Archivio mensile: August 2014

Grassi buoni e grassi cattivi

I grassi sono nell’immaginario collettivo agli antipodi dello stile di vita sano. Eppure anche ai grassi, o meglio ai lipidi, è riconosciuto un ruolo chiave in un’alimentazione corretta.

Bisogna capire prima di tutto che con il termine “lipidi” si intende un vasto gruppo di molecole naturali che includono grassi, cere, steroli, vitamine liposolubili, mono, di , trigliceridi e fosfolipidi. All’interno di questa ampia famiglia esistono dei grassi dannosi per la nostra salute come gli insaturi trans; ma ne esistono altri che sono necessari al corretto funzionamento del nostro organismo. Per esempio, nella classe dei grassi polinsaturi ci sono gli acidi grassi omega-3, presenti nel pesce azzurro, nelle noci, nei semi e nei legumi, che sono dei potenti antinfiammatori che ci aiutano a prevenire diversi tipi di patologie, tra cui malattie cardiovascolari e tumori. I grassi monoinsaturi sono invece presenti nell’olio di oliva e nell’avocado e sono anch’essi benefici per il sistema cardiocircolatorio.

I grassi, quindi, entrano in una sana alimentazione grazie agli omega-3, ai monoinsaturi e anche ai grassi saturi, da consumare con moderazione, contenuti negli alimenti di origine animale, come le uova.

Con questi grassi sani non bisogna temere di ingrassare: è lo squilibrio tra introito calorico e dispendio energetico, assieme agli squilibri ormonali causati da un consumo eccessivo di zuccheri e cereali raffinati, a determinare un aumento di peso. Ricordiamoci quindi che non tutti i grassi sono uguali e che ne esistono di “buoni” che fanno addirittura bene al nostro organismo.

Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Nutrizione e salute

29/08/2014

Apollo

“Okay, Houston, we’ve had a problem here”. La missione Apollo 13 avrebbe dovuto essere la terza missione della NASA a portare alcuni astronauti sulla Luna. Tuttavia, un guasto impedì il previsto allunaggio, rendendo molto complicato e pericoloso il loro rientro sulla Terra. Questa vicenda è stata raccontata molto bene nel film del 1995 diretto da Ron Howard. Il programma Apollo, che utilizzò la navicella spaziale omonima e il razzo vettore Saturn, si svolse tra il 1961 e il 1975. Il momento più importante fu certamente il 20 luglio 1969, quando gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin dell’Apollo 11 sbarcarono sul nostro satellite naturale. Nel corso di quegli anni, pur essendo ancora molto distanti dai menu ad hoc preparati da Argotec, ci furono parecchie novità anche per quanto riguarda i sistemi alimentari presenti a bordo.

aldrin footprint

L’impronta dell’astronauta NASA Buzz Aldrin durante la sua discesa sulla Luna il 20 Luglio 1969, all’interno della missione Apollo11.

Durante i programmi spaziali precedenti, Mercury e Gemini, il consumo di cibo degli equipaggi era spesso inadeguato. Tuttavia, con il passare del tempo, la qualità e la varietà dello space food iniziò ad aumentare. Gli astronauti delle missioni Apollo, per esempio, furono i primi a poter utilizzare l’acqua calda, che rese possibile la reidratazione degli alimenti e migliorò allo stesso tempo il gusto del cibo, rendendolo più appetibile. Gli equipaggi diretti verso la Luna furono anche i primi a utilizzare lo “spoon bowl”, cioè un contenitore di plastica che può essere aperto e il cui contenuto può essere mangiato con un cucchiaio. La NASA utilizzò in quel periodo anche alcuni alimenti termostabilizzati o irradiati, tecniche di conservazione che al tempo erano solo agli inizi dello sviluppo. La loro versione moderna viene oggi utilizzata all’interno dello Space Food Lab di Argotec.

Per quanto riguarda l’Apollo 11, i primi “pasti lunari” furono preparati in modo da essere gustosi, nutrienti e variegati. Armstrong e Aldrin ne ebbero a disposizione due durante la loro permanenza sul nostro satellite. Il primo era composto da alcuni quadratini di pancetta, pesche, cubetti di biscotto zuccherato, succo di frutta all’ananas e al pompelmo oltre che caffè. Con il secondo era invece possibile gustare stufato di manzo, crema di zuppa di pollo, torta di frutta e succo d’arancia. In questi menu furono inclusi anche alcuni snack, in particolare frutta secca e caramelle, insieme ad altre bevande supplementari.

A differenza delle altre missioni, i nutrizionisti programmarono i menu dell’Apollo 11 solo per i primi cinque giorni di volo. Agli astronauti fu messa a disposizione una sorta di dispensa da cui scegliere le pietanze in base ai propri gusti e necessità. Tra queste erano presenti alcuni dessert reidratabili come il budino alla banana, alle mele o al cioccolato. Oppure prodotti per la colazione come pesche, macedonia di frutta, pancetta, corn flakes, cubetti di fragola o albicocca. Senza dimenticare vari tipi di insalate, carni e persino un cocktail di gamberi.

Per saperne di più:

https://www.argotec.it/argotec/index.php/spacefood/spacefood

Storia del cibo spaziale

28/08/2014

Un augurio dal Trentino

Ci e’  arrivato un bel messaggio da una giovane terrestre per Samantha attraverso la nostra pagina Facebook:

Ciao Samantha, mi chiamo Silvia , sono una ragazzina di quasi 12 anni e vivo a Trento. Sono una tua fan e vorrei farti tanti in bocca al lupo per il tuo prossimo viaggio nello spazio. Farò il tifo per te! Sono contenta se mi saluti dallo Spazio durante qualche collegamento e se mi racconti la tua esperienza una volta tornata sulla terra. Sono orgogliosa che ci sia una trentina nello spazio! Seguirò il tuo viaggio in televisione insieme hai miei amici.

Tantissimi saluti da Silvia.

Domande dalla Terra | la comunita' intergalattica

27/08/2014

Quel qualcosa in più !

Nel programma alimentare di un astronauta che deve passare diversi mesi sulla ISS è prevista anche l’assunzione di specifici integratori alimentari.

Gli integratori alimentari sono utili per garantire quei livelli ottimali di nutrienti necessari all’organismo e per mantenere la macchina metabolica tarata al meglio. Ne esistono di diversi tipi.

Tra gli integratori più noti si riconoscono delle erbe adattogene, cioè capaci di aiutare l’organismo ad adattarsi agli stimoli ambientali. Ne sono esempi l’ashwagandha, il ginseng, la rodiola rosea che hanno effetti benefici antistress.

Alcuni alimenti che consumiamo abitualmente hanno il loro corrispettivo in integratori alimentari. Il cacao, il tè verde e la melagrana sono dei potenti antiossidanti, la cannella si può usare nella regolarizzazione della glicemia, la curcuma è un potente antinfiammatorio, la liquirizia aiuta a contrastare lo stress mentre lo zenzero può essere un valido aiuto per ridurre il colesterolo.

Alcuni integratori, invece, hanno nomi decisamente meno comuni ma è bene conoscerli per saper assumerli in modo corretto. L’acetil carnitina, per esempio, è un aminoacido che può essere consigliato, sotto controllo medico, alle persone che soffrono di diabete; l’acido alfalipoico agisce contro lo stress ossidativo, così come anche il coenzima Q10 che è un noto antiossidante; per favorire la detossificazione del fegato può essere utile assumere della N-acetilcisteina.

Infine, non bisogna dimenticare le vitamine: in questa numerosa famiglia alcune sono potenti antiossidanti (vitamina A, C, E) e altre sono co-fattori nel metabolismo (vitamine del gruppo B). Indispensabile per il nostro organismo è anche la vitamina D per la sua intensa azione protettiva e preventiva sulle arterie e su alcuni tipi di tumori. La vitamina D viene prodotta con l’esposizione alla luce solare: per questo, siccome non è sempre possibile, soprattutto d’inverno, esporsi al sole, è importante valutare con il proprio medico la possibilità di assumere un integratore di vitamina D.

Quando si parla di integratori alimentari vale la regola di non affidarsi al fai-da-te: è sempre bene rivolgersi al proprio medico curante per decidere se e quali integratori assumere.

 Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più’: https://www.filippo-ongaro.it/

Nutrizione e salute

26/08/2014

Dormire, forse sognare

L’astronauta della NASA Dan Burbank (Expedition 30) racconta che sulla Terra gli accadeva spesso di sognare di volare. Una volta in orbita, però, il suo sogno più frequente era di camminare con i piedi ben piantati sul nostro pianeta.

Luca Parmitano, invece, ogni mattina si svegliava e dimenticava i sogni. Non dimenticava però l’ultimo saluto alla moglie Kathy, la sera prima.

E che cosa sognerà Samantha, una volta in orbita? Basterà aspettare e chiederglielo. Intanto, fra i suoi tanti allenamenti, ha messo in pratica anche alcuni accorgimenti per controllare al meglio i ritmi del sonno.

In effetti, molti astronauti hanno raccontato di non riposare altrettanto bene e meno di quanto non accada loro sulla Terra. Un fenomeno studiato da tempo e che può avere varie cause.

Ora la rivista The Lancet Neurology ha pubblicato uno studio condotto da ricercatori della Brigham and Women’s Hospital (BWH) Division of Sleep and Circadian Disorders della Harvard Medical School, in collaborazione con la Università del Colorado, durato oltre 10 anni. I ricercatori americani hanno confrontato 4000 notti di sonno sulla Terra con oltre 4200 notti nello spazio, usando dati raccolti su 64 astronauti che hanno partecipato 80 voli Shuttle e 21 astronauti a bordo della Stazione Spaziale. L’analisi dei dati ha il merito di trasformare le sensazioni in misure. Per esempio, la ricerca mostra che la durata media di una notte di sonno in orbita è circa 6 ore, contro le 8 ore e mezzo previste dalla NASA.

Da una parte, dormire sulla Stazione Spaziale non è semplice come potrebbe sembrare. È vero che gli astronauti possono contare su un piccolo spazio privato – una specie di nicchia con le pareti morbide, grande quanto basta per contenere una persona, qualche pc e qualche altro effetto personale appeso alle pareti – ma certo non possono sprofondare nel sonno, dato che, in assenza di peso, viene meno quella bella sensazione di liquefarsi sul letto.

Per dormire poi, in genere usano delle mascherine per gli occhi e dei tappi per le orecchie. E, infine, si infilano in una specie di sacco a pelo (senza pelo, perché non ha funzioni termiche particolari), che evita loro di fluttuare in giro per l’astronave, sospinti dai flussi  dei condizionatori per il riciclo dell’aria. Insomma, le condizioni sono un po’ più artificiali di quanto si potrebbe sperare.

Lo studio, fra l’altro, mette in evidenza che anche le settimane prima del lancio sono caratterizzate da una diminuzione delle ore di riposo. Il che, al di là dei motivi fisiologici, non crediamo che stupisca nessuno, se è vero che – a noi terricoli – a volte basta il pensiero di un appuntamento il giorno dopo per saltare qualche ora di sonno.

La conclusione è molto semplice. Visto che, a lungo andare, meno riposo significa anche meno reattività, meno lucidità e, in generale, una peggiore forma fisica, occorre trovare misure efficaci per permettere agli equipaggi che rimangono in orbita a lungo di riposare in modo adeguato.

A questo proposito, forse può venirci in aiuto la Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams, che ricorda come “l’asciugamano è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere”. Fra i vari motivi elencati c’è anche il fatto che “potete avvolgervelo intorno alla testa per evitare gas nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal”.

O anche per dormire meglio sulla ISS, dovremmo aggiungere. Potremo allora dire che i nostri astronauti sono “frughi che sanno davvero dove hanno l’asciugamano”.

La Guida galattica per gli autostoppisti chiarisce che frugo significa tipo straordinariamente in gamba. Ed è uno dei titoli più ambiti nell’intero universo.

Per saperne di più’: https://blogs.esa.int/luca-parmitano/it/2013/10/23/a-day-on-the-international-space-station/ https://www.space.com/14131-astronauts-dream-space-iss-crew.html

Niente Panico

25/08/2014

Il segreto è nella salsa… e nel punto di fumo!

«Il segreto è nella salsa.» Nel film Fried Green Tomatoes del 1991 vengono raccontate le vite di quattro donne americane appartenenti a due generazioni differenti. Come nel libro da cui è tratto, anche nel film buona parte delle vicende ruotano attorno al Whistle Stop Café, dove vengono serviti ai clienti degli squisiti pomodori verdi fritti. Ai giorni nostri, la frittura non può ovviamente essere associata alla sana e corretta alimentazione visto l’elevato apporto di grassi. Per questo e per altri motivi, che ora capiremo, Argotec ha scelto di non utilizzare questa tecnica di cottura nella preparazione del cibo spaziale pensato appositamente per Samantha.

In ogni caso, siamo pur sempre di fronte a una componente tipica della tradizione gastronomica italiana. Abbiamo quindi chiesto qualche consiglio utile allo chef Stefano Polato: «Il segreto per una buona frittura risiede nel punto di fumo dell’olio, cioè la temperatura alla quale esso comincia a sviluppare sostanze nocive per l’organismo. L’azione prolungata del calore altera la struttura molecolare del grasso, che può deteriorarsi fino a sviluppare acidi di ossidazione dannosi per l’organismo. Alcuni oli, come quelli ricchi di acidi grassi omega-3, sono più sensibili alla temperatura e quindi si decompongono più facilmente, sviluppando l’acroleina, una sostanza dannosa per il fegato e irritante per la mucosa gastrica. La temperatura tipica di una frittura è di circa 180 °C. È dunque importante che l’olio prescelto sia di primissima qualità e che abbia un punto di fumo di molto superiore a questa.»

«Un’altra accortezza – continua Stefano Polato – è quella di friggere sempre il cibo a piccole dosi e di usare solo una volta l’olio. Un suggerimento utile è quello di controllare regolarmente la temperatura dell’olio tramite un termometro da cucina, facilmente reperibile in commercio, oppure regolando opportunamente il termostato della propria friggitrice. I possibili danni provocati dallo smodato utilizzo dei grassi, purtroppo non si limitano alla frittura. Uno dei passaggi più presenti nelle ricette italiane e non solo, è il soffritto. Considerando che la fiamma dei nostri fornelli casalinghi raggiunge temperature di 300 gradi centigradi, è molto probabile che si superi il punto di fumo. Tuttavia, possiamo aggiungere un po’ di acqua, vino o brodo (in base a ciò che richiede la ricetta in questione) quando iniziamo a sentire il tipico “sfrigolio” dell’olio. In questo modo abbassiamo notevolmente la temperatura evitando la produzione di sostanze nocive. All’interno dello Space Food Lab di Argotec abbiamo fatto molta attenzione a tutti questi aspetti durante la produzione degli alimenti per Samantha. Quindi, per chi non volesse rinunciare, ovviamente senza abusarne, a una buona frittura consiglio di utilizzare un buon olio extravergine di oliva e un termometro per non superare i 170/180 °C.».

Antonio Pilello, Argotec

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/index.php/spacefood/spacefood_futura  

Dietro le quinte

22/08/2014

Il mondo da lassu’

Ciao Sam, vorrei sapere a che altezza si apre lo scudo della soyuz e potete vedere lo spazio dagli oblò. Avviene in automatico o lo sganciate voi? Che velocità raggiungete a quel punto?
E. Jessica

Cara Jessica,

come giustamente ricordi, durante il lancio la capsula Soyuz, in cima al razzo lanciatore Soyuz, è protetta da uno “scudo” (shroud) che continua e conclude il profilo aerodinamico del razzo. Passati gli strati bassi, e quindi densi, dell’atmosfera, questo non è più necessario e i due “petali” di aprono e si staccano. È in quel momento che, come dici tu, iniziamo a vedere attraverso gli obló.

La separazione avviene in maniera automatica dopo circa 2 minuti e 40 secondi dal lancio, ad un altezza di circa 80 km. Non ricordo la velocità, dovrei consultare i documenti, che però non posso portare fuori dalla Russia (ora sono in Giappone)!

Samantha

Qui potete inoltre trovare un bel video che spiega i passaggi del ritorno sulla Terra della Souyz e degli astronauti; il video e’ basato su una lezione che la classe di astronauti ESA del 2009 ha seguito (la classe di Samantha Cristoforetti) durante la loro formazione di base ad ESA.

[youtube -l7MM9yoxII nolink]

Domande dalla Terra | la comunita' intergalattica

21/08/2014

Come bere un bicchiere d’acqua!

Proteine, carboidrati e la giusta quantità di grassi: allo schema del piatto unico manca solo un ultimo elemento indispensabile per la nostra salute, l’acqua.

Del resto l’acqua è una componente essenziale delle nostre stesse cellule e quindi della nostra vita.

Secondo la guida LARN 2012 (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) redatta dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), un’assunzione adeguata di acqua per il maschio adulto è di 2,5 litri e per la donna è di 2 litri al giorno considerando anche l’acqua che si assume attraverso gli alimenti, in primis la frutta e la verdura.

È anche grazie alla corretta assunzione di acqua che il nostro organismo può funzionare correttamente; non solo idrata ma per esempio può contrastare l’azione dannosa dei radicali liberi e prevenire l’invecchiamento cellulare.

L’acqua dimostra anche dei vantaggi “pratici” nel corso delle diete dimagranti. È, infatti, un’ottima alleata se si ha necessità di tenere sotto controllo la fame: placa l’appetito e, soprattutto durante il pasto, bere 3-4 bicchieri di acqua, permette di sentirsi sazi più facilmente; infine, con l’acqua, si può nutrire l’organismo con minerali, come il calcio, che il corpo ci richiede attraverso il senso di fame.

Mangiare sano è semplice come bere un bicchiere d’acqua! Dr. Filippo Ongaro Per saperne di più’: www.filippo-ongaro.it  

Nutrizione e salute

20/08/2014

Che cos’è’ per te il coraggio?

Samantha Cristoforetti ha raccontato cosa significhi per lei, come persona e come astronauta, essere coraggiosi. Il video di Samantha e’ stato proiettato durante la serata conclusiva della Route Nazionale Agesci 2014, il cui tema e’ stato per l’appunto il coraggio.

[youtube -zzhmPS9-cQ]

E per voi cos’è’ il coraggio? Fatecelo sapere con i vostri commenti!  

Chiedilo a Samantha

11/08/2014

E questo dove lo butto?

Come ogni condominio che si rispetti, anche la nostra casa spaziale, la Stazione Spaziale, è afflitta da uno dei più seri problemi domestici: dove butto i rifiuti?

Oggi la questione centrale non è più, come nel primo decennio di volo umano, lo smaltimento di urine e feci. Ormai i sistemi di riciclo delle prime sono utilizzati ampiamente per rifornire di acqua potabile gli astronauti, mentre le seconde vengono immagazzinate dai serbatoi delle toilet. È la naturale conseguenza di missioni in orbita che non durano più pochi giorni, ma dai 3 ai 6 mesi.

Una lunga permanenza nello spazio comporta anche ad esempio l’accumulo di oggetti che si rompono, che si deteriorano, che non servono più, che si sporcano tanto da renderli inutilizzabili. Nonché dai depositi di feci a cui abbiamo accennato sopra. Insomma, rappresentanti di ciascuna di quelle categorie che noi terricoli conosciamo bene.

E allora? E allora la soluzione di questi ultimi anni escogitata per la Stazione Spaziale Internazionale ha la genialità delle idee semplici: un modulo che può essere riempito e che poi… si butta via.

Lo avete riconosciuto? È il Veicolo Automatico di Trasferimento (ATV) dell’ESA. Da affabile maggiordomo che porta agli abitanti dello spazio aria, cibo, acqua, esperimenti, vestiario, l’ATV viene gradualmente riempito di cose da dimenticare. Se la ISS fosse una villetta, l’ATV sarebbe la sua soffitta: con la comodità di poterla cambiare quando è piena. Ammettiamolo pure, con la giusta dose di cinismo: nei sei mesi in cui rimane attraccato alla ISS, piano piano l’ATV si trasforma in gentile e iper tecnologico bidone della spazzatura.

Nel corso del suo rientro, il modulo viene fatto tuffare nell’atmosfera a velocità ipersonica. Qui si disintegra in circa 700 pezzi. A circa 50 km di quota, l’alta temperatura (fino a 1500 gradi) causata dalla frizione atmosferica provoca l’esplosione dei serbatoi e il consumo del propellente residuo. Quasi tutti i pezzi dell’ATV vengono fusi e vaporizzati in questa fase, ben prima di arrivare a terra. L’impatto sul nostro pianeta e sulla sua atmosfera è praticamente nullo.

Sono pochissimi gli elementi in grado di raggiungere la superficie terrestre. Il pezzo più significativo è il motore, che è stato costruito per resistere a temperature molto alte. Tuttavia la traiettoria di rientro dell’ATV è calcolata in modo che i residui solidi si tuffino in una grande area disabitata dell’oceano pacifico, per cui il rischio di essere colpiti da pezzi di pattumiera galattica è effettivamente molto basso.

Visto che siamo in tema, vale la pena ribadire che questi rifiuti hanno ben poco a che vedere con rifiuti orbitali come satelliti spenti, pezzi di satelliti che sono esplosi, serbatoi vuoti, bulloni, schegge, addirittura guanti persi durante passeggiate spaziali. Questi residui, che sono rimasti in varie orbite intorno alla Terra, costituiscono un grave inquinamento dovuto all’uomo, ma non sono legati in modo specifico alle attività degli astronauti.

E questo è un problema da affrontare ben altrimenti che con l’ATV: si tratta di milioni di frammenti di artefatti sui quali occorre intervenire. In primo luogo non facendone aumentare il numero in futuro e, possibilmente, facendolo diminuire. Diversi studi sono in corso nelle varie agenzie spaziali e, ogni tanto, qualcuno fa capolino anche sulla stampa. Difficile dire quale sia il progetto più promettente.

Ma il concetto è chiaro: sviluppo sostenibile anche nello spazio.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

08/08/2014