→ Zuccheri e obesità

Combattere la sindrome metabolica? Si può fare!

La sindrome metabolica è una condizione clinica che colpisce un numero elevato di persone a livello mondiale e a un’età media che diventa sempre più bassa. Può essere definita come una sorta di “anticamera” di patologie cardiovascolari e metaboliche. Si riconosce se si manifestano contemporaneamente almeno tre di questi segnali: ipertensione, valori alti di trigliceridi, glicemia, colesterolo e obesità addominale. Quest’ultimo fattore è quello più indicativo della sindrome metabolica perché un eccesso di grasso corporeo concentrato sull’addome è legato ad uno scorretto metabolismo dei grassi e degli zuccheri e  ad una conseguente elevata concentrazione di insulina nel sangue. In pratica, per assorbire l’eccessiva quantità di glucosio presente nel sangue, il pancreas deve incrementare la sua produzione di insulina; così facendo, però, a lungo andare, il meccanismo di regolazione si altera aprendo le porte al diabete.

Una sana alimentazione e una regolare attività fisica sono gli elementi chiave per curare e prevenire la sindrome metabolica. E’ buona norma eliminare il consumo di carboidrati raffinati per evitare picchi della glicemia e preferire i carboidrati ricchi di fibre dei cereali integrali, della frutta e della verdura. Nell’alimentazione anti-sindrome metabolica, poi, non devono mancare nemmeno i legumi, il pesce, la frutta secca e i grassi “buoni” dell’olio extravergine di oliva.

Per quanto riguarda l’attività fisica, invece, non bisogna dimenticare l’importanza di sviluppare la forza muscolare, per esempio attraverso esercizi con dei pesi, aspetto spesso trascurato ma che migliora molto il meccanismo di regolazione della glicemia e la produzione di insulina.

Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

08/12/2014

Intolleranza al glucosio

Uno stile di vita sedentario, che si sta sempre di più diffondendo soprattutto nei paese occidentali, ha gravi conseguenze a lungo termine  sulla salute del corpo umano. Spesso fin da giovani le persone non fanno abbastanza esercizio fisico e in molti casi il lavoro in ufficio costringe le persone a restare sedute per gran parte della giornata. Se poi a questo si aggiunge un apporto calorico giornaliero superiore al reale fabbisogno (anche a causa delle molte bibite gassate e con molti zuccheri disponibili sul mercato) è facile capire come la percentuale di obesità nella popolazione stia aumentando.

Entrambi questi fattori, la ridotta attività fisica e l’alta percentuale di massa grassa, possono avere conseguenze negative  tra cui alcuni effetti sul metabolismo dei carboidrati.

Durante la digestione dei carboidrati il glucosio viene assorbito e entra all’interno del nostro flusso sanguigno; quando viene assorbito quindi il livello di glucosio nel sangue aumenta. Un maggiore livello di glucosio fa poi sì che il pancreas riceva l’istruzione di produrre insulina, un ormone che aiuta a prelevare il glucosio dal sangue e portarlo alle cellule, in particolare quelle muscolari. Allo stesso tempo  la sintesi del glucosio da parte del fegato (che si occupa di produrre glucosio nei casi in cui il suo livello nel sangue sia troppo basso) viene fermata.

Nelle persone in salute l’aumento del livello di glucosio nel sangue in seguito all’aver mangiato dei carboidrati avviene dunque fino ad una determinata concentrazione oltre la quale l’insulina inizia a lavorare trasportando il glucosio dal sangue alle cellule e riportando i valori ai livelli iniziali.

Nelle persone che conducono invece una vita sedentaria o la cui percentuale di massa grassa è troppo elevata il livello di glucosio nel sangue dopo un pasto in cui si sono consumati carboidrati cresce

molto di più. Nonostante il pancreas produca insulina e questa a sua volta inizi a portare glucosio alle cellule la concentrazione nel sangue rimane elevata, suggerendo l’idea che l’insulina non sia più in grado di lavorare in maniera adeguata. Questo è quello che viene chiamato “intolleranza al glucosio”.

Questo tipo di intolleranza può svilupparsi anche in persone giovani e in salute che solo recentemente hanno iniziato ad avere uno stile di vita più sedentario.  Questo è stato ad esempio confermato da alcuni studi in cui i soggetti erano in riposo forzato a letto (bed rest studies)  per un determinato periodo: anche brevi periodi di quasi immobilità forzata possono portare ad una diminuzione nella tolleranza al glucosio. Anche negli astronauti è stato riscontrato lo stesso effetto durante alcuni studi durante le missioni Apollo e Skylab, avvenute negli anni ’60 e ’70. A suo tempo era stato fatto uno studio comparando i livelli di glucosio nel sangue e di insulina prima e dopo il volo; i cambiamenti presenti tra l’inizio e la fine della missione (all’epoca non erano stati fatti prelievi durante il periodo nello spazio)erano del tutto simili a quelli presenti nei soggetti costretti a letto negli studi di bed rest.

Anche se gli astronauti durante la loro permanenza nello spazio sono solitamente molto attivi senza esercizi appositi la loro muscolatura in microgravità non viene stimolata. Questa ridotta attività dei muscoli è sufficiente appunto a portare il livello di glucosio nel sangue a valori superiori a quelli accettabili e portare quindi l’astronauta a sviluppare un’intolleranza al glucosio.

Dr. Martina Heer

Scienza a gravita' zero | Zuccheri e obesità

05/12/2014

Quihicha, blanco ancho e chullpi: i cereali alternativi

­­Nella lingua Quechua è noto con il nome quihicha o kiwicha (noto anche come amaranto) ed è una pianta annuale, rustica, resistente alla siccità, al caldo e al freddo, coltivata negli orti e nei piccoli appezzamenti delle Ande, fino a 3.600 metri sopra il livello del mare e diffusa in America Latina. L’amaranto non è propriamente un cereale, ma simili ai cereali sono i suoi utilizzi: è impiegato come grano integrale, tostato, bollito o trasformato in farina, mentre le foglie più giovani possono essere utilizzare come qualsiasi altro ortaggio a foglia. Anche se vi sono ancora comunità che lo coltivano, l’uso tradizionale dell’amaranto come alimento rischia di scomparire per via di alcuni cambiamenti nelle abitudini alimentari locali.

Eppure, nonostante il progressivo abbandono della loro coltivazione, nel mondo esistono e resistono moltissime tipologie di cereali e pseudocereali alternativi ai soliti noti, e anche per grano, mais, riso vi sono centinaia di migliaia di varietà, coltivate in piccole quantità e base della sussistenza delle comunità locali. In Argentina, ad esempio, potremmo elencare il mais amarillo angosto, il blanco ancho, il blanco criollo, il capia, il capia rosato, il chullpi, il colorado, l’amarillo socorro e moltissimi altri. Similmente, nelle Filippine, potremmo dar conto dell’esistenza di innumerevoli varietà di riso, tra cui ad esempio l’ominio, una varietà glutinosa a crescita lenta che richiede almeno un periodo di crescita di cinque mesi dalla semina alla raccolta, che secondo una recente ricerca condotta dall’IRRI sarebbe presente in tre soli luoghi al mondo.

Per trovare cereali poco noti non è neppure necessario cambiare continente. In Francia, ad esempio, in Alta Provenza si coltiva ancora il piccolo farro(in foto in copertina), che da un po’ di anni ha ricominciato a destare interesse, grazie alla rusticità della pianta, adattata ai climi semiaridi e ai terreni poveri, e alle qualità nutritive e organolettiche dei suoi grani, particolarmente ricchi in proteine, magnesio e fosforo. E molti esempi interessanti arrivano anche dall’Italia: in Veneto, ad esempio, nelle valli bellunesi si coltiva ancora l’orzo antico, utilizzato per preparare minestre, farine e birra; in Valtellina si raccoglie ancora il grano saraceno, con la cui farina si preparano la polenta “nera” e i pizzoccheri e poi interessanti varietà di riso, di grano e di mais. Trovarle in commercio non è impossibile. Un po’ in tutta Italia, infatti, stanno tornando in auge i molini che lavorano bene, con varietà locali e procedure tradizionali e che rendono probabile apprezzare e conoscere tutta questa biodiversità.

 Slow Food

Per saperne di più: https://www.slowfood.it/

Fai il pieno giusto | Zuccheri e obesità

04/12/2014

I cereali integrali

I cereali fanno parte dell’alimentazione umana sin dall’antichità. Purtroppo, soprattutto nei Paesi Occidentali, nel corso degli ultimi anni si sono sempre più affermati quelli raffinati, come per esempio il riso brillato, che è bianco e traslucido perché trattato con talco o glucosio, ma anche i prodotti industriali da forno preparati con le farine che si derivano. Si tratta di una scelta dagli effetti negativi, che in alcuni casi può aver favorito l’insorgere dell’obesità, senza trascurare le malattie cardiovascolari e il diabete mellito non insulino-dipendente, cioè quello di tipo 2.

Che fare quindi, non consumare nessun cereale?

In realtà, quelli integrali fanno bene al nostro organismo e sono inoltre di gran lunga più gustosi e saporiti. Se si passa poi al cibo spaziale, oltre a essere piú buoni e sani, i cereali integrali si sono dimostrati particolarmente adatti al processo di termostabilizzazione

Per la produzione del bonus food di Samantha è stata proprio questa la sorpresa più gradita: poter lavorare con questi ingredienti ha permesso di ottenere più gusto e maggiore croccantezza grazie al fatto che il cereale integrale difficilmente scuoce…e fanno anche bene!

Di conseguenza, non è quindi un caso se i cereali integrali sono ampiamente presenti nel menu di Samantha Cristoforetti, la cui Missione Futura è appena iniziata. Lo chef Stefano Polato, responsabile dello Space Food Lab di Argotec ci spiega il motivo di questa importante scelta: La raffinazione e la macinazione del cereale comportano la perdita di numerosi nutrienti. Al contrario, quello integrale ne è particolarmente ricco ed è in grado di rilasciare energia in modo lento e costante. Si tratta di un aspetto fondamentale di cui abbiamo tenuto conto, visti i grandi carichi di lavoro a cui è sottoposto il Capitano dell’Aeronautica Militare.

Per quanto riguarda la preparazione a casa, Stefano Polato suggerisce di porre attenzione ai metodi di cottura: Prima di tutto, è spesso consigliabile fare un ammollo, la cui tempistica può variare dalle 6 alle 12 ore. Questo procedimento è consigliato per mais in chicchi, grano o frumento, avena, orzo e segale. Facendo questo si eliminano inoltre i sali dell’acido fitico, che è la principale forma di deposito di fosforo in molti tessuti vegetali, specialmente nella crusca e nei semi. Si tratta dei cosiddetti fitati, che sono considerati anti-nutrizionali perché rallentano l’assorbimento degli altri elementi nutritivi e dei minerali presenti nel cereale.

A questo punto – continua lo chef di Argotec – prima di iniziare la cottura è necessario sciacquare bene il cereale, anche se questo è stato in ammollo per molte ore, per poi metterlo con la giusta quantità di acqua in una pentola d’acciaio o antiaderente. Mettiamo la fiamma al minimo quando inizia l’ebollizione e portiamo a termine la cottura con il coperchio per il tempo indicato sulla confezione. Se avremo fatto le cose per bene, alla fine della preparazione dovrà rimanere pochissima acqua, che verrà comunque riassorbita del tutto lasciando a riposo il prodotto per circa cinque minuti.

Antonio Pilello, Argotec

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/

Fai il pieno giusto | Zuccheri e obesità

03/12/2014

Perché ingrassiamo?

Sul perché così tante persone tendono ad ingrassare sono stati scritti fiumi di parole e pubblicati migliaia di studi. La risposta di base è piuttosto semplice: mangiamo molto di più di ciò che consumiamo e quindi accumuliamo il surplus energetico sotto forma di grasso. Ma per comprendere meglio il problema occorre andare indietro nel tempo e capire come l’ambiente in cui viviamo influisca sulla nostra salute in modo più determinante di ciò che appare ad uno sguardo superficiale. Gli scienziati concordano nell’affermare che il nostro DNA non è cambiato negli ultimi 150.000 anni, un tempo brevissimo in termini evolutivi ma assolutamente sufficiente ad aver permesso una radicale trasformazione del nostro stile di vita.

Gli esseri umani sono biologicamente adatti ad un mondo di scarsità, un mondo in cui il cibo era poco e difficile da ottenere, in cui il lavoro fisico  e la fatica dominavano la vita di tutti. In un contesto di questo tipo essere predisposti ad ingrassare rappresentava un enorme vantaggio in quanto dava qualche chance in più di sopravvivere.

Nel corso della civilizzazione la bilancia tra entrate e consumi si è lentamente spostata a favore delle entrate grazie a tecnologie più raffinate, ad una maggior reperibilità degli alimenti e a lavori meno fisici e più intellettuali. Ma è solo negli ultimi cento anni che questo rapporto si è sbilanciato drasticamente con conseguenze evidenti a tutti.

Nelle ultime decadi sono cambiati anche i nostri alimenti, tendenzialmente più raffinati e poveri di fibra, arricchiti di zucchero, grassi e altre sostanze che possono contribuire a creare risposte ormonali e metaboliche anomale che potenziano l’effetto del bilancio calorico alterato. Questi alimenti provocano inoltre una risposta di piacere molto più intensa di quella indotta dai cibi forniti dalla natura e la ricerca di appagamento che ne consegue rende molto difficile regolare le quantità di cibo introdotto solo sulla base delle necessità fisiche e metaboliche.

Oggi sono le emozioni legate al cibo a prevalere su tutto il resto e se aggiungiamo a questo il fatto che la sedentarietà è ormai il modo di vivere naturale della maggior parte di noi, si capisce perché un problema apparentemente semplice è in realtà così difficile da risolvere.

Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Una cosa da ragazzi | Zuccheri e obesità

02/12/2014

Gli astronauti ingrassano?

Vivere a lungo in assenza di gravità comporta una perdita consistente di tessuto muscolare e osseo. Assieme a regolari allenamenti fisici, l’alimentazione programmata durante una missione spaziale ha un ruolo importante nel cercare di mantenere integro l’apparato muscolo-scheletrico e, più in generale, la salute dell’astronauta.

Tuttavia, nonostante gli sforzi compiuti dai membri dell’equipaggio, una certa quota di massa muscolare e ossea viene inevitabilmente sacrificata durante una missione di vari mesi. Allo stesso tempo, come conseguenza di un decondizionamento complessivo del corpo, può aumentare la quantità di grasso anche se magari il peso complessivo del soggetto non varia o perfino diminuisce. Il muscolo, infatti, pesa di più del grasso e quindi, perdendo muscoli, è possibile ingrassare anche se il peso non aumenta o perfino cala.

Questo è un aspetto spesso dimenticato e che non riguarda solo gli astronauti ma tutti noi a terra. Il peso, infatti, è una misura abbastanza imprecisa delle caratteristiche del nostro corpo. Con il passare degli anni per esempio è piuttosto frequente osservare, anche nelle persone che sono stabili in termini di peso, un calo della massa muscolare e un aumento del tessuto adiposo. Esistono tecniche che permettono di stimare il grasso corporeo in modo più specifico come per esempio la misurazione delle pliche cutanee con un plicometro, la determinazione della percentuale di grasso con l’impedenziometria e infine la misurazione con densitometria ossea anche della massa muscolare e grassa.

Altrimenti esiste anche un approccio più casalingo ma sufficiente a chiarirsi le idee: guardarsi con attenzione allo specchio. Se nel tempo osserviamo le spalle che diventano più curve, le braccia che sembrano più esili e una quantità maggiore di grasso che si deposita attorno all’addome, sulle cosce o sui glutei, sappiamo che, indipendentemente dal peso, stiamo diventando più grassi e che è ora di correre al riparo.

Dr. Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Zuccheri e obesità

01/12/2014