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Uno sguardo al passato per l’alimentazione di oggi

A ben guardare, spesso l’educazione a un’alimentazione che faccia bene alla nostra salute e a quella del pianeta significa anche guardare al passato. A un’epoca in cui, anche per via delle limitate possibilità economiche, si sprecava meno cibo, si sapevano ri-utilizzare gli avanzi, la carne era il piatto dei giorni di festa e non un alimento di consumo quotidiano. Oggi comprendiamo che la dieta dei nostri nonni e bisnonni era per molti versi più corretta, più sana, e che aveva un impatto ambientale più lieve del nostro… Oggi stiamo imparando pian piano a riscoprire tanti alimenti, come ad esempio molti vegetali che possano contribuire a soddisfare il fabbisogno di proteine. Ne parliamo, come sempre, proponendovi un viaggio attraverso alcuni fra i prodotti più interessanti che Slow Food ha raccolto nel proprio lavoro di censimento e di impegno accanto ai produttori.

In Uzbekistan settentrionale, al confine con Kazakistan e Kirghizistan, si trova la valle di Tchatkal, attraversata dall’antica via della seta che collegava l’Asia con l’Europa. Proprio quest’area è il centro di domesticazione di numerose cultivar di mandorle tra cui, senza dubbio, quelle che hanno generato le varietà consumate attualmente in tutto il mondo. Ancora oggi sul territorio del paese si trovano mandorli sia allo stato selvatico sia coltivati. In particolare, il distretto di Bostalynk è uno scrigno di biodiversità, dove la filiale dell’istituto di ricerca Shreder ha identificato finora più di 50 varietà di mandorle dolci e amare, selezionando le varietà migliori a partire da quelle selvatiche. Il dolce locale si chiama khashtak, ed è prodotto con albicocche delle varietà autoctone essiccate e poi private del nocciolo, uvetta, miele e mandorle e/o noci. Le mandorle contengono circa 20 grammi di proteine per 100 grammi di prodotto, e le antiche varietà di mandorle di Bostalynk sono tutelate da un Presidio Slow Food (https://fondazioneslowfood.it/presidi/dettaglio/1465/vecchie-variet-di-mandorle-di-bostanlyk#.VNx0hMb5rTU).

Non ci spostiamo di molto e andiamo in Armenia, dove l’alimento simbolo del paese, nonché il millesimo prodotto a salire a bordo dell’Arca del Gusto è l’albicocca (https://fondazioneslowfood.it/arca/dettaglio/1265/albicocca-shalakh#.VNx5ycb5rTU). Alle pendici del monte Ararat – quello dove si narra si sia incagliata l’Arca di Noè – vengono coltivate numerose varietà di questo frutto, tra cui la shalakh detta anche yerevani i cui frutti sono di grandi dimensioni, di forma ovoidale e pesano tra gli 80 e i 100 g, sono di colore giallo con una sfumatura più scura dove batte il sole. La polpa è tenera, succosa, molto densa, con visibili venature bianche, di consistenza cremosa e può contribuire a soddisfare il fabbisogno proteico – 200 grammi di albicocche disidratate possono dare infatti fino a 5 grammi di proteine. Oltre alla shalakh, che si mangia preferibilmente fresca, nella stessa zona sono coltivate innumerevoli altre varietà, come la novrast krasnyj, la khosrovshay, la tabarza, la karmir nakhidhevani, la bedem-erik, la abutalini, la spitak.

Spostandoci decisamente a occidente, non vi parliamo più di quinoa, ma di un’altra pianta così bella da essere coltivata anche a scopo ornamentale: l’amaranto che, assieme al mais e ai fagioli era il prodotto fondamentale nell’alimentazione dei popoli preispanici, dal Messico al Perù, ma che, a differenza degli altri duedopo la conquista è stato quasi completamente abbandonato. Intorno a quello coltivato a Tehuacán, nello stato di Puebla, Slow Food ha creato un Presidio (https://fondazioneslowfood.it/presidi/dettaglio/653/amaranto-di-tehuac-n#.VNx9AMb5rTU), valutandone anche – visto il suo ricco contenuto di proteine – la fondamentale funzione di bilanciare e arricchire la dieta di molte popolazioni indigene dell’America Latina, basata su mais e fagioli.

Infine è vero, ne abbiamo parlato appena una settimana fa, ma tenete presenti i legumi, di cui si possono trovare in commercio molte tipologie e varietà e che, durante tutto l’anno possono costituire un grandissimo alleato per la nostra dieta (e per il bene del paesaggio rurale).

Silvia Ceriani

Immagine di copertina di Livio Bersano. Per saperne di più: www.fondazioneslowfood.com

www.slowfoodfoundation.com

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13/02/2015

Vegetali ricchi di proteine

Il 2013 è stato scelto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite come l’anno internazionale della quinoa per celebrare al meglio i popoli indigeni delle Ande, che hanno avuto il merito di preservare questo cibo così straordinario dal punto di vista nutrizionale. Questo pseudocereale, che ha cioè chicchi commestibili non appartenenti alla famiglia delle graminacee, ma comunque utilizzabili allo stesso modo dei cereali tradizionali, è stato inserito dal team di nutrizionisti e tecnologi alimentari di Argotec all’interno del bonus food di Samantha Cristoforetti, da più di due mesi in orbita grazie alla collaborazione tra ASI, ESA e Aeronautica Militare. Priva di glutine, ricca di fibre e sali minerali, la quinoa è un alimento dal grande valore proteico visto che può fornire circa 14 grammi di proteine ogni 100 grammi di prodotto crudo.

Anche lo chef Stefano Polato è un grande sostenitore della quinoa: «È simile a un cereale nell’aspetto, ma differisce da esso sia per la tipologia vegetale che per il contenuto nutritivo. La quinoa, infatti, contiene tutti gli amminoacidi essenziali per il corretto funzionamento dell’organismo, cioè quello che non siamo in grado di sintetizzare direttamente, ma che dobbiamo assumere con l’alimentazione. Inoltre, presenta un ottimo equilibrio di proteine e carboidrati. In generale, è opportuno ricordare che le proteine non sono contenute unicamente negli alimenti di origine animale, ma anche i vegetali ne sono ricchi. Un buon apporto viene fornito, per esempio, dai legumi e dai cereali integrali, ma vorrei anche parlare della spirulina: è una microalga particolarmente ricca di proteine, che troviamo in commercio in forma granulare, essiccata oppure in polvere. È una grandissima fonte di amminoacidi facilmente assimilabili da parte dell’organismo quindi vale la pena di provarla».

Anche frutta, verdura e ortaggi possono fornire un contenuto proteico di tutto rispetto: «Le verdure, ricche di fibre, vitamine e sali minerali – continua il Responsabile dello Space Food Lab di Argotec – e ci forniscono anche una buona dose di proteine. È il caso, per esempio, degli spinaci e dei cavoli, ma il mio consiglio è quello di mangiare anche i carciofi, i peperoni, gli asparagi, i funghi prataioli e le melanzane. La frutta, fresca o essiccata, può essere consumata insieme alle mandorle o alle noci. Vanno anche bene, in base ai vostri gusti, i pinoli, le arachidi, i pistacchi, gli anacardi e le nocciole perché sono tutti buone fonti di proteine vegetali. Ovviamente non mi sono dimenticato dei legumi, di cui abbiamo parlato nel post precedente: nella nostra dieta sana ed equilibrata non dovrebbero mai mancare fave, lenticchie, fagioli, piselli e ceci».

Antonio Pilello

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/

Immagine di copertina: Quinoa rossa – credits: https://en.wikipedia.org/wiki/File:Red_quinoa.png

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12/02/2015

Una zuppa di legumi a gravità zero e… tutto gusto!

Fra i piatti del bonus food di Samantha Cristoforetti, il menu di qualitá creato dallo chef Stefano Polato e dall’azienda torinese Argotec, oltre al pollo di cui abbiamo parlato la scorsa settimana si trova anche una zuppa di legumi.

Ma non si tratta di legumi qualsiasi: i legumi scelti per questo piatto sono infatti provenienti da Presidi Slowfood e sono  la piattella canavesana, la lenticchia di Ustica, la fava di Carpino e il cece nero della Murgia carsica. I legumi sono un elemento da rivalutare per una dieta sana, equilibrata e anche gustosa!

I legumi della zuppa "spaziale" fotografati da Samantha Cristoforetti. Credits: ESA/NASA

I legumi della zuppa “spaziale” fotografati da Samantha Cristoforetti. Credits: ESA/NASA

Come ci ha raccontato Stefano Polato, “la zuppa di legumi preparata per Samantha è certamente l’esempio lampante del fatto che se c’è una scelta accurata della materia prima il risultato è sempre garantito. Utilizzare legumi come quelli scelti per la missione Futura, infatti, significa non solo assicurare un valore nutritivo accentuato rispetto alla norma, ma anche avere gusti e sensazioni particolari, sempre gradevoli. In ogni caso, la cosa che più mi ha stupito è stato il risvolto sociale di questa ricetta, che ha permesso a me e al mio team di conoscere direttamente i produttori. È stato un incontro davvero entusiasmante. Dalla loro passione sfrenata, che è il vero valore aggiunto di ogni prodotto, si può facilmente capire per quale motivo un legume venga selezionato da Slow Food e perché sia così buono.

Durante la preparazione nello Space Food Lab, infine, è stato molto importante fare attenzione alle caratteristiche intrinseche degli ingredienti, come il gusto e la consistenza, conservandole intatte anche a 24 mesi dalla produzione. Concludendo, mi permetto di dire che la zuppa di Argotec non è stata pensata solo per Samantha, ma che i legumi andrebbero consumati molto più spesso nella nostra dieta, anche più volte a settimana

E per la Terra? Mandateci la foto della vostra zuppa di legumi preferita…aspettiamo le vostre ricette! 

Ne volete sapere di più sui legumi che hanno creato questa nutriente zuppa? Qui ce li hanno raccontati direttamente da Slow Food: https://avamposto42.esa.int/blog/dei-legumi-davvero-fuori-da-questo-mondo/

Per saperne invece di più su Argotec: https://www.argotec.it/argotec/

Nell’immagine di copertina la zuppa di legumi creata dallo chef Stefano Polato. Credits: Argotec – Ready to Lunch .

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05/02/2015

Dei legumi davvero…fuori da questo mondo!

Cosa hanno in comune la piattella canavesana, la lenticchia di Ustica, la fava di Carpino e il cece nero della Murgia carsica? La prima risposta è che sono tutti legumi. Poi, nominandoli soltanto non è così evidente… sono legumi speciali, perché tutti e quattro sono Presìdi di Slow Food, testimonianze viventi di quel che intendiamo parlando di cibo buono, pulito e giusto. Quel che è forse meno noto – ma se di questi “magnifici quattro” parliamo sul blog di Samantha Cristoforetti un motivo ci sarà – è che hanno in comune un viaggio, che li conduce fino alla Stazione Spaziale Internazionale, attraverso un percorso che inizia a Chilometri zero….,dal campo alla tavola in un contesto localissimo, poi fino a Torino, nelle cucine di Argotec, e infine a centinaia di chilometri di distanza, guardando all’insù, nello spazio. E saperli lassù, ingredienti di una zuppa che lo chef Stefano Polato ha cucinato per l’astronauta, ci riempie d’orgoglio. E sappiamo per certo che riempie d’orgoglio i produttori. Ma vogliamo conoscerli meglio, questi magnifici quattro? Iniziamo da lei, la piattella canavesana di Cortereggio (Piemonte, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3449/piattella-canavesana-di-cortereggio#.VNDbDsb5rTU). Fino agli anni Ottanta, la sua coltivazione era diffusa, ma poi fu progressivamente abbandonata per lasciar posto ad altre piante più “efficienti”. Si è salvata dall’estinzione per il rotto della cuffia, grazie a un agricoltore locale che consegnò alla banca del germoplasma dell’Università di Torino pochi chili di fagioli per conservarne la semente. Ecco come si è preservato questo fagiolo bianco lucente e lievemente schiacciato tipico dell’area canavesana. Se volete assaggiarlo, cucinate una zuppa, come quella di Samantha, o cuocetelo nella pignatta o nel coccio. (Potete vedere la piattella nella fotografia in copertina, realizzata da Paolo Andrea Montanaro per SlowFood). Poi c’è lei, la più piccola d’Italia. La lenticchia di Ustica (Sicilia, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3562/lenticchia-di-ustica#.VNDc8sb5rTU) è di colore marrone scuro con sfumature delicate verdoline, ed è coltivata da sempre sui terreni lavici e fertili dell’isola, con una tecnica è completamente manuale e senza l’impiego di concimi o erbicidi di sorta. Unica deroga è data, da qualche anno a questa parte, all’utilizzo della trebbia. Se la usate per preparare una zuppa, provate a insaporirla col basilico o il finocchietto selvatico altrimenti cucinatevi una bella pasta e lenticchie, usando degli spaghetti spezzati.
Il cece nero della Murgia Carsica. Fotografia di Alberto Peroli.

Il cece nero della Murgia Carsica. Fotografia di Alberto Peroli.

Se i terreni lavici sono l’ideale per la lenticchia, la fava di Carpino (Puglia, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3261/fava-di-carpino#.VNDeTMb5rTU) richiede invece terreni calcarei e argillosi ed è prodotta in rotazione con il grano duro, le barbabietole da zucchero, i pomodori e i lupini. Osservare le fasi della raccolta è affascinante: si usano ancora i cavalli e le forche di legno, in un’idea di lavoro antica, ma anche profondamente contemporanea. Anche la sua preparazione dovrebbe essere antica: la fava infatti andrebbe cotta in pignatte di terracotta, sul fuoco dolce del camino. Infine, dal centro della Puglia, ecco il cece nero della Murgia Carsica (https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/4607/cece-nero-della-murgia-carsica#.VNDgdsb5rTU), un ecotipo locale dalla buccia rugosa e irregolare, il colore scurissimo e la dimensione di un chicco di mais (è molto più piccolo dei ceci comuni). Sul mercato non ha mai avuto troppo successo, per via della pazienza che richiede in cucina. Tuttavia, come spesso accade, i sapori migliori vanno “conquistati” con un pizzico di impegno e fatica. Provatelo nella versione più semplice possibile: condito con un filo d’olio. Niente sale. E vi renderete conto di quanto sia eccezionale questo piccolo, prezioso alimento.   Silvia Ceriani Fondazione Slow Food per la biodiversità (https://www.fondazioneslowfood.it)

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05/02/2015

I legumi in cucina

Sono ricchi di ferro, potassio, magnesio, fosforo e vitamine del gruppo B, ma anche una fonte di fibre e fitonutrienti. Stiamo parlando dei legumi, che tuttavia trovano poco spazio nella nostra alimentazione a causa del gonfiore e dei fastidi intestinali che possono provocare, senza dimenticare i lunghi tempi di preparazione. In realtà, come ci spiega lo chef di Argotec Stefano Polato, per facilitare la digeribilità esistono vari accorgimenti: «Il primo può essere quello di ottenere un passato in modo da frantumare la buccia. Anche l’abbinamento con aromi, quali aglio, alloro, coriandolo, salvia, timo, peperoncino o l’alga kombu possono aiutare. Tutti questi vegetali hanno la capacità di ostacolare le fermentazioni e la formazione di gas intestinali. In generale, i legumi sono davvero importanti per la nostra dieta quindi non è un caso che questi siano ampiamente presenti nel bonus food di Samantha Cristoforetti, all’interno di una zuppa sana e gustosa».

Al di là della cottura, un aspetto importante, spesso sottovalutato, è quello dell’ammollo. Per i legumi in versione secca, questo può essere lungo o rapido: «Nel primo caso – continua Polato – lavate bene i legumi in modo da eliminarne le impurità, poi metteteli in acqua tiepida all’interno di un recipiente abbastanza grande da poter contenere circa cinque parti d’acqua e una di legumi. Iniziate l’ammollo la sera in modo da lasciarli a bagno tutta la notte. Il giorno successivo devono essere eliminati quelli che galleggiano così come l’acqua, che non va più utilizzata in quanto può contenere alcune sostanze tossiche. Anche nel secondo caso, quello più veloce, è necessario lavare bene i legumi, per poi metterli in pentola con le solite 5-6 parti di acqua. A questo punto, si porta tutto a bollore e si lascia cuocere per 2-3 minuti. Trascorso questo tempo, si spegne il fuoco e si lascia riposare per circa 3-4 ore».

Quelli della missione Futura, nata dalla collaborazione tra ASI (Agenzia Spaziale Italiana) , ESA (Agenzia Spaziale Europea)  e Aeronautica Militare, sono già pronti da gustare all’interno di pratici pouch. Sulla Terra invece? Una volta ammollati, i legumi vanno nuovamente lavati sotto acqua corrente e si può procedere alla cottura che varia in funzione della dimensione e della tenacità del prodotto scelto. «Durante la preparazione – questo il consiglio dello chef di Argotec – l’acqua deve superare il livello dei legumi di circa 2-3 centimetri. La cottura deve essere dolce e omogenea, utilizzando una pentola con fondo abbastanza spesso in modo da uniformare il calore. Non aggiungete mai il sale durante la cottura in quanto tende a indurire la buccia, ma insaporite con alcune spezie solo alla fine. Infine, evitate l’utilizzo della pentola a pressione perché si tratta di un metodo di cottura troppo aggressivo».

Antonio Pilello

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/

Una ricetta di Stefano Polato – Burger di ceci al curry

Ingredienti (per 4 burger)

250 g di ceci già cotti 200 g di spinaci 100 g di cous cous 200 ml di brodo vegetale pangrattato Olio extravergine di oliva curry in polvere salvia, rosmarino e timo sale e pepe

Procedimento: Ammollare i ceci e cuocerli in abbondante acqua. Spadellare per 4 minuti gli spinaci freschi (precedentemente lavati) in padella con un filo d’olio extravergine di oliva, sale e pepe.

Far bollire il brodo vegetale leggermente salato, spegnere il fuoco e versare il cous cous. Far riposare per 10 minuti finché non avrà completamente assorbito l’acqua. Trascorso il tempo sgranare il cous cous con le mani.

Unirvi i ceci cotti e scolati e schiacciare tutto con una forchetta.

Tritare gli spinaci cotti e aggiungerli al composto. Mescolare bene e insaporire con curry a piacere, pepe ed erbe aromatiche tritate.

Qualora fosse necessario, aggiungere del pangrattato per facilitare la lavorazione dei burger.

Dividere il composto ottenuto in 4 parti e formare i burger partendo da dei polpettoni e schiacciandoli, poi, a formare dei dischi. Cuocerli in forno a 200°C per 15/20 minuti.

Servire con pane integrale tostato, qualche foglia di lattuga e accompagnare con della senape.

Fai il pieno giusto | Proteine e muscoli

03/02/2015