Archivio mensile: February 2015

Allenamento e assunzione di proteine

Quando svolgiamo attività fisica i muscoli non hanno bisogno solo di energia e quindi di carboidrati ma anche di proteine che di fatto servono per riparare i danni creati nei muscoli dallo sforzo e renderli più potenti e forti.

Questo è in particolare vero per gli sport cosiddetti di forza o di potenza dove il fattore limitante sono appunto i muscoli piuttosto che il fiato o la capacità di resistenza di cuore e polmoni.

Per questi sport si suggerisce un apporto di proteine pari a 1.5 o anche 2 grammi per chilo di peso corporeo distribuiti nel corso della giornata in particolare da alimenti come pesce, carni magre, uova e legumi.

Negli ultimi anni però molti ricercatori hanno posto l’attenzione sul cosiddetto “timing” dell’assunzione di proteine, ossia sull’effetto che il consumo di proteine ha in diversi momenti della giornata.

In particolare immediatamente dopo uno sforzo fisico si apre una “finestra anabolica” che dura 30-45 minuti in cui i muscoli sono particolarmente affamati di proteine e le assorbono e utilizzano in modo ottimale. L’assunzione di proteine nella fase post-allenamento serve proprio ad innescare la risposta anabolica e cioè a facilitare la crescita e la riparazione dei muscoli utilizzati. In queste situazioni sono sufficienti 20-30 grammi di proteine di alto valore biologico come per esempio quelle fornite da integratori di proteine isolate dal siero del latte. Queste sono prive di lattosio ma ricche di frazioni proteiche importanti non solo per il muscolo ma per la salute in generale. Infatti, alcune ricerche oggi indicano che lattoferrina, lattoglobulina e lattoalbumina contenute nel siero del latte sono potenti modulatori del sistema immunitario e che la loro assunzione regolare può avere effetti preventivi. Le proteine in polvere di questo tipo non sono quindi da vedere come integratori solo per atleti o “palestrati” ma per tutti coloro che utilizzano i muscoli con una certa intensità anche solo per prevenire la perdita di massa e di forza tipica dell’invecchiamento.

Filippo Ongaro

per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Proteine e muscoli | Una cosa da ragazzi

11/02/2015

Un’intervista elegante

Dopo la brutta esperienza con i moscerini della frutta, oggi la Capa sembra tornata in sé: mi propone un’intervista telefonica con qualcuno che ha definito “elegante”. “E trasparente,” ha aggiunto con un sorriso. È una brava Capa, la mia Capa: so che ha fiducia in me e che mi sa valorizzare.  I moscerini sono stati solo una brutta parentesi. Telefono e trascrivo.

 

Buongiorno professore, grazie di aver accettato l’intervista con Avamposto 42!

Si figuri: per me e i miei colleghi è un dovere e un piacere dare un piccolo contributo alla scienza e alla sua diffusione.

 

Lei è molto gentile, Professore. So che si occuperà di un esperimento per migliorare le condizioni di salute degli astronauti nelle missioni di lunga durata. Di che si tratta?

Con altri colleghi, mi occupo dell’esperimento EPIGENETICA: cerchiamo di capire in che modo un ambiente senza peso possa indurre modificazioni genetiche ereditabili, senza però alterare la sequenza del DNA.

Ma il DNA non è il registro del patrimonio genetico? Se non viene modificato, non può trasmettere niente di diverso da quanto trasmesso in passato. Sbaglio?

In realtà ci sono cambiamenti ereditabili che non corrispondono a un’alterazione del DNA. Il DNA rimane lo stesso, ma cambia il modo con cui si esprime. Per fare un paragone molto semplice, è come quando si passa un copione teatrale da un attore a un altro. Il copione rimane lo stesso, ma cambia l’interpretazione.  La scienza che studia cambiamenti di questo genere si chiama epigenetica.

Al di là del paragone, è possibile vedere un meccanismo del genere all’opera nella vita di tutti i giorni?

Un esempio classico è la differenziazione cellulare: alcune cellule si specializzano, ma non modificano la loro struttura del DNA di base. Alcuni studi recenti indicano che mutazioni epigenetiche potrebbero influire anche sull’invecchiamento o sui processi tumorali.

Torniamo agli astronauti e allo spazio. Perché volete compiere questo esperimento in condizioni di gravità ridotta?

Vogliamo capire come una cellula che si sia adattata allo spazio trasmetta a una cellula di nuova generazione il medesimo adattamento. Come sa, le ossa e i muscoli degli astronauti subiscono modifiche nei voli di lunga durata: il nostro esperimento è volto proprio a capire meglio se ci sono modificazioni a livello di ogni cellula. E quale sia il legame tra adattamento e mutazione epigenetica.

Sono curioso di capire in che modo conducete l’esperimento. Samantha, nel suo diario di bordo, racconta di divertirsi molto con Epigenetica.

È perché ci siamo noi.

Certo Professore, lei e i suoi colleghi siete certamente persone di spirito. Ma intendevo chiederle con quali organismi viventi che si riproducono nello spazio conducete l’esperimento. Non mi dica che si tratta di quegli arroganti moscerini della frutta?

 [ride, ndr]. Non ci servono i moscerini della frutta. Come le dicevo, bastiamo noi.

Voi e Samantha Cristoforetti, naturalmente. Immagino che seguirete la nostra astronauta passo passo, in collegamento da Terra, mentre lei agirà sugli organismi. Si tratta di batteri?

Guardi [continua a ridere, ndr], c’è un equivoco. Noi siamo sulla Stazione con Samantha Cristoforetti.

In che senso?

Nell’unico senso possibile. Siamo là con lei: siamo saliti sotto forma di larva. Poi ci hanno risvegliato con un buon nutrimento batterico: alcuni di noi sono stati messi in una centrifuga che simula una gravità terrestre, mentre altri sono stati lasciati liberi di fluttuare a zero-gravità. Una volta maturi, ci siamo riprodotti: gli adulti sono stati portati via e messi in frigorifero (il MELFI) per essere analizzati a terra, mentre le larve sono cresciute mangiando allegramente per 5 giorni. E poi di nuovo: adulti in frigo e larve di seconda generazione che crescono. E così via, per 4 generazioni…. Come mai non dice niente? Non le interessa?

Professore… chi siete “voi”?

Vermi, naturalmente.

Cosa? Vermi? Sto parlando al telefono con un verme?

Sono un Caenorhabditis elegans, in effetti. Mi pregio di poter godere di una certa eleganza. Le dispiace? Pensi, siamo lunghi appena un millimetro e siamo totalmente trasparenti, in modo da permettere ai ricercatori di osservare i nostri organi interni al microscopio. E siamo quasi tutti ermafroditi. Pronto? Pronto? Dov’è finito? Signor intervistatore… noi andiamo, il MELFI ci attende: arrivederci, allora, le salutiamo Samantha!

Stefano Sandrelli

Per saperne di più questa e la pagina dell’esperimento (in inglese): https://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/experiments/1075.html

Niente Panico

06/02/2015

Una zuppa di legumi a gravità zero e… tutto gusto!

Fra i piatti del bonus food di Samantha Cristoforetti, il menu di qualitá creato dallo chef Stefano Polato e dall’azienda torinese Argotec, oltre al pollo di cui abbiamo parlato la scorsa settimana si trova anche una zuppa di legumi.

Ma non si tratta di legumi qualsiasi: i legumi scelti per questo piatto sono infatti provenienti da Presidi Slowfood e sono  la piattella canavesana, la lenticchia di Ustica, la fava di Carpino e il cece nero della Murgia carsica. I legumi sono un elemento da rivalutare per una dieta sana, equilibrata e anche gustosa!

I legumi della zuppa "spaziale" fotografati da Samantha Cristoforetti. Credits: ESA/NASA

I legumi della zuppa “spaziale” fotografati da Samantha Cristoforetti. Credits: ESA/NASA

Come ci ha raccontato Stefano Polato, “la zuppa di legumi preparata per Samantha è certamente l’esempio lampante del fatto che se c’è una scelta accurata della materia prima il risultato è sempre garantito. Utilizzare legumi come quelli scelti per la missione Futura, infatti, significa non solo assicurare un valore nutritivo accentuato rispetto alla norma, ma anche avere gusti e sensazioni particolari, sempre gradevoli. In ogni caso, la cosa che più mi ha stupito è stato il risvolto sociale di questa ricetta, che ha permesso a me e al mio team di conoscere direttamente i produttori. È stato un incontro davvero entusiasmante. Dalla loro passione sfrenata, che è il vero valore aggiunto di ogni prodotto, si può facilmente capire per quale motivo un legume venga selezionato da Slow Food e perché sia così buono.

Durante la preparazione nello Space Food Lab, infine, è stato molto importante fare attenzione alle caratteristiche intrinseche degli ingredienti, come il gusto e la consistenza, conservandole intatte anche a 24 mesi dalla produzione. Concludendo, mi permetto di dire che la zuppa di Argotec non è stata pensata solo per Samantha, ma che i legumi andrebbero consumati molto più spesso nella nostra dieta, anche più volte a settimana

E per la Terra? Mandateci la foto della vostra zuppa di legumi preferita…aspettiamo le vostre ricette! 

Ne volete sapere di più sui legumi che hanno creato questa nutriente zuppa? Qui ce li hanno raccontati direttamente da Slow Food: https://avamposto42.esa.int/blog/dei-legumi-davvero-fuori-da-questo-mondo/

Per saperne invece di più su Argotec: https://www.argotec.it/argotec/

Nell’immagine di copertina la zuppa di legumi creata dallo chef Stefano Polato. Credits: Argotec – Ready to Lunch .

Fai il pieno giusto | Proteine e muscoli

05/02/2015

Dei legumi davvero…fuori da questo mondo!

Cosa hanno in comune la piattella canavesana, la lenticchia di Ustica, la fava di Carpino e il cece nero della Murgia carsica? La prima risposta è che sono tutti legumi. Poi, nominandoli soltanto non è così evidente… sono legumi speciali, perché tutti e quattro sono Presìdi di Slow Food, testimonianze viventi di quel che intendiamo parlando di cibo buono, pulito e giusto. Quel che è forse meno noto – ma se di questi “magnifici quattro” parliamo sul blog di Samantha Cristoforetti un motivo ci sarà – è che hanno in comune un viaggio, che li conduce fino alla Stazione Spaziale Internazionale, attraverso un percorso che inizia a Chilometri zero….,dal campo alla tavola in un contesto localissimo, poi fino a Torino, nelle cucine di Argotec, e infine a centinaia di chilometri di distanza, guardando all’insù, nello spazio. E saperli lassù, ingredienti di una zuppa che lo chef Stefano Polato ha cucinato per l’astronauta, ci riempie d’orgoglio. E sappiamo per certo che riempie d’orgoglio i produttori. Ma vogliamo conoscerli meglio, questi magnifici quattro? Iniziamo da lei, la piattella canavesana di Cortereggio (Piemonte, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3449/piattella-canavesana-di-cortereggio#.VNDbDsb5rTU). Fino agli anni Ottanta, la sua coltivazione era diffusa, ma poi fu progressivamente abbandonata per lasciar posto ad altre piante più “efficienti”. Si è salvata dall’estinzione per il rotto della cuffia, grazie a un agricoltore locale che consegnò alla banca del germoplasma dell’Università di Torino pochi chili di fagioli per conservarne la semente. Ecco come si è preservato questo fagiolo bianco lucente e lievemente schiacciato tipico dell’area canavesana. Se volete assaggiarlo, cucinate una zuppa, come quella di Samantha, o cuocetelo nella pignatta o nel coccio. (Potete vedere la piattella nella fotografia in copertina, realizzata da Paolo Andrea Montanaro per SlowFood). Poi c’è lei, la più piccola d’Italia. La lenticchia di Ustica (Sicilia, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3562/lenticchia-di-ustica#.VNDc8sb5rTU) è di colore marrone scuro con sfumature delicate verdoline, ed è coltivata da sempre sui terreni lavici e fertili dell’isola, con una tecnica è completamente manuale e senza l’impiego di concimi o erbicidi di sorta. Unica deroga è data, da qualche anno a questa parte, all’utilizzo della trebbia. Se la usate per preparare una zuppa, provate a insaporirla col basilico o il finocchietto selvatico altrimenti cucinatevi una bella pasta e lenticchie, usando degli spaghetti spezzati.
Il cece nero della Murgia Carsica. Fotografia di Alberto Peroli.

Il cece nero della Murgia Carsica. Fotografia di Alberto Peroli.

Se i terreni lavici sono l’ideale per la lenticchia, la fava di Carpino (Puglia, https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3261/fava-di-carpino#.VNDeTMb5rTU) richiede invece terreni calcarei e argillosi ed è prodotta in rotazione con il grano duro, le barbabietole da zucchero, i pomodori e i lupini. Osservare le fasi della raccolta è affascinante: si usano ancora i cavalli e le forche di legno, in un’idea di lavoro antica, ma anche profondamente contemporanea. Anche la sua preparazione dovrebbe essere antica: la fava infatti andrebbe cotta in pignatte di terracotta, sul fuoco dolce del camino. Infine, dal centro della Puglia, ecco il cece nero della Murgia Carsica (https://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/4607/cece-nero-della-murgia-carsica#.VNDgdsb5rTU), un ecotipo locale dalla buccia rugosa e irregolare, il colore scurissimo e la dimensione di un chicco di mais (è molto più piccolo dei ceci comuni). Sul mercato non ha mai avuto troppo successo, per via della pazienza che richiede in cucina. Tuttavia, come spesso accade, i sapori migliori vanno “conquistati” con un pizzico di impegno e fatica. Provatelo nella versione più semplice possibile: condito con un filo d’olio. Niente sale. E vi renderete conto di quanto sia eccezionale questo piccolo, prezioso alimento.   Silvia Ceriani Fondazione Slow Food per la biodiversità (https://www.fondazioneslowfood.it)

Fai il pieno giusto | Proteine e muscoli

05/02/2015

Le piante a supporto dell’Uomo nello Spazio e l’iniziativa IBIS

L’esplorazione umana dello spazio profondo e la colonizzazione di altri corpi celesti, come la Luna e Marte, richiederà l’utilizzo di una nuova generazione di moduli spaziali capaci di sostenere per lunghi periodi la vita degli astronauti senza fare ricorso ai rifornimenti da Terra.

I sistemi di supporto alla vita tradizionali sono basati su processi chimico-fisici che garantiscono il controllo dell’atmosfera e dell’aria respirabile, il riciclo dell’acqua, lo smaltimento dei rifiuti. Questi sistemi richiedono per il loro mantenimento un costante apporto di risorse dall’esterno.

Ma se si volesse creare un sistema chiuso completamente auto-rigenerante, cioè in cui le risorse si riciclano in continuazione senza esaurirsi? I sistemi biorigenerativi per il supporto alla vita vogliono rispondere a questa esigenza.

Si tratta di sistemi complessi basati su elementi biologici, come le piante, le alghe e i microorganismi, in grado di generare e mantenere all’interno di un ambiente chiuso un’atmosfera respirabile, di purificare e riciclare l’acqua e l’umidità, di fornire cibo agli astronauti, come ad esempio ortaggi e pomodori, smaltendo al contempo gli scarti, sia vegetali che umani, in un ciclo continuo. In altre parole, l’idea è di ricreare all’interno dei moduli spaziali una biosfera artificiale in grado di mantenere la vita, proprio come la biosfera naturale sulla superficie della Terra.

Un altro vantaggio certo delle piante nello Spazio è che esse avrebbero un ruolo positivo non soltanto sul sostentamento, ma anche sul benessere psicologico degli astronauti. Pionieri su altri mondi e agricoltori spaziali, dunque!

Tuttavia, la coltivazione di piante in ambienti chiusi e in condizioni di gravità diverse da quelle della Terra è estremamente complessa e sono in atto ricerche sia nel campo della biologia sia in quello della tecnologia per far fronte alle numerose domande che questa sfida pone agli scienziati e agli ingegneri.

In campo biologico attualmente gli studi si concentrano sulla scelta delle specie di piante più adatte a essere coltivate in condizioni estreme, come lo sono le condizioni nello Spazio. In altre parole, si cerca di individuare le specie più resistenti alle radiazioni e meno sensibili alle condizioni diverse di gravità e di luce. In campo tecnologico, invece, gli studi si concentrano sulla definizione delle condizioni ottimali di luce, di distribuzione dei nutrienti, di scelta del substrato più adatto per la crescita delle piante e per una produzione di cibo di qualità e sicura per la salute degli astronauti.

Un altro elemento essenziale dei sistemi biorigenerativi sono i microrganismi, come ad esempio i batteri o le alghe unicellulari, che vengono “coltivati” in sistemi detti bioreattori, ambienti compatti i cui parametri ambientali sono controllati finemente per ottimizzare la crescita dei minuscoli ospiti. Sfruttare la grande biodiversità dei microrganismi offre il vantaggio di combinare tra loro diverse funzioni, permettendo la “chiusura” del sistema biorigenerativo, cioè la creazione di catene di comparti in cui i prodotti di base o gli scarti di un modulo alimentano i processi di un altro modulo.

Un esempio di sistema ecologico chiuso è rappresentato dal funzionamento combinato di un bioreattore fotosintetico e di un bioreattore cosiddetto “nitrificante”. Nei bioreattori fotosintetici, micro-alghe o altri microorganismi commestibili, come il cianobatterio Arthrospira, producono ossigeno e cibo, utilizzando la luce come sorgente di energia e i nitrati, cioè composti dell’azoto, come substrato nutritivo. Non tutti sanno che Arthrospira, pur richiedendo per la propria crescita volumi molto ridotti, ha proprietà nutritive paragonabili a quelle del cibo fornito dalle piante.

Da dove ricavare i nitrati di cui Arthrospira ha bisogno per crescere? Ecco che entra in gioco il bioreattore nitrificante, in cui una specie diversa di batteri produce a partire dalle acque di scarto i nitrati di cui si nutrono le alghe fotosintetiche. Questo processo, chiamato nitrificazione, consente al contempo di purificare l’acqua rendendola nuovamente potabile e utilizzabile dall’equipaggio. A chiudere il ciclo, è l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi delle alghe nel primo bioreattore ad alimentare il processo di nitrificazione nel secondo. Ecco allora come i due reattori combinati fra loro si alimentano a vicenda con i propri prodotti di scarto e al contempo generano risorse preziose, come cibo, acqua e ossigeno, per il sostentamento degli astronauti.

Il progetto MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative), dell’Agenzia Spaziale Europea, si propone di sviluppare uno di questi sistemi. MELiSSA si basa su cicli di carbonio, azoto e acqua, in cui batteri, alghe e piante vengono usate per produrre risorse vitali e mantenere l’ambiente dentro un modulo chiuso abitabile e in condizioni di equilibrio. Il sistema è suddiviso in cinque compartimenti, in cui il cibo per gli astronauti, le sostanze nutritive per le piante, l’acqua e l’ossigeno vengono prodotti a partire dai rifiuti organici dell’uomo, dai prodotti di scarto delle piante, dall’anidride carbonica. Altri progetti, come EDEN ISS, finanziato dalla Commissione Europea, GreenMOSS dell’ESA, Lunar Greenhouse della NASA, si concentrano sullo sviluppo di tecnologie per l’agricoltura in ambiente Spaziale.

Il Logo del Gruppo di Lavoro IBIS.

Il Logo del Gruppo di Lavoro IBIS.

Il tema dei sistemi di controllo ambientale, o in altri termini di supporto alla vita, di tipo biorigenerativo, è presente nell’agenda del programma dell’Unione Europea per il finanziamento della ricerca (H2020) e nella Global Exploration Roadmap, il cammino della Esplorazione Spaziale tracciato dall’ISECG (International Space Exploration Coordination Group), il gruppo di studio internazionale per l’esplorazione umana dello Spazio, a cui partecipano tutte le maggiori agenzie del mondo.

E’ dunque evidente come le tecnologie biorigenerative costituiscano un area di ricerca di fondamentale importanza per lo sviluppo di moduli abitati a zero consumo di risorse per l’esplorazione e la colonizzazione del Sistema Solare. Ma quali sono le possibili applicazioni a terra? Sono molteplici. Basti pensare allo sviluppo di tecnologie per l’agricoltura in ambienti confinati ed estremi, come i deserti o i poli ghiacciati, o al possibile contributo alla soluzione di questioni vitali quali la sostenibilità ambientale, il risparmio delle risorse, l’efficienza energetica.

L’Agenzia Spaziale Italiana, forte delle competenze nazionali nel settore, ha avviato un programma di attività che ha lo scopo di stimolare e incoraggiare iniziative di ricerca, di sviluppo tecnologico e commerciali sul tema. E’ questo l’obiettivo del Gruppo di Lavoro nazionale sui sistemi biorigenerativi IBIS (Italian BIoregenerative Systems) che, coordinato dall’ASI, raccoglie il contributo delle migliori competenze scientifiche e industriali nazionali.

E visto che il tema della Missione Futura di Samantha è la nutrizione, il Gruppo di Lavoro IBIS, non poteva non dare il suo contributo. Quello che avete letto è il primo di una serie di articoli sui sistemi biorigenerativi e sulla coltivazione di cibo nello Spazio che saranno pubblicati su Avamposto 42 e che cercheranno di rispondere alle domande “Quale cibo?, “Come produrlo nello Spazio?”, “Con quali tecnologie?”, “Cosa si sta facendo sulla Terra?”; conducendoci alla scoperta di un affascinante tema di ricerca scientifica e tecnologica e di una sfida per il futuro.

Salvatore Pignataro, ASI, Direttore Missione Futura e Coordinatore GdL IBIS

Sara Piccirillo, ASI, Biologa dell’Unità Volo Umano

Francesca Ferranti, ASI, Biotecnologa dell’Unità Volo Umano

Per saperne di piú: https://www.asi.it

I sistemi biorigenerativi

04/02/2015

I legumi in cucina

Sono ricchi di ferro, potassio, magnesio, fosforo e vitamine del gruppo B, ma anche una fonte di fibre e fitonutrienti. Stiamo parlando dei legumi, che tuttavia trovano poco spazio nella nostra alimentazione a causa del gonfiore e dei fastidi intestinali che possono provocare, senza dimenticare i lunghi tempi di preparazione. In realtà, come ci spiega lo chef di Argotec Stefano Polato, per facilitare la digeribilità esistono vari accorgimenti: «Il primo può essere quello di ottenere un passato in modo da frantumare la buccia. Anche l’abbinamento con aromi, quali aglio, alloro, coriandolo, salvia, timo, peperoncino o l’alga kombu possono aiutare. Tutti questi vegetali hanno la capacità di ostacolare le fermentazioni e la formazione di gas intestinali. In generale, i legumi sono davvero importanti per la nostra dieta quindi non è un caso che questi siano ampiamente presenti nel bonus food di Samantha Cristoforetti, all’interno di una zuppa sana e gustosa».

Al di là della cottura, un aspetto importante, spesso sottovalutato, è quello dell’ammollo. Per i legumi in versione secca, questo può essere lungo o rapido: «Nel primo caso – continua Polato – lavate bene i legumi in modo da eliminarne le impurità, poi metteteli in acqua tiepida all’interno di un recipiente abbastanza grande da poter contenere circa cinque parti d’acqua e una di legumi. Iniziate l’ammollo la sera in modo da lasciarli a bagno tutta la notte. Il giorno successivo devono essere eliminati quelli che galleggiano così come l’acqua, che non va più utilizzata in quanto può contenere alcune sostanze tossiche. Anche nel secondo caso, quello più veloce, è necessario lavare bene i legumi, per poi metterli in pentola con le solite 5-6 parti di acqua. A questo punto, si porta tutto a bollore e si lascia cuocere per 2-3 minuti. Trascorso questo tempo, si spegne il fuoco e si lascia riposare per circa 3-4 ore».

Quelli della missione Futura, nata dalla collaborazione tra ASI (Agenzia Spaziale Italiana) , ESA (Agenzia Spaziale Europea)  e Aeronautica Militare, sono già pronti da gustare all’interno di pratici pouch. Sulla Terra invece? Una volta ammollati, i legumi vanno nuovamente lavati sotto acqua corrente e si può procedere alla cottura che varia in funzione della dimensione e della tenacità del prodotto scelto. «Durante la preparazione – questo il consiglio dello chef di Argotec – l’acqua deve superare il livello dei legumi di circa 2-3 centimetri. La cottura deve essere dolce e omogenea, utilizzando una pentola con fondo abbastanza spesso in modo da uniformare il calore. Non aggiungete mai il sale durante la cottura in quanto tende a indurire la buccia, ma insaporite con alcune spezie solo alla fine. Infine, evitate l’utilizzo della pentola a pressione perché si tratta di un metodo di cottura troppo aggressivo».

Antonio Pilello

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/

Una ricetta di Stefano Polato – Burger di ceci al curry

Ingredienti (per 4 burger)

250 g di ceci già cotti 200 g di spinaci 100 g di cous cous 200 ml di brodo vegetale pangrattato Olio extravergine di oliva curry in polvere salvia, rosmarino e timo sale e pepe

Procedimento: Ammollare i ceci e cuocerli in abbondante acqua. Spadellare per 4 minuti gli spinaci freschi (precedentemente lavati) in padella con un filo d’olio extravergine di oliva, sale e pepe.

Far bollire il brodo vegetale leggermente salato, spegnere il fuoco e versare il cous cous. Far riposare per 10 minuti finché non avrà completamente assorbito l’acqua. Trascorso il tempo sgranare il cous cous con le mani.

Unirvi i ceci cotti e scolati e schiacciare tutto con una forchetta.

Tritare gli spinaci cotti e aggiungerli al composto. Mescolare bene e insaporire con curry a piacere, pepe ed erbe aromatiche tritate.

Qualora fosse necessario, aggiungere del pangrattato per facilitare la lavorazione dei burger.

Dividere il composto ottenuto in 4 parti e formare i burger partendo da dei polpettoni e schiacciandoli, poi, a formare dei dischi. Cuocerli in forno a 200°C per 15/20 minuti.

Servire con pane integrale tostato, qualche foglia di lattuga e accompagnare con della senape.

Fai il pieno giusto | Proteine e muscoli

03/02/2015

Proteine vegetali, la salute è servita

Variare, variare e ancora variare: è questo il modo corretto per garantirsi attraverso l’alimentazione tutti i principi nutritivi di cui il nostro organismo ha bisogno. Proprio per questo lo schema del piatto unico ci aiuta a rendere ogni pasto il più completo possibile: 50% di carboidrati sotto forma di frutta (15%) o verdura (35%), ancora un 25% di carboidrati ma questa volta come cereali integrali e, infine, un 25% di proteine. Come condimento ovviamente olio extravergine di oliva. Le proteine possono essere di origine animale o vegetale. Infatti, proprio nell’ottica di rendere la propria dieta la più varia possibile, è sempre bene alternare le proteine animali con quelle vegetali.

Carne, pesce e uova apportano all’organismo tutti gli aminoacidi necessari per il suo corretto funzionamento. Siccome questi carne e uova sono anche ricchi di grassi, è bene alternarli con le proteine vegetali rappresentate prima di tutto dai legumi. Fagioli, lenticchie, ceci, piselli e le altre leguminose, soprattutto nella loro versione secca, sono delle importanti fonti proteiche a cui si aggiungono anche altre virtù quali il notevole contenuto di fibre. È vero che le proteine vegetali non sono ad alto valore biologico ma è possibile completare l’apporto di aminoacidi essenziali proprio grazie allo schema del piatto unico accompagnando, quindi, i legumi ai cereali integrali che presentano anch’essi una parte proteica. Abituiamoci, dunque, a rendere le leguminose una componente centrale della propria alimentazione quotidiana.

Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/

Proteine e muscoli | Una cosa da ragazzi

02/02/2015