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Una zuppa di legumi a gravità zero e… tutto gusto!

Fra i piatti del bonus food di Samantha Cristoforetti, il menu di qualitá creato dallo chef Stefano Polato e dall’azienda torinese Argotec, oltre al pollo di cui abbiamo parlato la scorsa settimana si trova anche una zuppa di legumi.

Ma non si tratta di legumi qualsiasi: i legumi scelti per questo piatto sono infatti provenienti da Presidi Slowfood e sono  la piattella canavesana, la lenticchia di Ustica, la fava di Carpino e il cece nero della Murgia carsica. I legumi sono un elemento da rivalutare per una dieta sana, equilibrata e anche gustosa!

I legumi della zuppa "spaziale" fotografati da Samantha Cristoforetti. Credits: ESA/NASA

I legumi della zuppa “spaziale” fotografati da Samantha Cristoforetti. Credits: ESA/NASA

Come ci ha raccontato Stefano Polato, “la zuppa di legumi preparata per Samantha è certamente l’esempio lampante del fatto che se c’è una scelta accurata della materia prima il risultato è sempre garantito. Utilizzare legumi come quelli scelti per la missione Futura, infatti, significa non solo assicurare un valore nutritivo accentuato rispetto alla norma, ma anche avere gusti e sensazioni particolari, sempre gradevoli. In ogni caso, la cosa che più mi ha stupito è stato il risvolto sociale di questa ricetta, che ha permesso a me e al mio team di conoscere direttamente i produttori. È stato un incontro davvero entusiasmante. Dalla loro passione sfrenata, che è il vero valore aggiunto di ogni prodotto, si può facilmente capire per quale motivo un legume venga selezionato da Slow Food e perché sia così buono.

Durante la preparazione nello Space Food Lab, infine, è stato molto importante fare attenzione alle caratteristiche intrinseche degli ingredienti, come il gusto e la consistenza, conservandole intatte anche a 24 mesi dalla produzione. Concludendo, mi permetto di dire che la zuppa di Argotec non è stata pensata solo per Samantha, ma che i legumi andrebbero consumati molto più spesso nella nostra dieta, anche più volte a settimana

E per la Terra? Mandateci la foto della vostra zuppa di legumi preferita…aspettiamo le vostre ricette! 

Ne volete sapere di più sui legumi che hanno creato questa nutriente zuppa? Qui ce li hanno raccontati direttamente da Slow Food: https://avamposto42.esa.int/blog/dei-legumi-davvero-fuori-da-questo-mondo/

Per saperne invece di più su Argotec: https://www.argotec.it/argotec/

Nell’immagine di copertina la zuppa di legumi creata dallo chef Stefano Polato. Credits: Argotec – Ready to Lunch .

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05/02/2015

Dei legumi davvero…fuori da questo mondo!

Cosa hanno in comune la piattella canavesana, la lenticchia di Ustica, la fava di Carpino e il cece nero della Murgia carsica? La prima risposta è che sono tutti legumi. Poi, nominandoli soltanto non è così evidente… sono legumi speciali, perché tutti e quattro sono Presìdi di Slow Food, testimonianze viventi di quel che intendiamo parlando di cibo buono, pulito e giusto. Quel che è forse meno noto – ma se di questi “magnifici quattro” parliamo sul blog di Samantha Cristoforetti un motivo ci sarà – è che hanno in comune un viaggio, che li conduce fino alla Stazione Spaziale Internazionale, attraverso un percorso che inizia a Chilometri zero….,dal campo alla tavola in un contesto localissimo, poi fino a Torino, nelle cucine di Argotec, e infine a centinaia di chilometri di distanza, guardando all’insù, nello spazio. E saperli lassù, ingredienti di una zuppa che lo chef Stefano Polato ha cucinato per l’astronauta, ci riempie d’orgoglio. E sappiamo per certo che riempie d’orgoglio i produttori. Ma vogliamo conoscerli meglio, questi magnifici quattro? Iniziamo da lei, la piattella canavesana di Cortereggio (Piemonte, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3449/piattella-canavesana-di-cortereggio#.VNDbDsb5rTU). Fino agli anni Ottanta, la sua coltivazione era diffusa, ma poi fu progressivamente abbandonata per lasciar posto ad altre piante più “efficienti”. Si è salvata dall’estinzione per il rotto della cuffia, grazie a un agricoltore locale che consegnò alla banca del germoplasma dell’Università di Torino pochi chili di fagioli per conservarne la semente. Ecco come si è preservato questo fagiolo bianco lucente e lievemente schiacciato tipico dell’area canavesana. Se volete assaggiarlo, cucinate una zuppa, come quella di Samantha, o cuocetelo nella pignatta o nel coccio. (Potete vedere la piattella nella fotografia in copertina, realizzata da Paolo Andrea Montanaro per SlowFood). Poi c’è lei, la più piccola d’Italia. La lenticchia di Ustica (Sicilia, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3562/lenticchia-di-ustica#.VNDc8sb5rTU) è di colore marrone scuro con sfumature delicate verdoline, ed è coltivata da sempre sui terreni lavici e fertili dell’isola, con una tecnica è completamente manuale e senza l’impiego di concimi o erbicidi di sorta. Unica deroga è data, da qualche anno a questa parte, all’utilizzo della trebbia. Se la usate per preparare una zuppa, provate a insaporirla col basilico o il finocchietto selvatico altrimenti cucinatevi una bella pasta e lenticchie, usando degli spaghetti spezzati.
Il cece nero della Murgia Carsica. Fotografia di Alberto Peroli.

Il cece nero della Murgia Carsica. Fotografia di Alberto Peroli.

Se i terreni lavici sono l’ideale per la lenticchia, la fava di Carpino (Puglia, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3261/fava-di-carpino#.VNDeTMb5rTU) richiede invece terreni calcarei e argillosi ed è prodotta in rotazione con il grano duro, le barbabietole da zucchero, i pomodori e i lupini. Osservare le fasi della raccolta è affascinante: si usano ancora i cavalli e le forche di legno, in un’idea di lavoro antica, ma anche profondamente contemporanea. Anche la sua preparazione dovrebbe essere antica: la fava infatti andrebbe cotta in pignatte di terracotta, sul fuoco dolce del camino. Infine, dal centro della Puglia, ecco il cece nero della Murgia Carsica (https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/4607/cece-nero-della-murgia-carsica#.VNDgdsb5rTU), un ecotipo locale dalla buccia rugosa e irregolare, il colore scurissimo e la dimensione di un chicco di mais (è molto più piccolo dei ceci comuni). Sul mercato non ha mai avuto troppo successo, per via della pazienza che richiede in cucina. Tuttavia, come spesso accade, i sapori migliori vanno “conquistati” con un pizzico di impegno e fatica. Provatelo nella versione più semplice possibile: condito con un filo d’olio. Niente sale. E vi renderete conto di quanto sia eccezionale questo piccolo, prezioso alimento.   Silvia Ceriani Fondazione Slow Food per la biodiversità (https://www.fondazioneslowfood.it)

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05/02/2015