Archivio mensile: June 2014

Quale sarà il tuo ruolo a bordo della Soyuz?

L’equipaggio della Soyuz, la piccola astronave russa che ci porterà sulla Stazione Spaziale Internazionale, è composto da tre persone. Nel posto centrale si siede il comandante, che è sempre un/a cosmonauta russo/a. Nel mio caso si tratta di Anton Shkaplerov, al suo secondo volo nello spazio. Io mi siederò nel posto di sinistra, quello dell’ingegnere di bordo, una sorta di co-pilota, anche se non si può davvero dire che la Soyuz si piloti come un aeroplano. L’addestramento del comandante e dell’ingegnere di bordo sono pressoché identici per quanto riguarda la conoscenza dei sistemi di bordo e delle procedure, nonché nella capacità di controllare manualmente il veicolo in alcune fasi del volo, come l’avvicinamento finale alla Stazione Spaziale, l’attracco e il rientro nell’atmosfera. Ma quando siamo ai nostri posti nel simulatore Soyuz, o presto nel veicolo reale, ognuno di noi ha dei compiti ben precisi, che in gran parte derivano dall’accessibilità dei controlli. Per esempio, solo il comandante nel posto centrale ha una buona visione dal periscopio e può quindi controllare l’orientamento del veicolo prima di accendere il motore. Io, invece, nel posto di sinistra, ho accesso per esempio ai cosiddetti “comandi particolarmente importanti”, una serie di 22 pulsanti che permettono di effettuare molte operazioni vitali anche con il computer di bordo in completa avaria. Come ingegnere di bordo ho inoltre, ancor più del comandante, la responsabilità di conoscere perfettamente il funzionamento di tutti i sistemi, in modo da poter supportare l’equipaggio nel prendere rapidamente la giusta decisione in caso di situazioni non nominali.  

Chiedilo a Samantha

30/06/2014

Il prossimo ATV

Egregia Astronauta Samantha Cristoforetti, La ringrazio per la possibilità di contattarla e di poter avere una sua risposta. la mia domanda è: il prossimo ATV-5 dell’ESA porta il nome di George Lemaitre, sacerdote e grande fisico. Cosa pensa Lei del rapporto Scienza e Fede, cosa può vivere un’astronauta che da lassù si può vedere la terra senza confini, ma che non può vedere la particolarità di ogni uomo e donna che vive. La ringrazio e le auguro una buona preparazione e la ricordo nella preghiera! Francesco Bomentre

Domande dalla Terra | la comunita' intergalattica

30/06/2014

Vostok

Il 12 aprile 1961 Jurij Alekseevič Gagarin divenne il primo uomo a compiere un’orbita completa intorno alla Terra. Partito dal cosmodromo di Baikonur il suo viaggio a bordo della capsula Vostok 1 fu relativamente breve, solo un’ora e quarantotto minuti, ma diede inizio a un’impresa, quella del volo umano nello spazio, che continua ancora oggi. Chissà cosa deve aver provato il giovane cosmonauta di fronte a uno spettacolo mai visto prima: “Da quassù la Terra è bellissima –ha detto Gagarin – senza frontiere né confini.”

Il viaggio della sua navicella andò come previsto, eseguendo un’orbita terrestre completa prima dell’accensione dei retrorazzi frenanti. Nulla fu lasciato al caso: nell’eventualità in cui ci fossero stati dei problemi, la Vostok 1 sarebbe comunque rientrata in atmosfera dopo circa dieci giorni grazie alla forza di attrito legata alla traiettoria scelta.

Di conseguenza, le scorte di cibo, così come quelle di ossigeno e carburante furono calibrate in modo da garantire la sopravvivenza del giovane Gagarin, che ebbe comunque il tempo di assaggiare un po’ di cibo spaziale.

Come ci racconta il giornalista aerospaziale Paolo D’Angelo, il primo spuntino spaziale della storia non fu particolarmente gustoso o invitante, ma servì comunque a dimostrare che un essere umano è in grado di deglutire e quindi in grado di mangiare anche in assenza di peso. Il cosmonauta consumò il cibo contenuto in tre tubetti, simili a quelli per il dentifricio: due contenenti una purea di carne e uno con una crema di cioccolato. Dopo questo primo importante momento i pasti per gli astronauti sono diventati via via sempre più sofisticati:  dalle missioni Mercury, Gemini e Apollo fino al moderno bonus food di Argotec, studiato appositamente per ogni astronauta europeo.

La successiva missione Vostok 2, con a bordo German Stepanovič Titov, fu molto più lunga, per un totale di 17 orbite in circa 25 ore. Anche in questo caso fu prevista una scorta di cibo da consumare a bordo, ma l’astronauta Titov fu anche la prima persona ad avere il cosiddetto “mal di spazio”, un malessere molto simile al mal di mare che può presentarsi quando l’organismo fatica ad adattarsi alle condizioni di assenza di peso.

Le spedizioni proseguirono sino al giugno del 1963, quando si concluse la missione congiunta della Vostok 5 con laVostok 6, con a bordo rispettivamente i cosmonauti Valerij Fëdorovič Bykovskij e Valentina Vladimirovna Tereškova.

 

Antonio Pilello, Argotec

Storia del cibo spaziale

27/06/2014

Perdere peso?

Quanti di noi hanno desiderato essere nello spazio solo per il gusto di perdere peso? Perderlo del tutto, voglio dire.

Eppure nessun dietologo serio ve lo consiglierebbe: intanto perché saprebbe perfettamente che, se vogliamo smaltire un po’ di ciccia, è la massa, non il peso, quella che si deve perdere. E saprebbe anche che la massa ve la portate dietro tale e quale ovunque voi siate: a casa, al mare, in montagna, nello spazio. E sulla Stazione Spaziale.

Se poi vi accontentate di perdere letteralmente peso… be’, niente da fare nemmeno in questo caso. Tecnicamente, a bordo della ISS non si perde affatto peso. Il motivo è semplice. Il nostro peso non è altro che la forza con la quale la Terra ci attrae e dipende dalla distanza tra noi stessi e il centro del pianeta: più ci allontaniamo, più la forza diminuisce.

Ecco, proprio qui sta il punto: la ISS si trova ad appena 400 km di quota, mentre il raggio medio della Terra è di circa 6371 km. In altri termini, nonostante la gran fatica e tutta la tecnologia necessaria per arrivare in orbita non ci siamo allontanati poi di molto e il peso – inteso come forza peso – diminuisce appena del 10%.

Riassumendo quindi la massa rimane la stessa e il peso diminuisce di poco. Eppure gli astronauti della ISS galleggiano nello spazio. Com’è questa storia? Ma se abbiamo ancora peso, perché non si cade? Gli astronauti, quando li vediamo galleggiare, stanno cadendo. Non verso la Terra, ma intorno alla Terra.

Non perdetevi la prossima puntata e … Niente Panico!

 

Stefano Sandrelli

 

Niente Panico

26/06/2014

La nostra Osteria ai confini dell’Universo

Che cosa è importante se si vuole aprire un’osteria ai confini dell’Universo? Prima di tutto, è necessario prendere in considerazione la capacità di carico della vostra nave spaziale: massa e volume sono sempre i primi fattori di cui tener conto quando si invia un carico nello spazio, cibo compreso. Poi, se vogliamo avere successo, è necessario scegliere e trasportare ingredienti genuini provenienti dalla Terra e immaginare nuove ricette “spaziali”. Attualmente, gli alimenti sono confezionati e immagazzinati singolarmente per un facile consumo in condizioni di microgravità. I cibi sono precotti o elaborati in modo che possano essere preparati aggiungendo acqua oppure mediante riscaldamento. Di tanto in tanto, quando arrivano i rifornimenti, gli astronauti della ISS possono anche mangiare frutta e verdura fresche. Cibo reidratabile. Con l’intenzione di ridurre il peso del carico utile è possibile rimuovere l’acqua da alimenti e bevande. Si potrà poi aggiungerla di nuovo nel corso della missione, poco prima del pasto. Esempi: zuppe (consommé di pollo e crema di funghi), casseruole (maccheroni con formaggio, pollo e riso), antipasti (cocktail di gamberi), uova strapazzate e cereali. Cibo termostabilizzato. Il cibo viene trattato con il calore per rimuovere eventuali microrganismi ed enzimi dannosi. I pasti vengono confezionati in sacchetti flessibili, in lattine o bicchieri di plastica. Normalmente, il cibo viene mangiato direttamente dai contenitori. Esempi: manzo con funghi, pomodori e melanzane, pollo, prosciutto, frutta, pesce (tonno e salmone). Cibo con una percentuale d’acqua media. Le proprietà di questi alimenti, che possono essere consumati direttamente, vengono preservate riducendo la quantità di acqua disponibile per la crescita microbica, ma mantenendone abbastanza per dare al cibo la giusta consistenza. Esempi: pesche, pere e albicocche disidratate oppure carne di manzo essiccata.

25/06/2014

Dieta vegetariana e spazio: e’ possibile?

Salve, sono un insegnante di Scienze naturali in un liceo marchigiano. Seguiremo con trepidazione, alla riapertura della scuola, l’avventura di Samantha e gli spunti che arriveranno da Avamposto42. Una prima domanda che desidererei fare è questa: preso atto che, sulla Terra, una dieta vegetariana ben bilanciata è molto salutare per il nostro organismo, per un astronauta il regime alimentare vegetariano potrebbe avere “problemi” nello spazio (reperibilità/deperibilità alimenti; eventuali carenze; ecc.)? E con una dieta vegana? Grazie, un cordiale saluto e complimentissimi per questo portale informativo/divulgativo che fa tanto bene al corpo e allo spirito!

David Fiacchini

Domande dalla Terra | la comunita' intergalattica

24/06/2014

Lo chef e l’astronauta

Nel Ristorante al termine dell’Universo gli autostoppisti galattici possono gustare molti piatti eccezionali, tra cui uno squisito gnaB giB, cioè il Big Bang alla rovescia. Chissà se in passato  ci ha lavorato anche lo chef “spaziale” Stefano Polato.

Il giorno del primo incontro tra Stefano e Samantha, durante la degustazione del bonus food preparato per lei, la nostra astronauta stava proprio raccontando un aneddoto della Guida Galattica ai presenti. E, appunto, nella celebre serie di Douglas Adams i riferimenti culinari di certo non mancano. Abbiamo chiesto a Stefano Polato, chef Argotec, di raccontarci come e’ iniziata questa avventura di cucina spaziale:

Stefano, come è stato l’incontro con Samantha?

È andato molto bene: in effetti, la prima parola che ho sentito quando sono uscito dalla cucina per andare incontro a Samantha è stata proprio 42. Una bella coincidenza! Già da subito siamo riusciti a offrire a Samantha una serie di prodotti in linea con le sue aspettative e i suoi gusti, come ad esempio la quinoa, lo sgombro e il pesce azzurro; tutti prodotti che saranno al centro della sua dieta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.

Come avete preparato ad Argotec questa “degustazione spaziale”?

Nelle settimane precedenti a questo primo incontro abbiamo chiacchierato con Samantha per poter capire quali fossero le sue preferenze e necessità legate alla nutrizione: siamo subito entrati in sintonia, i principi che ci accomunano sono gli stessi. Mi riferisco, in particolare, alla biodiversità, alla sostenibilità e alla stagionalità; tematiche che sono collegate tra loro e guidano il nostro lavoro.

Come è proseguito il tuo lavoro?

Dopo la degustazione con Samantha ci siamo sentiti praticamente ogni settimana fino a quando non abbiamo inviato a Houston la prima scorta di bonus food nel febbraio 2014. Insieme ai nostri nutrizionisti e tecnici alimentari abbiamo messo a punto un menu personalizzato con gli ingredienti e gli abbinamenti più adatti. Abbiamo tenuto conto di parametri molto importanti sulla Terra come anche nello spazio: gusto, colore, consistenza e profumo degli alimenti. È stato un lavoro lungo ma molto interessante ed entusiasmante.

Che cosa puoi dirci riguardo a biodiversità, sostenibilità e stagionalità?

Se scelgo un prodotto di stagione sono sicuro che ha inquinato pochissimo perché ha fatto poca strada per arrivare sulla mia tavola. Rispettare la stagionalità non solo ci permette di assaporare cibi molto più ricchi di nutrienti ma anche di ridurre l’impatto ambientale legato ai nostri prodotti. Per quanto riguarda la biodiversità è assolutamente determinante poter recuperare e mantenere inalterate le varie specie che esistono, soprattutto per quanto riguarda i vegetali. In questo modo abbiamo l’opportunità di portare avanti la tradizione locale italiana in cucina, che fa parte del nostro bagaglio culturale e delle nostre radici.

Antonio Pilello, Argotec

Dietro le quinte

24/06/2014

Addio piramide, è il momento del piatto unico

Per anni l’immagine più rappresentativa della sana alimentazione è stata quella della piramide alimentare.

Ideata nel 1992 dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA), voleva offrire uno schema semplice per comprendere quali cibi consumare, in che quantità e con quale frequenza in un corretto regime alimentare.

Non esiste un’unica piramide alimentare, nel corso del tempo ne sono state elaborate di diverse: ci sono per esempio piramidi in cui l’olio extravergine di oliva è posto allo stesso livello del burro, perché considerato come un generico grasso. Non solo, esistono diverse rappresentazioni della piramide che lasciano in secondo piano cibi sani, come legumi e frutta secca, e non distinguono tra cereali raffinati e integrali.

Proprio per la presenza di queste imprecisioni è emersa la necessità di elaborare uno schema nuovo: il piatto unico. Creato da esperti di nutrizione dell’Harvard School of Public Health si basa sull’idea che bisogna superare il principio per il quale bisognerebbe mangiare “carboidrati solo a pranzo e proteine solo a cena”.

L’importante è rispettare le giuste proporzioni e le corrette combinazioni alimentari. Così, a pranzo, il nostro piatto unico sarà composto per:

–       1/4 da riso o pasta integrale;

–       1/4 da pesce azzurro, carne magra o legumi;

–       1/2 da verdure cotte o crude (le patate non contano come verdure sul piatto unico a causa del loro impatto negativo sulla glicemia).

Lo stesso schema si ripete anche a cena, scegliendo gli alimenti che non sono stati consumati a pranzo: per esempio a cena si possono scegliere i legumi o il pesce se a pranzo il quarto di piatto proteico è stato occupato dalla carne magra.

È inoltre buona norma bere 2-2,5 litri di acqua al giorno (assunta come tale o sotto forma di tisane, tè verde, cen­tri­fu­ghe di ver­dura o di frutta), limitare latte, latticini ed evitarebevande zuccherate.

Nel piatto unico trovano un piccolo spazio anche alcuni grassi fondamentali per la salute. Sono i cosiddetti “grassi buoni” come gli omega-3 contenuti in molti pesci e nelle noci, e i monoinsaturi che si trovano soprattutto nell’olio d’oliva.

Infine non va dimenticato che l’attività fisica è indispensabile affinché l’organismo rimanga in salute perché permette di scaricare la tensione nervosa, di eliminare le tossine e regolare il peso corporeo.

Lo schema del piatto unico è oggi adottato dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti con il progetto Choose My Plate e si sta affermando sempre più come la nuova immagine della sana alimentazione.

Dr. Filippo Ongaro

Nutrizione e salute

23/06/2014

Così lontani, così vicini

Spazio e Terra: difficile immaginarsi due cose tanto diverse e distanti. Eppure sulla terra ancor oggi la nutrizione clinica si avvale di innovazioni che arrivano direttamente dallo spazio e anche una dieta come quella “spaziale” può essere improntata alla ricerca di alimenti buoni, puliti e giusti, frutto della nostra Terra Madre.

Le esplorazioni spaziali e la permanenza prolungata nello spazio hanno avuto enormi ripercussioni su vari ambiti della nostra vita sulla terra, influenzando le tecnologie disponibili, incrementando le conoscenze sulla fisiologia del corpo umano e aprendo la via a nuove frontiere dell’alimentazione e della nutrizione.

Ancora oggi infatti, negli ospedali di tutto il mondo, si utilizzano quotidianamente formule per nutrizione enterale, cioè somministrate attraverso sonde posizionate nell’ intestino (gastrostomie e sondini naso-gastrici), che sono arrivate alla nutrizione clinica dopo le sperimentazioni condotte nello spazio, dove sono state studiate per fornire agli astronauti alimenti estremamente digeribili e nutrizionalmente completi.

Dopo la prima fase della presenza umana nello spazio l’evoluzione dei tempi di permanenza (non più pochi giorni, ma settimane o mesi) e delle finalità della permanenza (non più solo sfida, ma occasione per lo sfruttamento dell’assenza di gravità a fini scientifici) ha indotto sostanziali differenze nell’ organizzazione della giornata alimentare. Non le “mega-pillole” spaziali dei film di fantascienza e dell’immaginario collettivo, ma un’alimentazione che venisse incontro alle molte esigenze: sicurezza microbiologica (già prioritaria sulla terra, ancora più nello spazio), adeguata consistenza (ad esempio, nello spazio le briciole non sono permesse), bilanciamenti nutrizionali in micro e macronutrienti (tra i quali fornire adeguate calorie e proteine, riducendo il sodio per contrastare la rarefazione del tessuto osseo). E naturalmente la piacevolezza sensoriale; anche lassù non si può solo pensare al cibo come medicina:  il gusto è un elemento essenziale.

E’ quindi naturale che le recenti evoluzioni del cibo spaziale si coniughino, nelle scelte di Samantha Cristoforetti, fra la tradizione – nella scelta di alimenti che sono frutto di esperienze e saperi e sede di una memoria individuale e collettiva – e le più recenti innovazioni tecnologiche: un “buono-pulito-e-giusto-anche-nello-spazio”. Pasti “cucinati”, basati su alimenti tradizionali, ricchi di sapori e storia, a partire da legumi e cereali antichi e tradizionali tipici della gastronomia italiana e mediterranea.

Andrea Pezzana, Slow Food Italia

18/06/2014

Posto che vai gravita’ che (non) trovi!

Quando il cavaliere Jedi Qui-Gon Jinn e il suo allievo Obi-Wan Kenobi atterrano sul pianeta Naboo, imbarcano nella loro compagnia Jar Jar Binks, un umanoide anfibio e pasticcione – un tipo decisamente simpatico, se non lo si deve frequentare troppo spesso. Sul pianeta Tatooine, invece, i due incontrano il mercante Watto, un toydariano – una specie di calabrone di cui si stenta a credere possa volare davvero. Per quanto i pianeti e le razze che li popolano siano differenti fra loro, per quanto Naboo sia ricco di acqua e Tatooine desertico, c’e’ qualcosa che li accomuna: la forza di gravità. Per accorgersene basta osservare come camminano nel film Jinn e Kenobi: pur cambiando pianeta si muovono esattamente allo stesso modo sembrando anche a loro agio; e’ quindi probabile che quei pianeti esercitino un’attrazione gravitazionale simile a quella dei pianeti d’origine dei personaggi. E non è soltanto la scioltezza dei movimenti: anche se non ce ne accorgiamo, il peso e quindi la forza di gravita’, influenza profondamente tutta la nostra vita quotidiana, persino nei dettagli. Quando siamo in piedi, per esempio, il sangue si trova in gran parte sotto il livello del cuore: se la circolazione deve funzionare, allora il muscolo cardiaco deve pompare con una forza sufficiente a vincere l’attrazione gravitazionale. Il nostro senso dell’equilibrio dipende dai movimenti degli otoliti, sassolini che si trovano nell’orecchio interno e che si muovono sotto l’azione della gravità: cambiate la gravità e il nostro sistema di orientamento naturale andrà del tutto in tilt. E questi non sono che due casi particolari. E sulla Stazione Spaziale? Lassù in orbita, la forza di gravità è controbilanciata dalla forza centrifuga: è come se il peso scomparisse. Gli astronauti devono fare i conti con la mancanza della principale forza con cui facciamo i conti quotidianamente: una bella prova di adattamento!

Stefano Sandrelli

Niente Panico

17/06/2014