Archivio mensile: November 2014

In comunicazione con la ISS dal Columbus Control Centre

Wow, che settimane per lo spazio europeo!

Prima l’arrivo di Alex Gerst  domenica notte, poi  l’atterraggio del lander Philae su una cometa – e presto con Samantha, un nuovo astronauta dell’ESA sulla ISS!

Un buon momento per aprire una nuova sezione di Niente Panico proprio mentre sta per iniziare la missione Futura: vi racconteremo aneddoti ed eventi direttamente dal Centro di Controllo Columbus (Col-CC) e cercheremo di spiegarvi il volo spaziale umano in tutti i suoi “aspetti operativi”.

sui monitor alcuni dati dal modulo Columbus (nella foto uno degli autori, sulla sinistra: Ciro Amodio)

sui monitor alcuni dati dal modulo Columbus (nella foto uno degli autori, sulla sinistra: Ciro Amodio)

Scriviamo al plurale perché questo “Noi” è fatto da quattro esperti del Col-CC della DLR a Oberpfaffenhofen (Germania): Ciro è un esperto sul sistema di gestione dei dati; Alessandro conosce perfettamente i sottosistemi del modulo Columbus; Mike è il nostro specialista per l’infrastruttura di Terra e Tom è direttore di volo – e sa quindi tutto (o meglio: niente …;-))

Il nostro lavoro è comunicare quasi quotidianamente con la Stazione Spaziale – ma come?

Mentre la maggior parte dei satelliti funziona comunicando direttamente con una o più stazioni di Terra – selezionate solamente nei momenti in cui sorvolano quelle determinate aree dove si trovano i centri che ricevono il loro segnale – la ISS è  sempre in contatto con il Centro di Controllo.

Il Tracking and Data Relay Satellites (TDRS) della NASA; il sistema di satelliti viene principalmente utilizzato per seguire l’intera orbita della Stazione Spaziale. Grazie ai satelliti del TDRS per rimanere in contatto con la ISS abbiamo bisogno solamente si sue stazioni sulla Terra – a White Sands e Guam Island – e i dati arrivano attraverso le basi di Houston o Huntsville.

Il Tracking and Data Relay Satellites (TDRS) della NASA; il sistema di satelliti viene principalmente utilizzato per seguire l’intera orbita della Stazione Spaziale. Grazie ai satelliti del TDRS per rimanere in contatto con la ISS abbiamo bisogno solamente si sue stazioni sulla Terra – a White Sands e Guam Island – e i dati arrivano attraverso le basi di Houston o Huntsville.

Ciò è reso possibile dal sistema satellitare TDRS che la NASA condivide, per esempio, con l’esercito americano: questi satelliti sono in orbita geostazionaria (ovvero se si guarda il satellite dalla Terra sembrano occupare in cielo sempre la stessa posizione) a  circa 36mila km dalla superficie terrestre e vengono usati come ripetitori per le comunicazioni e l’invio di dati per i veicoli spaziali, come la ISS e molte altre missioni. In questo modo la comunicazione con la Stazione Spaziale Internazionale risulta più veloce e soprattutto costante.

Allo stesso modo sul percorso inverso, i dati dalla ISS scendono alle stazioni di Terra. Con il termine “Dati” intendiamo tutti ciò che proviene dalla Stazione Stazione attraverso i sei canali video, i quattro canali audio “Spazio-Terra”, i  flussi di dati dagli esperimenti a bordo, i comandi per la ISS e tutti i dati relativi allo condizione degli equipaggiamenti di bordo – che noi (in gergo) chiamiamo telemetria – con cui monitoriamo l’ISS e tutti i suoi moduli.

Il tutto avviene via radio – ovviamente criptato – sulle bande di frequenza S e Ku. In caso di necessità teoricamente possiamo anche utilizzare l’email per comunicare con gli astronauti, che da lassù possono navigare in Internet o chiamare Terra attraverso un telefono “voice over IP”.

Non vediamo davvero l’ora di poter iniziare i nostri collegamenti con la Stazione e con Samantha!

Per saperne di più sul loro lavoro al Col-CC: https://www.dlr.de/blogs/en/desktopdefault.aspx/tabid-9260/15960_read-688/

Niente Panico

22/11/2014

Indossare una bolla d’aria

Una bolla d’aria: ecco come viene descritta dall’astronauta canadese Chris Hadfield la tuta Sokol, che Samantha e i suoi colleghi indosseranno nel corso del lancio della Soyuz che li porterà sulla Stazione Spaziale, nella notte fra domenica 23 e lunedì 24 novembre. Una bolla d’aria, e non perché sia leggera come il vento o morbida come un soffio d’aria sul viso, ma perché è la descrizione letterale del suo funzionamento. La Sokol è infatti una tuta che, in caso di emergenza, è in grado di sigillare l’astronauta al proprio interno, garantendogli le giuste condizioni ambientali, con un’aria pienamente respirabile.

Il mantenimento della bolla respirabile nella tuta è dovuto a uno strato interno di policaprolattame gommificato e uno strato esterno di tela di nylon bianco. La tenuta è garantita per circa 30 ore in un ambiente pressurizzato, mentre per un paio di ore in ambiente non pressurizzato. La tuta, inoltre, è provvista di cavi elettrici che alimentano un ventilatore, per eliminare o ridurre il sudore, e di cavi che riforniscono la tuta di ossigeno e di aria.

sam entering the sokolIndossarla è più semplice di quanto non accada con una tuta per le attività extraveicolari, ma non è certo come mettersi una t-shirt. La Sokol è un pezzo unico, guanti a parte, dalla testa agli scarponi. Ci si infila dentro come… avete mai visto il film di fantascienza (con varie punte di horror) che si intitola La cosa? Il regista era John Carpenter. Un alieno cattivissimo usciva improvvisamente da sotto lo sterno dei malcapitati umani che ne erano vittime. Per la Sokol è un po’ il viceversa. Ci si cala dentro la tuta – iniziando dai piedi – all’altezza dello sterno, infilandosi dentro a una specie di membrana che forma un budello. Quando la parte inferiore del corpo è a posto, allora si procede a infilare anche braccia e spalle infine la testa, inchinandosi e facendola poi riemergere nell’alloggiamento a cui è fissato il casco. I guanti vengono messi dopo.

Unici pregi, per quanto riguarda la vestizione: pesa appena 10 kg ed è tagliata su misura per ogni membro dell’equipaggio. Per curiosità: quella di Samantha è la Sokol numero 422, che contiene il numero 42 – quello della spedizione e quello della nota risposta alla domanda fondamentale della Guida galattica.

Una volta indossato questo bozzolo protettivo, la vera comodità arriva solo quando l’astronauta assume una posizione “alla Soyuz”. Ovvero seduto, con le ginocchia piegate verso la cassa toracica, in posizione di partenza. Come molti altri elementi spaziali russi, insomma, è un oggetto molto orientato al suo scopo, terribilmente efficiente ma che non lascia grandi spazi di manovra.

Una volta attraccati alla Stazione Spaziale, Samantha e i suoi colleghi lotteranno diversi minuti per togliersi questa tuta e si cambieranno d’abito prima dell’ingresso nella casa orbitale. Come conviene a chi festeggia l’arrivo in una nuova casa.

[youtube 2gaFXZWhp4k nolink]

Altre foto di Samantha con la Sokol qui.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

21/11/2014

La Soyuz di Samantha, Anton e Terry

Tanto per evitare di fare confusione: Soyuz si chiama il lanciatore e Soyuz si chiama anche la navicella spaziale nella quale Samantha viaggia alla volta della Stazione Spaziale.

La prima delle due Soyuz, il lanciatore, com’è facile immaginare, è l’evoluzione pacifica di un missile balistico intercontinentale prodotto dall’Unione Sovietica in piena guerra fredda. Dalla seconda metà degli anni ’60 a oggi, sono stati eseguiti oltre 1700 lanci, il 90% dei quali senza equipaggio, con un’altissima percentuale di successo.  Come molti altri lanciatori, ha una struttura a tre stadi.

La seconda Soyuz, quella che emotivamente ci coinvolge di più, è la navicella TMA-15M, che ospita gli astronauti. Si tratta di una versione di ultima generazione ( TMA- M),  con un corredo digitale più moderno, un computer avanzato per il controllo del volo e dispositivi che permettono una migliore manovrabilità. E un po’ di spazio in più a disposizione dell’equipaggio. La navicella Soyuz è composta da tre moduli separabili: il modulo orbitale, di discesa e di servizio.

Durante l’ascesa verso la Stazione Spaziale, gli astronauti si sistemano nel modulo centrale orbitale, la cui scomodità è leggendaria: 5 m³ di volume interno, da dividere in tre per qualche ora. Stretti, certo, ma vuoi mettere la soddisfazione di poter contare anche su una finestrella, che permette di guardare un po’ fuori dall’abitacolo e che è stata aggiunta solo nelle versioni più’ recenti della navicella? Nel modulo orbitale ci sono invece anche una toilet e tutti i sistemi di guida. Il modulo ha due portelloni: uno che lo collega al modulo di discesa e uno laterale, che viene usato dagli astronauti per entrarvi nella fase di lancio.

Anche nel corso della discesa, invece, gli astronauti si sistemano nel modulo meridiano, che è dotato di uno scudo termico che gli permette di raggiungere terra senza che l’attraversamento dell’atmosfera lo incendi o faccia salire troppo la temperatura interna dell’abitacolo. Ha un volume abitabile ancora più piccolo, appena 3 m³. Ma del rientro parleremo più in dettaglio fra 6 mesi circa.

La navicella è completata dal modulo di servizio: serbatoi dell’ossigeno, propellente, propulsori per l’assetto, elettronica , sistemi di guida della navigazione. Questo modulo è controllato a distanza.

Stefano Sandrelli

Per saperne di piú, direttamente dal diario di bordo di Samantha Cristoforetti:

L-207: Altri esami Soyuz passati dal nostro equipaggio!

https://www.astronautinews.it/2014/05/01/l-207-altri-esami-soyuz-passati-dal-nostro-equipaggio/

L-18: Ripensando agli esami Soyuz della settimana scorsa

https://www.astronautinews.it/2014/11/05/l-18-ripensando-agli-esami-soyuz-settimana-scorsa/

E alcuni dettagli tecnici:

https://esamultimedia.esa.int/multimedia/publications/Futura_IT/ (da pagina 20)

Niente Panico

20/11/2014

Esperimenti in microgravità: i sounding rocket

Centrifughe, torri di caduta, voli parabolici: e ancora non siamo alla fine. Per completare la panoramica delle condizioni sperimentali a “gravità ridotta” senza andare in orbita, occorre aggiungere un ulteriore metodo.

Non si tratta di un’idea rivoluzionaria, come l’invenzione dell’antigravità di Archimede Pitagorico o di qualche altra meravigliosa idea fantascientifica. Occorre invece estremizzare un po’ un’idea che abbiamo già incontrato nei post precedenti.

Come abbiamo visto, se vogliamo realizzare un esperimento in condizioni di gravità ridotta, occorre che l’esperimento stesso cada da qualche altezza. Non pensate a lanci improvvisati dal finestrino di un dirigibile o da una mongolfiera: voliamo un po’ più in alto. Utilizziamo i cosiddetti sounding rocket, spesso tradotti in italiano come “razzi sonda.”

I sounding rocket sono parenti dei missili balistici. Furono inizialmente progettati per superare la velocità del suono in atmosfera e studiarne le caratteristiche fisiche.

Riadattati e utilizzati dall’ESA fin dal 1982 per esperimenti a gravità ridotta, i razzi sonda europei oggi raggiungono quote dai 250 km (configurazione MASER o TEXUS) ai 750 km (configurazione MAXUS) e sono in grado di trasportare esperimenti per una massa totale di diverse centinaia di kg. Come vedete, si tratta di un salto di ordini di grandezza rispetto alle Drop tower: il tempo di caduta passa da pochi secondi a una decina di minuti e si arriva a ridurre il peso a circa un decimillesimo di quello terrestre.

La caduta, come immaginate, è libera ma non sconsiderata: al termine della discesa, si aprono i paracadute che permettono l’atterraggio della capsula che contiene il carico scientifico a circa 30 km/h.

Vediamo da vicino la capsula che contiene gli esperimenti: la struttura esterna è un cilindro che misura complessivamente circa 3,3 – 3,5 metri di lunghezza, per un diametro di 43 cm (MASER o TEXUS) o 63 cm (MAXUS).

Al suo interno, vengono sistemati i singoli moduli sperimentali. Ciascun esperimento è montato su piattaforme di diametro di 40 cm (MASER o TEXUS) o 60 cm (MAXUS). Le piattaforme sono poi chiuse in contenitori cilindrici e fissati alla struttura della capsula con degli ammortizzatori elastici, per ridurre le vibrazioni in fase di lancio. Infine si aggiungono le batterie, l’elettronica necessaria e così via. E il “pacco sperimentale” è pronto. In questo modo gli esperimenti sono del tutto indipendenti, tanto che possono essere tranquillamente impilati uno sull’altro.

Una curiosità: durante la fase di lancio, a causa di vibrazioni interne e della spinta dei motori, gli esperimenti vengono esposti a condizioni di gravità aumentata. Di quanto? La spinta dei motori raggiunge e mantiene per circa 45 secondi un’accelerazione di 12 g. Dodici volte il peso. Inutile dire che non sono voli che prevedono la partecipazione di scienziati o tecnici a bordo….

Stefano Sandrelli

Per saperne di più sui sounding rockets: https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Human_Spaceflight_Research/Sounding_rockets

Niente Panico

19/11/2014

Tè e caffè visti da vicino

In un precedente post abbiamo parlato di quanto sia importante fare una colazione corretta per garantire fin dalla prima mattina il giusto apporto di nutrienti al proprio corpo.

Se la colazione deve essere un pasto completo può quindi arricchirsi di alimenti che di solito non consumiamo appena svegli, come uova, pane integrale, della ricotta, se non addirittura tonno e salmone. Della colazione classica, però, si può mantenere la buona abitudine di bere del caffè o del .

Il caffè, soprattutto noi italiani, lo conosciamo bene: per molti più che una semplice bevanda è un rito per scandire vari momenti della giornata. Il segreto del caffè risiede nella caffeina. Sappiamo come questa sostanza stimolante allontani la fatica e il sonno, aumenti le prestazioni del cervello e favorisca la prontezza di riflessi. In un’ora raggiunge la massima concentrazione nel sangue e il suo effetto può durare anche fino a dodici ore.

Agisce sul cuore, dilata le coronarie e le arterie, rilassa la muscolatura dello stomaco e dell’intestino e ha proprietà diuretiche che, se associate alla sudorazione, possono favorire un’eccessiva disidratazione. Per poter beneficiare delle proprietà positive del caffè e evitare, invece, gli effetti indesiderati, è bene non superare le tre tazzine al giorno sempre con l’accortezza di consumarlo senza zucchero. Se, in un primo momento, non si riesce a consumarlo amaro, si può mescolare un po’ di cardamomo o di vaniglia finché non ci si abitua al diverso sapore.  Il caffè contiene anche molti antiossidanti e sostanze che attivano il metabolismo come l’acido clorogenico.

Rispetto al caffè, siamo meno abituati a consumare il tè, ancor di più se parliamo di tè verde. Eppure questa bevanda contiene elevate concentrazioni di catechine e, in particolare, di epigallo-catechina-3-gallate, un potente antiossidante che aiuta la detossificazione epatica e ha azioni protettive nei confronti dei tumori. Il tè verde aiuterebbe anche a ridurre il livello di colesterolo “cattivo” (LDL) nel sangue oltre che il rischio di patologie cardiache. Contribuisce anche a regolare il metabolismo del glucosio, con conseguenze positive per chi soffre di diabete, e a prevenire la demenza senile. Si può dire, quindi, che il tè verde sia davvero un elisir di giovinezza.

Dr.Filippo Ongaro

Per saperne di più: https://www.filippo-ongaro.it/    

Nutrizione e salute

18/11/2014

Pronto? Chiamo dalla ISS….

Una nuova domanda per #ChiediloaSamantha, questa volta arrivata sulla pagina Facebook di Avamposto42. Sonia ha infatti chiesto:

Ciao Samantha! Oltre alle domande su esigenze più “pratiche” nello spazio e varie curiosità a cui hai già risposto, mi é sorta questa domanda, forse più personale.. Qual è stata la reazione spontanea di parenti ed amici quando hai dato l’annuncio della tua missione? Durante la permanenza sulla stazione, i membri dell’equipaggio possono ricevere/mandare messaggi dalle persone più care? Ti ringrazio moltissimo se troverai tempo per rispondere e ti faccio un grosso in bocca al lupo per l’imminente avventura! Sonia

Samantha Cristoforetti ora si trova a Bajkonour per l’ultima settimana (e qualche giorno) prima del lancio e dell’inizio della missione Futura domenica 23 Novembre ma ci ha inviato la sua risposta:

Cara Sonia,

I miei amici e la mia famiglia, come puoi ben immaginare, sono stati felicissimi per me quando hanno appreso della mia assegnazione alla missione che sarebbe poi stata battezzata Futura. Una volta entrata a far parte del corpo astronauti europeo nel 2009 e una volta completato l’addestramento basico a fine 2010, avevo iniziato l’addestramento per la Stazione Spaziale Internazionale a metà 2011 come astronauta di riserva dell’Agenzia Spaziale Europea ed ero in trepida attesa di un’assegnazione ad una spedizione ISS. Sapevo che la seconda missione di lunga durata dell’Agenzia Spaziale Italiana era  prevista per il 2015 e speravo naturalmente di essere assegnata a questa opportunità di volo. Quando l’annuncio arrivò a metà 2012, arrivò anche la notizia che la missione ASI era stata anticipata di sei mesi: e quindi doppia gioia, ed eccomi qui, ormai pronta a partire!

Ma veniamo alla tua seconda domanda: durante la permanenza sulla ISS possiamo mandare messaggi email per motivi privati. Possiamo anche riceverli, ma soltanto da un numero molto limitato di indirizzi autorizzati. Le comunicazioni di servizio vengono invece inviate ad un altro indirizzo, che prevede vengano inoltrate sulla Stazione Spaziale soltanto dopo una verifica del contenuto da parte di CAPCOM, la posizione nel Centro di Controllo Missione di Houston che è deputata a parlare con gli astronauti a bordo (e questo può dare l’idea che CAPCOM è responsabile di molte cose, non solo parlare sul canale Space-to-Ground!).

Abbiamo anche un telefono VOIP (Voice-Over-IP) con cui possiamo chiamare i numeri terrestri, ma soltanto per motivi strettamente privati, mai di lavoro o di pubbliche relazioni. Non è considerato uno strumento di comunicazione operativo, ma soltanto un mezzo di supporto psicologico all’astronauta. E no, non c’è un numero a cui risponde la Stazione Spaziale, solo chiamate in uscita!

Infine, una volta a settimana ci viene data la possibilità di fare una videoconferenza con la nostra famiglia.

Ciao e crepi il lupo!

Samantha

Chiedilo a Samantha

14/11/2014

International Space Station (prima degli Shenanigans)

Samantha Cristoforetti volerà in direzione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) tra meno di due settimane. Nel corso della missione Futura, che vede attivamente coinvolte ESA, ASI e Aeronautica Militare, la nutrizione avrà un ruolo di grande rilievo. Che cosa succedeva prima della selezione degli Shenanigans, quando gli astronauti europei non disponevano ancora del bonus food di Argotec?

A bordo della ISS non ci sono frigoriferi o congelatori per alimenti, anche se questi erano stati pianificati all’inizio del progetto come parte integrante del modulo abitativo degli Stati Uniti. Tuttavia, questa soluzione è stata presto abbandonata a causa del costo e della potenza necessaria, giudicati eccessivi. Di conseguenza, i tecnici hanno concentrato i propri sforzi sullo sviluppo di prodotti alimentari a lunga conservazione.

La durata delle missioni ISS era inizialmente di quattro mesi, quindi era necessaria una varietà alimentare maggiore rispetto al passato in modo da sostenere al meglio la salute e la psicologia dell’equipaggio. A partire dal 1998 sono stati sviluppati una cinquantina di nuovi prodotti termostabilizzati, preferibili rispetto a quelli liofilizzati anche per ovviare alla mancanza di produzione autonoma di acqua a bordo della ISS, oggi possibile grazie al Potable Water Dispenser. Inoltre, le nuove ricette sono state formulate in modo da avere una quantità moderata di sodio e di grassi.

Dopo l’incidente del Columbia, nel febbraio del 2003, la durata della missioni a bordo della ISS è stata portata a sei mesi, rendendo l’alimentazione ancora più importante. Gli astronauti potevano comporre il loro menu scegliendo tra 185 cibi e bevande della NASA e 100 dell’agenzia spaziale russa. I loro menu venivano spesso integrati con una piccola quantità di bonus food, anche se questo era decisamente primitivo rispetto a quello realizzato da Argotec. Gli alimenti extra potevano essere caramelle, biscotti e cracker già disponibili in commercio, anche se con determinati livelli di qualità e shelf-life.

Il cibo veniva trasportato sulla ISS tramite Shuttle e voli Progress. Insieme a questo veniva stivata anche una piccola quantità di cibo fresco, soprattutto mele, arance e carote. In generale, grazie alla lunghezza delle missioni ISS, gli astronauti hanno potuto disporre di un modello alimentare più stabile di quello Shuttle, dove i tempi erano molto più ristretti e frenetici. Anche per questo motivo, il consumo di alimenti è stato più alto sulla ISS, anche se non ancora al livello osservato durante il programma Skylab.

Antonio Pilello

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/index.php/spacefood

Storia del cibo spaziale

13/11/2014

Parabole, coni e conati

Per sperimentare l’assenza di gravità, come abbiamo visto qualche post fa, non è necessario essere astronauti: basta essere genitori e portare i propri figli a un parco divertimenti, salire su una drop tower e… riuscire a sopravvivere! Dopo, per festeggiare, potrete persino prendere un cono gelato. Se lo stomaco è tornato al suo posto, s’intende.

Ma perché limitarsi a una drop tower quando, se siamo abbastanza fortunati, potremmo avere a disposizione addirittura una “cometa del vomito”? Il nome è promettente, no?

Da anni l’ESA – e non solo, naturalmente – organizza delle campagne di voli aerei molto particolari.  In che senso? Lo vediamo subito: siamo all’aeroporto di Bordeaux- Merignac, in Francia. Sulla pista di decollo vedete un Airbus 300 della compagnia Novospace. È lì per voi, vi sta aspettando. Salite a bordo. Come potete vedere, l’allestimento interno non è certo quello di un aereo. Tutto è stato modificato, a partire dai sedili, che sono stati rimossi. Al loro posto si è ricavato un ampio spazio.

Per darvi il benvenuto, nella fase di decollo dalla base de il pilota dirige l’aereo alla massima velocità con una pendenza di circa 45 gradi. Raggiunti i 20 km di quota, i motori vengono “messi al minimo”. E… indovinate. Che cosa succede a un aereo a 20 km di altezza, con i motori al minimo? Intuite la risposta? Già… precipita. Nel nostro caso, naturalmente, è una discesa controllata: con i motori così “silenziati”, l’aereo si trova a planare in caduta libera, frenato solo dall’attrito dell’atmosfera.

Nei 20 secondi di caduta, il peso – in analogia con quanto accade in una torre di caduta – viene annullato dalla forza apparente dovuta all’accelerazione dell’aereo. In altri termini: siamo quasi in assenza di peso. A causa dell’attrito dell’aria, il peso viene ridotto di circa 100 volte: galleggiate allegramente, come un astronauta, e con voi i vostri colleghi e gli esperimenti che hanno portato.

Dimenticavo: durante un volo parabolico, l’aereo percorre ben 31 parabole. Quindi preparatevi: alla fine di questa discesa ci sarà giusto il tempo di darsi una pettinata e l’aereo tornerà a risalire. Il totale del tempo passato in assenza di peso, parabola dopo parabola, è oltre 600 secondi.

L'Airbus A300 utilizzato per i  voli parabolici di addestramento.

L’Airbus A300 utilizzato per i voli parabolici di addestramento.

Ma non preoccupatevi troppo: non si sale su una “cometa del vomito” semplicemente comprando il biglietto per un parco giochi, come può capitare su una drop tower. Le campagne di voli parabolici “Fly your thesis” organizzata dall’ESA, per esempio, sono indirizzate soprattutto agli studenti universitari. Questo permette loro di avere un primo accesso allo spazio: circa 10 minuti di assenza di gravità, permette agli studenti di familiarizzare con i concetti base, con i problemi e con le tecnologie spaziali. Naturalmente la sfida principale consiste nell’ideare esperimenti che possano avere durate inferiori a 20 secondi circa. Esperimenti intelligenti, veloci da svolgere e facilmente ripetibili.

Per partecipare a una campagna di voli parabolici, in genere aperta anche a un numero ristretto di giornalisti, si deve superare una visita medica, ma non ci sono richieste fisiche particolarmente restrittive: per esempio non è richiesta una vista perfetta. È chiaro però che il fisico è sottoposto a movimenti innaturali, che possono disturbare chi soffre di malattie come il diabete o l’epilessia. Qualcuno non sta benissimo durante il volo – “comete del vomito” non è un soprannome immeritato – ma si tratta di malesseri passeggeri: i partecipanti hanno sempre tratto soprattutto un gran divertimento dallo sperimentare l’assenza di gravità. Per prevenire i malesseri ciascun gruppo può sperimentare 5 voli parabolici prima della campagna vera e propria, durante i quali si rimane legati ai propri sedili, in modo da dare una certa gradualità all’esperienza. In ogni caso è possibile prendere alcuni medicinali prima del volo.

E, ancor meglio, sarebbe utile allenarsi prima della campagna: per esempio… avete presente la torre di caduta? Pensavate davvero di sfuggirle?

PS In questo post, naturalmente, si scherza sulle drop tower dei parchi gioco. Si ricordi che, per la scienza, si utilizzano drop tower ben diverse – descritte nel post precedente.

 Stefano Sandrelli

Per saperne di più: https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Human_Spaceflight_Research/Parabolic_flights2

Niente Panico

07/11/2014

In cucina…a tutto vapore!

Ritorna il consueto appuntamento con Stefano Polato, il responsabile dello Space Food Lab di Argotec, dove è stato preparato il bonus food di Samantha Cristoforetti, che il 23 novembre 2014 partirà in direzione della Stazione Spaziale Internazionale. Nel corso della missione Futura, frutto della collaborazione tra ESA, ASI e Aeronautica Militare, la nostra astronauta presenterà al pubblico quanto preparato appositamente per lei. Nel frattempo, vediamo che cosa possiamo cucinare sulla Terra e, soprattutto, in che modo.

Lo chef di Argotec ci presenta oggi la cottura a vapore, una tecnica diffusa in tutto il mondo, che ha il vantaggio di evitare il contatto diretto tra acqua e cibo. Questo, infatti, viene cotto grazie alla circolazione di aria e vapore che si instaura tra una pentola piena d’acqua e un cestello dotato di fori appoggiato su di essa. In questo modo, vitamine e sali minerali rimangono all’interno degli alimenti e non vanno persi quando viene scolata l’acqua di cottura.

Secondo Polato, «grazie alla cottura a vapore i cibi tendono a mantenere un sapore molto più ricco, corposo e naturale. Tra l’altro, tutto questo si ottiene senza aggiungere grassi o condimenti durante la preparazione. Il mio consiglio è quello di utilizzarla il più possibile anche a casa. In questo modo sarà possibile cucinare un buon piatto di verdure in soli 15-20 minuti. Si tratta, inoltre, di una tecnica poco costosa visto che basta dotarsi di un semplice cestello di metallo o in bambù. Fate solo attenzione alla quantità d’acqua utilizzata: non deve toccare gli alimenti, ma nemmeno essere troppo poca, per evitare di bruciare il fondo della vostra pentola. In alternativa, se volete dare ancora più gusto al vostro piatto, utilizzate il brodo di verdure oppure alcune erbe aromatiche. Io scelgo spesso salvia, timo e rosmarino, ma ci sono moltissime spezie da provare».

Largamente utilizzata in Asia nella preparazione del riso, ma anche nel Nord Africa per quanto riguarda il cous cous e le verdure, la cottura a vapore è un metodo sano e quindi assolutamente indicato nella dieta di tutti i giorni. «In Argotec – continua Polato – utilizziamo la cottura soft per non alterare gli alimenti, ma vorremmo che questa tecnica venisse usata di più anche a casa o nei ristoranti. In questo modo avremo a disposizione un menu ricco di nutrienti, leggero e altamente digeribile, con sapori e aromi pressoché inalterati. Con un solo fuoco e un cestello con 2-3 piani potremo preparare un pasto completo in poco tempo. Provate, per esempio, con riso integrale, pesce azzurro e verdure, ma date spazio anche alla vostra fantasia».

Antonio Pilello

Per saperne di più: https://www.argotec.it/argotec/index.php/spacefood  

Dietro le quinte

06/11/2014

Aria fresca sulla Stazione…come funziona?

Ciao Samantha, parlando della tua missione con le mie alunne e i miei alunni (che sono detenuti nel carcere di Rebibbia, a Roma, e non possono guardare direttamente il tuo sito ma sono molto interessati a seguire le vicende della Missione Futura…) sono sorte alcune curiosità: – come viene rifornito l’ossigeno che utilizzate all’interno della Stazione Spaziale Internazionale? – ci sono difficoltà nella digestione in assenza di gravità? Se potrai risponderci, porterò la tua voce ad alunne ed alunni reclusi! Grazie, Elena  

Salve Elena, grazie della domanda!

Sulla Stazione l’ossigeno proviene da tre diverse fonti; la principale e la più utilizzata è la produzione di ossigeno a bordo tramite elettrolisi dell’acqua: questo è infatti il principio di funzionamento dell’apparecchiatura OGS (Oxygen Generation System), che fa parte del sistema di supporto vitale ECLSS (Environmental Control and Life Support System). Nella parte russa della Stazione Spaziale c’è un apparecchiatura analoga chiamata Elektron, situata nel modulo di servizio Zvezda.

[youtube AJmLSIJ2YwY]

La maggior parte dell’ossigeno che gli astronauti respirano viene prodotta in questo modo e introdotta direttamente nell’atmosfera di bordo. Ma in caso di necessità ci sono altre due diverse fonti: la prima è naturalmente il rifornimento da terra. Recentemente ad esempio è stato proprio l’europeo ATV-5 George Lemaitre a rifornire la ISS di nuovo ossigeno. Arrivato sulla stazione il 29 Luglio scorso  ATV portava con se molte cose nel suo carico tra cui 100 chilogrammi di prezioso ossigeno. A settembre l’astronauta Alexander Gerst si è occupato di far defluire un po’ dell’ossigeno (circa 17 kg) dalle riserve dell’ATV all’interno della ISS per “rinfrescare” un po’ l’aria al suo interno (come mostra nel video qui sopra). In caso di emergenza gli astronauti hanno infine a disposizione sempre nel modulo Zvezda anche delle cosiddette “candele ad ossigeno” , che sfruttano delle reazioni chimiche per generare ossigeno.

 

L’equipaggio di Avamposto42

Domande dalla Terra

05/11/2014