadio di sviluppo (accrescimento vegetativo, fioritura, formazione di bacche, tuberi, semi), che determinano il ritmo di consumo idrico e minerale delle piante per assorbimento e per perdita attraverso la traspirazione.

Nei sistemi NFT, invece, le piante sono collocate in canaline vuote, leggermente inclinate, in cui le radici sono lambite da un sottile film di soluzione nutritiva, che scorre per gravità ed è raccolta in un serbatoio da cui è nuovamente erogata alle piante da una pompa sommersa. In entrambi i casi, il ricircolo della soluzione drenata impone la correzione di alterazioni (es. volume, conducibilità elettrica e pH) determinate dall’assorbimento di acqua e ioni minerali da parte del sistema radicale.

I sistemi idroponici sono ampiamente diffusi in tutto il mondo nella coltivazione in serra di numerose specie, soprattutto orticole e floricole. Nell’ottica dell’utilizzo in BLSSs, tuttavia, soluzioni tecniche compatibili con le restrizioni delle missioni nello Spazio (es. limitazioni di volume/peso del materiale trasportabile nei veicoli spaziali) sono tuttora allo studio. Analogamente, specifiche tecnologie idonee alla distribuzione della soluzione nutritiva in ambiente spaziale, dove i flussi idrici non possono essere guidati dalla forza di gravità ma dipendono esclusivamente da altri meccanismi (es. capillarità), sono oggetto di ricerca.

Università di Napoli / Roberta Paradiso & Stefania De Pascale

Per saperne di più: https://www.dipartimentodiagraria.unina.it/

I sistemi biorigenerativi

02/03/2015

Il ruolo delle piante superiori nei sistemi biorigenerativi di supporto alla vita nello Spazio

Allo stato attuale, le risorse necessarie per missioni spaziali brevi sono interamente trasportate dalla Terra, tuttavia questo non sarà possibile per missioni di lunga durata, per motivi di natura tecnica ed economica. Infatti, è calcolato che ciascun astronauta necessita di circa 30 kg al giorno di risorse (cibo, acqua, ossigeno), pertanto, considerando una permanenza nello Spazio di 2 anni (tempo minimo per una missione su Marte con gli attuali sistemi di propulsione), il fabbisogno sarebbe di circa 22 t per astronauta. In questa prospettiva, il rifornimento periodico dalla Terra, e il parallelo smaltimento dei rifiuti prodotti dall’equipaggio, risulterebbe logisticamente difficile ed economicamente dispendioso.

La corretta nutrizione e il benessere degli astronauti è una condizione fondamentale per la riuscita delle missioni spaziali. La preparazione del cibo e il confezionamento rappresentano aspetti critici: l’alimento deve essere compatto, per evitare che in condizioni di ridotta gravità eventuali frammenti possano disperdersi nell’ambiente ed essere inalati o danneggiare strumenti, e avere un ridotto contenuto di umidità per rallentare il deterioramento e prevenire lo sviluppo di odori sgradevoli. L’uso di alluminio, a esempio, garantisce una buona durata ma non consente il riscaldamento in microonde e aumenta il peso delle confezioni rispetto alla plastica. Nel corso della conservazione, inoltre, le caratteristiche organolettiche (sapore, colore, consistenza) e nutrizionali (es. contenuto vitaminico) subiscono alterazioni che possono rendono l’alimento meno appetibile e sano, imponendo il ricorso a integratori chimici.

L’esigenza di una corretta alimentazione appare anche più importante se si considera che le condizioni di vita nello Spazio (es.  ridotta gravità) possono predisporre all’insorgenza di diverse patologie (es. osteoporosi, atrofia muscolare), il cui rischio può essere ridotto dall’assunzione di composti funzionali presenti nel cibo (es. antiossidanti del pomodoro, proteine della soia).

Figura Art BLSSSulla base di tali presupposti, è evidente che la realizzazione di missioni di lunga durata è subordinata alla messa a punto di sistemi in grado di rigenerare le risorse (aria e acqua), integrare la dieta dell’equipaggio e riciclare i rifiuti del metabolismo umano. Tale concetto è alla base dei Sistemi Biorigenerativi di Supporto alla Vita (Bioregenerative Life Support Systems, BLSSs), ecosistemi artificiali basati sullo scambio di materiali ed energia tra compartimenti, destinati all’uomo e a componenti biologiche diverse, in un ciclo ideale in cui ciascun compartimento utilizza prodotti di scarto dell’altro.

Numerosi organismi (microalghe, batteri, pesci, piante superiori) sono stati proposti come componenti biologiche, tuttavia ad oggi le piante rappresentano i rigeneratori più promettenti, grazie alla loro relazione “complementare” con l’uomo. Infatti, semplificando, le piante sono in grado di rigenerare l’aria assorbendo anidride carbonica ed emettendo ossigeno attraverso la fotosintesi, purificare l’acqua mediante la traspirazione, e produrre cibo fresco impiegando scarti dell’equipaggio (feci, urine). Nell’ottica di lunghe permanenze nello Spazio, inoltre, è stato dimostrato che la presenza di piante mitiga lo stress psicologico della missione e delle condizioni di isolamento, creando un ambiente più simile a quello terrestre e offrendo l’opportunità di un’attività ricreativa.

Allo stato attuale, i BLSSs non sono ancora impiegati nello Spazio, a causa del consumo energetico e di peso e volume elevati, e nel prossimo futuro la coltivazione in orbita sarà probabilmente limitata a moduli di dimensione ridotta per studi sulla fisiologia e la produttività delle piante e per la produzione di modeste quantità di cibo fresco. In un futuro non lontano, tuttavia, è ipotizzabile che stazioni orbitanti e piattaforme planetarie ospiteranno BLSSs di larga scala, in grado di garantire una parziale autonomia alle colonie spaziali. In questa ottica, le basi planetarie potrebbero anche sfruttare risorse disponibili localmente (es. “regolite” lunare come substrato di coltivazione) superando le attuali limitazioni al trasporto di materiali e la presenza di gravità, sebbene ridotta rispetto a quella terrestre (1/6 g sulla Luna e 1/3 g su Marte), consentirebbe di  risolvere i problemi legati all’assenza di gravità delle stazioni orbitanti e l’adozione di tecnologie di coltivazione simili a quelle comunemente adottate sulla Terra.

Diverse specie vegetali, con requisiti nutrizionali adatti a soddisfare i fabbisogni alimentari dell’equipaggio, sono studiate come candidate per i BLSSs (grano tenero e grano duro, patata, soia, pomodoro, ecc.). Nell’ottica di una produzione di cibo elevata e costante, tuttavia, un’intensa attività di ricerca è ancora necessaria per definire protocolli di coltivazione in grado di ottimizzare la produttività e la qualità del cibo, minimizzando gli scarti.

Roberta Paradiso, Roberta Buonomo & Stefania De Pascale (Università di Napoli)

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I sistemi biorigenerativi

19/02/2015

Il giardino dell’Eden: dall’Antartide alla Stazione Spaziale

La Stazione Spaziale Internazionale ISS è un laboratorio davvero unico nel suo genere, abitazione con tanto di finestre, luogo di lavoro, palestra… Non manca proprio nulla.  È davvero così? Abbiamo provato a chiederlo a Giorgio Boscheri, Project Engineer a Torino presso Thales Alenia Space Italia, l’azienda che ha contribuito alla costruzione di circa la metà di questa abitazione orbitante. La risposta ci ha sorpreso: “Manca un orto”.

In effetti, diversi esperimenti per studiare la crescita delle piante in assenza di peso hanno volato sulla ISS, sullo Space Shuttle e la stazione MIR.  Ma la capacità di produrre cibo fresco e sicuro in orbita non è ancora realtà. Serve quindi darsi da fare: un orto spaziale porterebbe diversi vantaggi. Oltre a fornire cibo fresco, le piante attraverso la fotosintesi producono ossigeno e consumano l’anidride carbonica espirata dagli astronauti. Contribuiscono alla rigenerazione dell’acqua tramite l’assorbimento da parte delle radici e la traspirazione dalle foglie.  E consentono di portare un po’ di Terra nello spazio, con benefici psicologici per l’equipaggio.

Art EDEN ISS - Eden at Recyclab w F De WinneGiorgio ci mostra l’area tecnologica “Recyclab”, dedicata interamente alla sostenibilità degli habitat spaziali, dove si sviluppano tecnologie per la generazione e il riciclo delle risorse vitali, quali l’acqua e l’aria.  ”Presso il Recyclab stiamo sviluppando da alcuni anni un prototipo di sistema protetto per coltivare le piante nello spazio, che porta un nome evocativo:  EDEN.  E` grande quanto un frigorifero, e ha l’obiettivo di produrre il necessario supplemento nutritivo fresco per gli astronauti. Il piccolo orto è illuminato da luci LED rosse e blu che gli conferiscono un aspetto psichedelico, trae anidride carbonica dall’ambiente circostante e impiega acqua ottenuta condensando l’umidità dell’aria di cabina.”

Nel suo impegnativo percorso di sviluppo verso la ISS, EDEN farà tappa anche in Antartide, ambiente estremo che permetterà di replicare a terra condizioni operative per alcuni aspetti simili  a quelle spaziali.  E` questo l’obiettivo del nuovo progetto EDEN-ISS, finanziato dalla Commissione Europea, che vede una nutrita partecipazione Italiana sia industriale che scientifica, con il  coordinamento dell’Agenzia Spaziale Tedesca DLR di Brema.

Aggiunge Matteo Lamantea, responsabile dell’unità “Life Support & Habitat”: “Con l’obiettivo di portare EDEN sulla ISS, abbiamo capito che la base in Antartide ci permetterà di ricostruire fedelmente l’ambiente biologico isolato e a stretto contatto con l’uomo, tipico di una stazione spaziale, verificando così la capacità di produrre cibo di qualità in condizioni limite.  Potremo anche studiare e affrontare inconvenienti e difficoltà di gestione, come ad esempio il controllo della pulizia.” Dopotutto possiamo facilmente immaginare che l’orto, anche se nello spazio e coltivato “fuori-suolo” non sarà certo un ambiente sterile: bisognerà riuscire a conciliarne la praticità d’uso con gli alti standard di sicurezza richiesti nei sistemi spaziali.

Ma quali sono i “ritorni” da queste ricerche avanzate per la coltivazione in ambienti estremi? Molteplici: verso la produzione di cibo nutriente, sicuro e di qualità, con efficiente impiego dell’energia in serra e minimo consumo di acqua.  Perché lo spazio ci costringe a pensare che ogni grammo è prezioso, nulla va sprecato, e noi progettiamo sempre con quell’obiettivo.  La Green Economy per la Terra passa quindi anche per lo Spazio.

Cesare Lobascio  (Thales Alenia Space – Italia)

Per saperne di più:

Thales Alenia Space on the ISS https://www.thalesgroup.com/en/worldwide/space/fundamental-role-iss Recyclab https://www.lastampa.it/2013/03/22/scienza/il-laboratorio-torinese-che-studia-il-riciclo-spaziale-8DUm5fZQWTMIakuZXp2ecI/pagina.html DLR – Greenhouse modules in analogue environments www.dlr.de/irs/en/desktopdefault.aspx/tabid-9330/15377_read-39521/ Agrospace Friends https://www.linkedin.com/groups/Agrospace-Friends-4463771/about  

I sistemi biorigenerativi

12/02/2015

Le piante a supporto dell’Uomo nello Spazio e l’iniziativa IBIS

L’esplorazione umana dello spazio profondo e la colonizzazione di altri corpi celesti, come la Luna e Marte, richiederà l’utilizzo di una nuova generazione di moduli spaziali capaci di sostenere per lunghi periodi la vita degli astronauti senza fare ricorso ai rifornimenti da Terra.

I sistemi di supporto alla vita tradizionali sono basati su processi chimico-fisici che garantiscono il controllo dell’atmosfera e dell’aria respirabile, il riciclo dell’acqua, lo smaltimento dei rifiuti. Questi sistemi richiedono per il loro mantenimento un costante apporto di risorse dall’esterno.

Ma se si volesse creare un sistema chiuso completamente auto-rigenerante, cioè in cui le risorse si riciclano in continuazione senza esaurirsi? I sistemi biorigenerativi per il supporto alla vita vogliono rispondere a questa esigenza.

Si tratta di sistemi complessi basati su elementi biologici, come le piante, le alghe e i microorganismi, in grado di generare e mantenere all’interno di un ambiente chiuso un’atmosfera respirabile, di purificare e riciclare l’acqua e l’umidità, di fornire cibo agli astronauti, come ad esempio ortaggi e pomodori, smaltendo al contempo gli scarti, sia vegetali che umani, in un ciclo continuo. In altre parole, l’idea è di ricreare all’interno dei moduli spaziali una biosfera artificiale in grado di mantenere la vita, proprio come la biosfera naturale sulla superficie della Terra.

Un altro vantaggio certo delle piante nello Spazio è che esse avrebbero un ruolo positivo non soltanto sul sostentamento, ma anche sul benessere psicologico degli astronauti. Pionieri su altri mondi e agricoltori spaziali, dunque!

Tuttavia, la coltivazione di piante in ambienti chiusi e in condizioni di gravità diverse da quelle della Terra è estremamente complessa e sono in atto ricerche sia nel campo della biologia sia in quello della tecnologia per far fronte alle numerose domande che questa sfida pone agli scienziati e agli ingegneri.

In campo biologico attualmente gli studi si concentrano sulla scelta delle specie di piante più adatte a essere coltivate in condizioni estreme, come lo sono le condizioni nello Spazio. In altre parole, si cerca di individuare le specie più resistenti alle radiazioni e meno sensibili alle condizioni diverse di gravità e di luce. In campo tecnologico, invece, gli studi si concentrano sulla definizione delle condizioni ottimali di luce, di distribuzione dei nutrienti, di scelta del substrato più adatto per la crescita delle piante e per una produzione di cibo di qualità e sicura per la salute degli astronauti.

Un altro elemento essenziale dei sistemi biorigenerativi sono i microrganismi, come ad esempio i batteri o le alghe unicellulari, che vengono “coltivati” in sistemi detti bioreattori, ambienti compatti i cui parametri ambientali sono controllati finemente per ottimizzare la crescita dei minuscoli ospiti. Sfruttare la grande biodiversità dei microrganismi offre il vantaggio di combinare tra loro diverse funzioni, permettendo la “chiusura” del sistema biorigenerativo, cioè la creazione di catene di comparti in cui i prodotti di base o gli scarti di un modulo alimentano i processi di un altro modulo.

Un esempio di sistema ecologico chiuso è rappresentato dal funzionamento combinato di un bioreattore fotosintetico e di un bioreattore cosiddetto “nitrificante”. Nei bioreattori fotosintetici, micro-alghe o altri microorganismi commestibili, come il cianobatterio Arthrospira, producono ossigeno e cibo, utilizzando la luce come sorgente di energia e i nitrati, cioè composti dell’azoto, come substrato nutritivo. Non tutti sanno che Arthrospira, pur richiedendo per la propria crescita volumi molto ridotti, ha proprietà nutritive paragonabili a quelle del cibo fornito dalle piante.

Da dove ricavare i nitrati di cui Arthrospira ha bisogno per crescere? Ecco che entra in gioco il bioreattore nitrificante, in cui una specie diversa di batteri produce a partire dalle acque di scarto i nitrati di cui si nutrono le alghe fotosintetiche. Questo processo, chiamato nitrificazione, consente al contempo di purificare l’acqua rendendola nuovamente potabile e utilizzabile dall’equipaggio. A chiudere il ciclo, è l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi delle alghe nel primo bioreattore ad alimentare il processo di nitrificazione nel secondo. Ecco allora come i due reattori combinati fra loro si alimentano a vicenda con i propri prodotti di scarto e al contempo generano risorse preziose, come cibo, acqua e ossigeno, per il sostentamento degli astronauti.

Il progetto MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative), dell’Agenzia Spaziale Europea, si propone di sviluppare uno di questi sistemi. MELiSSA si basa su cicli di carbonio, azoto e acqua, in cui batteri, alghe e piante vengono usate per produrre risorse vitali e mantenere l’ambiente dentro un modulo chiuso abitabile e in condizioni di equilibrio. Il sistema è suddiviso in cinque compartimenti, in cui il cibo per gli astronauti, le sostanze nutritive per le piante, l’acqua e l’ossigeno vengono prodotti a partire dai rifiuti organici dell’uomo, dai prodotti di scarto delle piante, dall’anidride carbonica. Altri progetti, come EDEN ISS, finanziato dalla Commissione Europea, GreenMOSS dell’ESA, Lunar Greenhouse della NASA, si concentrano sullo sviluppo di tecnologie per l’agricoltura in ambiente Spaziale.

Il Logo del Gruppo di Lavoro IBIS.

Il Logo del Gruppo di Lavoro IBIS.

Il tema dei sistemi di controllo ambientale, o in altri termini di supporto alla vita, di tipo biorigenerativo, è presente nell’agenda del programma dell’Unione Europea per il finanziamento della ricerca (H2020) e nella Global Exploration Roadmap, il cammino della Esplorazione Spaziale tracciato dall’ISECG (International Space Exploration Coordination Group), il gruppo di studio internazionale per l’esplorazione umana dello Spazio, a cui partecipano tutte le maggiori agenzie del mondo.

E’ dunque evidente come le tecnologie biorigenerative costituiscano un area di ricerca di fondamentale importanza per lo sviluppo di moduli abitati a zero consumo di risorse per l’esplorazione e la colonizzazione del Sistema Solare. Ma quali sono le possibili applicazioni a terra? Sono molteplici. Basti pensare allo sviluppo di tecnologie per l’agricoltura in ambienti confinati ed estremi, come i deserti o i poli ghiacciati, o al possibile contributo alla soluzione di questioni vitali quali la sostenibilità ambientale, il risparmio delle risorse, l’efficienza energetica.

L’Agenzia Spaziale Italiana, forte delle competenze nazionali nel settore, ha avviato un programma di attività che ha lo scopo di stimolare e incoraggiare iniziative di ricerca, di sviluppo tecnologico e commerciali sul tema. E’ questo l’obiettivo del Gruppo di Lavoro nazionale sui sistemi biorigenerativi IBIS (Italian BIoregenerative Systems) che, coordinato dall’ASI, raccoglie il contributo delle migliori competenze scientifiche e industriali nazionali.

E visto che il tema della Missione Futura di Samantha è la nutrizione, il Gruppo di Lavoro IBIS, non poteva non dare il suo contributo. Quello che avete letto è il primo di una serie di articoli sui sistemi biorigenerativi e sulla coltivazione di cibo nello Spazio che saranno pubblicati su Avamposto 42 e che cercheranno di rispondere alle domande “Quale cibo?, “Come produrlo nello Spazio?”, “Con quali tecnologie?”, “Cosa si sta facendo sulla Terra?”; conducendoci alla scoperta di un affascinante tema di ricerca scientifica e tecnologica e di una sfida per il futuro.

Salvatore Pignataro, ASI, Direttore Missione Futura e Coordinatore GdL IBIS

Sara Piccirillo, ASI, Biologa dell’Unità Volo Umano

Francesca Ferranti, ASI, Biotecnologa dell’Unità Volo Umano

Per saperne di piú: https://www.asi.it

I sistemi biorigenerativi

04/02/2015