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Altre 53 cose da fare a gravità zero

La Guida galattica per autostoppisti, com’è noto, è il libro di maggiore successo pubblicato dalle grandi case editrici dell’Orsa Minore. Un degno concorrente è Altre 53 cose da fare a gravità zero. Di quest’ultima opera, però, non si conoscono né l’autore né il contenuto. Almeno non si conoscevano fino a oggi.

Un gruppo di ricercatori di Avamposto 42, in collaborazione con l’Accademia Antiquaria del Futuro Prossimo e Remoto, sostiene, infatti, di aver trovato stralci originali di Altre 53 cose da fare a gravità zero. Quel che rende molto discutibile l’originalità del ritrovamento, è che accanto alle frasi, appare il nome degli autori. Nomi piuttosto sospetti: date un’occhiata alla sezione L’equipaggio dell’Avamposto 42.

In ogni caso, vi proponiamo i 23 frammenti ritrovati.

Samantha Cristoforetti

Non avere mai i piedi per terra.

Non doverti mai chiedere: quali scarpe metto oggi?

Giocare a prendere una fragola al volo con la bocca senza paura che cada sul pavimento.

Avere la pelle sotto i piedi tenera come quella di un bimbo

Spostarsi con un soffio

Mettere le cose nel vano più alto dell’armadio senza l’aiuto del famigliare spilungone.

Non doversi mai più preoccupare di piantare chiodi: basta un po’ di velcro!

Giocare a chi arriva più lontano senza toccare le pareti (ma se sposti i sensori di flusso d’aria nei portelli russi sei squalificata!)

Non rifare il letto la mattina.

Far ruotare la tua casa in modo che gli amici in arrivo trovino facilmente l’entrata

Usare una bicicletta senza sella.

Gettare la bilancia, tanto segna sempre zero!

Tenere le cose da trasportare con le gambe mentre cammini con le mani.

  Antonio Pilello

Fare yoga a testa in giù.

Nuotare senza acqua.

Mangiare tantissimo e sentirmi comunque leggero

  Chiara Forin

Poter leggere un libro a letto senza doverlo tenere sollevato

Poter dare tutto un altro senso al costume da Superman ad Halloween (anche se gia’ Luca Parmitano ci ha pensato)

Cucinare senza aver paura di sporcare per terra…tanto niente cade!

Stefano Polato

Rompere un uovo e separare l’albume dal tuorlo

  Stefano Sandrelli

Avere la testa molto oltre le nuvole e sentirsi a posto così

Sapere di essere in caduta libera e riderci sopra

Poter essere pesanti e noiosi e riuscire a volare lo stesso

Ma soprattutto: che cosa fareste voi a gravità zero?

Scrivete alla redazione, postatelo su Facebook  o Twitter usando l’hashtag #53ZeroG, mandatelo per posta ordinaria, fate segnali di fumo, sbracciatevi, datevi da fare: scriviamo insieme questo “libro” di enorme successo. Non lasciamolo tutto agli autori di Avamposto 42, che scrivono peggio dei Vogon (e se non sapete come scrivono i Vogon, meglio per voi).

Stefano Sandrelli

Nella foto di questo post: i due astronauti NASA Carl Meade e Mark Lee testano il dispositivo semplificato di aiuto per le passeggiate spaziali (SAFER) al di fuori della Stazione Spaziale Internazionale.

Niente Panico

17/10/2014

Fiamme spaziali

Mia figlia Lucia, 12 anni, mi chiede come si comporta una fiamma nell’astronave, dove c’e’ ossigeno ma non c’e’ gravita’. La domanda e’ questa: cosa succede se accendo un fiammifero? cosa succede se accendo una fiamma con un accendino? Io non lo so.
Grazie per l’attenzione e buon lavoro. Guido Lacchini

Nello spazio anche le cose piu’ naturali diventano diverse e nuove, fiamme comprese! Ed ecco una breve risposta, di Stefano Sandrelli, all’interessante domanda di Lucia:

Microgravity_flameQuando si accende una candela, per esempio, la fiamma si allunga verso l’alto perché viene “allungata” dalle correnti di aria calda che formano e che risalgono verso l’alto.  Le correnti si formano infatti come conseguenza del principio di Archimede. Quando una bolla di aria calda si forma, si espande e in questo modo sposta un volume di aria fredda, che ha un peso maggiore di quello della bolla. Ne risulta una spinta verso l’alto che porta la bolla a spostarsi. Poiche’ il microgravità il peso dei corpi viene annullato, anche la spinta subita dall’aria calda verso l’alto viene annullata. Dunque non ci sono quelle correnti che danno alla fiamma terrestre la sua tipica forma. Di fatto le fiamme, in orbita, tendono a essere sferiche.

Per saperne di piu’:

[youtube BxxqCLxxY3M nolink]

https://spaceflight.nasa.gov/history/shuttle-mir/science/mg/nm21453009.htm

 

Domande dalla Terra | la comunita' intergalattica

08/10/2014

Il poster fantascientifico della Expedition 42

Non è un segreto che questo sito, Avamposto 42, debba il suo nome al numero della Expedition, la 42 appunto, di cui il Cap. Samantha Cristoforetti, astronauta ESA di nazionalità italiana impegnata nella Missione Futura dell’ASI e Pilota dell’Aeronautica Militare, fa parte. Come non è un segreto che Samantha Cristoforetti abbia voluto giocare sul numero 42, attingendo a piene mani dalla Guida Galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, libro-cult della fantascienza ironica fin dalla sua prima uscita, ormai 35 anni fa. Ma questa volta i sei astronauti e cosmonauti della Expedition 42 hanno fatto ancora di più: si sono si trasformati in alcuni dei personaggi che animano le storie del ciclo della Guida nella realizzazione del poster per il programma Space Flight Awareness dalla NASA. Poster su cui campeggia il motto “Don’t panic” – niente panico. Non a caso, il titolo di questa sezione di Avamposto 42. Ve li presentiamo, personaggi e astronauti/cosmonauti, da sinistra a destra:

• Zaphod Beeblebrox è impersonato da Terry Virts e Anton Shkaplerov (servono due cosmonauti, visto che ha due teste); • Humma Kavula è Aleksander Samokutyayev • Arthur Dent, ovvero Barry “Butch” Wilmore • Ford Prefect: Elena Serova • Trillian, la nostra Samantha Cristoforetti • Guest star: Marvin, il robot paranoide, interpretato dal Robonaut

E dato che non tutti hanno letto la “Guida Galattica”, una mancanza davvero disdicevole, che in certi circoli del Sistema planetario di Beta Pictoris viene punita con la lettura obbligata dell’opera Omnia di ARGStramph, il peggiore dei poeti Vogon, ecco alcuni spunti per assaporare almeno il senso dei personaggi interpretati dagli astronauti di Expedition 42. Zaphod Beeblebrox è uno dei grandi protagonisti della Guida. Ha due teste, raramente pensanti, certamente squilibrate, e almeno tre braccia. Edonista, irresponsabile, insensibile e tuttavia carismatico, è stato Presidente della Galassia e, soprattutto, ha inventato il Gotto Esplosivo Pangalattico, la miglior bevanda alcolica dell’Universo. Humma Kavula è ora un missionario che predica l’Avvento del Grande Fazzoletto Bianco, ma in passato è stato un pirata dello spazio. I suoi occhiali nascondono l’assenza degli occhi dovuta a una ferita. È stato avversario di Zaphod nella corsa per l’elezione di Presidente della Galassia, con lo slogan “Non votate quello stupido!” Ha perso e non l’ha presa benissimo. Arthur Dent è un terrestre spaesato, nel senso più letterale del termine: la sua casa viene distrutta dalle ruspe per fare spazio a una nuova strada. Per una strana e certamente significativa coincidenza, quello stesso giorno la Terra viene distrutta da una flotta di navi extraterrestri, per costruire una nuovissima autostrada. Arthur viene salvato da Ford Perfect innumerevoli volte. Ford Perfect non è un tranquillo ragazzo di Guilfod ma proviene da un piccolo pianeta dalle parti di Betelgeuse ed e’ arrivato sulla Terra per aggiornare la voce relative al nostro pianeta per la Guida Galattica. Dopo anni di vita terrestre, il suo contributo alla Guida recita: “Terra: praticamente innocua”. Grande amico di Arthur Dent, lo guida nelle sue esilaranti avventure nell’Universo. Trillian, e’ descritta come “bruna, magra, umanoide, con lunghi capelli neri ondulati, labbra piene, uno strano naso a patata e occhi assurdamente castani”. Insieme a Arthur è l’unica terrestre sopravvissuta alla demolizione, ed è una brillante matematica e astrofisica. Arthur Dent ha provato un’intera sera ad abbordarla a un party a Islington. Purtroppo al party era presente – sotto mentite spoglie – anche Zaphod, con il quale Trillian era finita per uscire. Salverà l’Universo dai terribili Krikketers. Marvin: è un robot di straordinarie capacità mentali ma di scarsissima tenuta psicologica. Di fatto è inconsolabilmente depresso e la sua compagnia ha veramente dell’insopportabile.

E infine una nota specifica sull’arma tenuta in mano da Samantha – Trillian: si tratta di un Fucile a Punto di Vista. Quando viene azionato contro qualcuno, quest’ultimo inizia a vedere le cose dal punto di vista di chi ha premuto il grilletto. È stato inventato per rispondere a una precisa richiesta del Consorzio delle Mogli Arrabbiate, che erano definitivamente stufe di terminare i litigi con i propri mariti con la frase : “non capisci proprio, vero?”.

Stefano Sandrelli

Per saperne di più’ potete guardare la raccolta di poster della NASA dedicati alle citazioni nei poster delle missioni:

https://www.nasa.gov/directorates/heo/sfa/products.html

Niente Panico

06/10/2014

Michelangelo in orbita

La Cupola della Stazione Spaziale internazionale è affrescata come la cupola di San Pietro, in Vaticano. Ma mentre a San Pietro si guarda affascinati la cupola stessa e il meraviglioso progetto di Michelangelo, sulla stazione spaziale si guarda attraverso la Cupola. Più trasparente è, più si apprezza. I suoi affreschi variano mentre la stazione spaziale internazionale si muove intorno al pianeta: sono continenti, mari, nuvole. È l’infinita fragilità della Terra a commuovere, la sottigliezza dell’atmosfera, che sembra giusto una pennellata di tenue azzurro che sfuma nel nero del cosmo; sono i colori sempre variabili, è l’assenza di confini fra stati. È l’alternanza instancabile tra giorno e notte: la ISS, a circa 400 km di quota, ruota intorno alla Terra compiendo un’orbita in 90 minuti.

La Cupola è un piccolo modulo a base esagonale, con un diametro di appena 3 metri, installato sulla finestra che punta verso la Terra del nodo 3, Tranquillity. La sua vera forza sono le 7 finestre che ha portato in dono agli astronauti: una per lato, più una settima sulla sommità. Quest’ultima, di ben 80 cm è la più grande mai usata nella storia del volo spaziale umano. Da qui gli astronauti, non solo possono dedicarsi alle fotografie del pianeta, ma sono anche in grado di controllare a vista alcune operazioni robotiche e le attività dei colleghi che stanno eseguendo una EVA, una “passeggiata spaziale”.

niente panico cupola 2Questa straordinario balcone sullo spazio è un prodotto a marca italiana: è stata consegnata alla NASA da Alenia Spazio (ora Thales Alenia Spazio), che sovrintendeva il lavoro di altre numerose industrie europee, il 6 settembre 2004. A causa del blocco dei voli degli Shuttle, si è dovuto attendere oltre 6 anni per vederla sulla ISS: è stata installata il 15 febbraio 2010, l’ottavo giorno della missione STS-130 dello Shuttle Endeavour.

I vetri delle finestre (in silicio fuso e vetro borosilicato) non sono lasciati impunemente allo spazio, ma sono protette – quando non in uso – da una “tapparella” di protezione. Opportuna, visto che appena due anni dopo il suo arrivo, è stata colpita – senza danni – da un micrometeorite.

Di qui, dicevamo, non si vedono confini fra nazioni. Eppure qualche cosa si intravede. Perché nel suo incessante orbitare intorno alla Terra, la ISS sorvola linea di demarcazione giorno-notte 32 volte, due ogni orbita. Quando si osserva la notte terrestre, a seconda del continente su cui si sta passando, le luci delle città sono estremamente diverse. Grandi deserti, catene montuose, certo. Ma non solo: anche paesi più ricchi e più illuminati e paesi più poveri. Non che non si sappia: ma vederlo così “illuminato” fa una certa impressione. Sta a noi il compito di trasformare la fragilità del pianeta in una forza per il futuro.

Stefano Sandrelli

Fonti

Shuttle windows:

https://www.nasa.gov/missions/highlights/webcasts/shuttle/sts113/processing-qa.html

La cupola:

https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/International_Space_Station/Cupola

Il micrometeorite:

https://www.nasaspaceflight.com/2012/06/cupola-minor-mmod-strike-shutter-closed-evaluations/

Niente Panico

19/09/2014

Sulla ISS a caccia di funghi

Parlando di nutrizione, come non occuparci del “plancton spaziale”? Certo, si tratta di nutrizione di cetacei, non di astronauti, ma casomai si decidesse di mandare su Marte una balena… inutile dire che stiamo scherzando, vero?

La storia è questa. Secondo l’agenzia di stampa russa Itar-Tass, il cosmonauta Vladimir Solovyev, responsabile del segmento russo della Stazione Spaziale Internazionale, ha rivelato che l’esperimento TEST ha documentato la presenza di plancton capace di vivere sulla superficie esterna della navicella.

Secondo Solovyev il problema maggiore è spiegare come del plancton, che vive nei mari, possa essere arrivato a 400 chilometri di quota. Correnti di aria ascensionali? Oppure contaminazione da parte delle superfici di navette spaziali attraccate alla Stazione Spaziale? O altre spiegazioni? Al momento non risultano commenti di nessun’altra agenzia spaziale. Staremo a vedere.

Certo che è che gli studi sulla sopravvivenza di forme di vita elementari nello spazio sono probabilmente fondamentali per comprendere l’origine e la diffusione della vita nello spazio. E nel corso degli anni non sono mancate sorprese e novità riguardo a capacità di sopravvivenza insospettate di alcune di queste forma di vita.

L’esperimento “Lichens” dell’ESA, condotto a bordo di un Foton-M2 nel 2005, per esempio, aveva riportato la notevole resistenza dei licheni alla esposizione delle dure condizioni del vuoto: radiazioni ultraviolette, temperature estreme, assenza di pressione e di peso. Gli studi sono proseguiti e negli anni successivi sono stati realizzati esperimenti analoghi (di qualche settimana, come Biopan su un Foton M-3) o di maggiore durata (come la EXPOSE-E, nel corso della missione Columbus sulla Stazione Spaziale, di 18 mesi) ma sempre di grande semplicità.

Nel caso di EXPOSE-E, per esempio, un ricettacolo di batteri, licheni, alghe, germi, è stato disposto in un contenitore a celle separate e esposto al vuoto spaziale, all’esterno della ISS. Naturalmente ancora senza protezione contro radiazioni ed escursioni termiche di oltre 50 °C, con centinaia di passaggi da -12 °C a +40 °C..

I più resistenti? I licheni. Addirittura, alcuni di essi, una volta riportati a terra 18 mesi più tardi, hanno continuato tranquillamente a crescere, come se l’intermezzo spaziale non li avesse turbati più di tanto.

Perché è interessante tutto questo? Per almeno due motivi.

Una scoperta del genere è un piccolo punto a favore dell’ipotesi della panspermia: una vita che si diffonde attraverso il vuoto interstellare. Niente di conclusivo, dato che i viaggi interstellari non durano certo mesi ma decine di anni alla velocità della luce, solo per rimanere nei dintorni del Sole. Inoltre alcune ditte che si occupano di creme per la protezione solare hanno alzato le antenne: i licheni hanno resistono 18 mesi ai raggi UV del Sole? Qual è il loro segreto? Sarà utilizzabile per migliorare i loro prodotti?

Le ricerche continuano. In attesa di saperne di più sulla curiosa storia del plancton.

Stefano Sandrelli

Per saperne di più’:

https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Lichen_survives_in_space

https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Columbus/The_toughest_life_on_Earth

Niente Panico

04/09/2014

Dormire, forse sognare

L’astronauta della NASA Dan Burbank (Expedition 30) racconta che sulla Terra gli accadeva spesso di sognare di volare. Una volta in orbita, però, il suo sogno più frequente era di camminare con i piedi ben piantati sul nostro pianeta.

Luca Parmitano, invece, ogni mattina si svegliava e dimenticava i sogni. Non dimenticava però l’ultimo saluto alla moglie Kathy, la sera prima.

E che cosa sognerà Samantha, una volta in orbita? Basterà aspettare e chiederglielo. Intanto, fra i suoi tanti allenamenti, ha messo in pratica anche alcuni accorgimenti per controllare al meglio i ritmi del sonno.

In effetti, molti astronauti hanno raccontato di non riposare altrettanto bene e meno di quanto non accada loro sulla Terra. Un fenomeno studiato da tempo e che può avere varie cause.

Ora la rivista The Lancet Neurology ha pubblicato uno studio condotto da ricercatori della Brigham and Women’s Hospital (BWH) Division of Sleep and Circadian Disorders della Harvard Medical School, in collaborazione con la Università del Colorado, durato oltre 10 anni. I ricercatori americani hanno confrontato 4000 notti di sonno sulla Terra con oltre 4200 notti nello spazio, usando dati raccolti su 64 astronauti che hanno partecipato 80 voli Shuttle e 21 astronauti a bordo della Stazione Spaziale. L’analisi dei dati ha il merito di trasformare le sensazioni in misure. Per esempio, la ricerca mostra che la durata media di una notte di sonno in orbita è circa 6 ore, contro le 8 ore e mezzo previste dalla NASA.

Da una parte, dormire sulla Stazione Spaziale non è semplice come potrebbe sembrare. È vero che gli astronauti possono contare su un piccolo spazio privato – una specie di nicchia con le pareti morbide, grande quanto basta per contenere una persona, qualche pc e qualche altro effetto personale appeso alle pareti – ma certo non possono sprofondare nel sonno, dato che, in assenza di peso, viene meno quella bella sensazione di liquefarsi sul letto.

Per dormire poi, in genere usano delle mascherine per gli occhi e dei tappi per le orecchie. E, infine, si infilano in una specie di sacco a pelo (senza pelo, perché non ha funzioni termiche particolari), che evita loro di fluttuare in giro per l’astronave, sospinti dai flussi  dei condizionatori per il riciclo dell’aria. Insomma, le condizioni sono un po’ più artificiali di quanto si potrebbe sperare.

Lo studio, fra l’altro, mette in evidenza che anche le settimane prima del lancio sono caratterizzate da una diminuzione delle ore di riposo. Il che, al di là dei motivi fisiologici, non crediamo che stupisca nessuno, se è vero che – a noi terricoli – a volte basta il pensiero di un appuntamento il giorno dopo per saltare qualche ora di sonno.

La conclusione è molto semplice. Visto che, a lungo andare, meno riposo significa anche meno reattività, meno lucidità e, in generale, una peggiore forma fisica, occorre trovare misure efficaci per permettere agli equipaggi che rimangono in orbita a lungo di riposare in modo adeguato.

A questo proposito, forse può venirci in aiuto la Guida galattica per gli autostoppisti, di Douglas Adams, che ricorda come “l’asciugamano è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere”. Fra i vari motivi elencati c’è anche il fatto che “potete avvolgervelo intorno alla testa per evitare gas nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal”.

O anche per dormire meglio sulla ISS, dovremmo aggiungere. Potremo allora dire che i nostri astronauti sono “frughi che sanno davvero dove hanno l’asciugamano”.

La Guida galattica per gli autostoppisti chiarisce che frugo significa tipo straordinariamente in gamba. Ed è uno dei titoli più ambiti nell’intero universo.

Per saperne di più’: https://blogs.esa.int/luca-parmitano/it/2013/10/23/a-day-on-the-international-space-station/ https://www.space.com/14131-astronauts-dream-space-iss-crew.html

Niente Panico

25/08/2014

E questo dove lo butto?

Come ogni condominio che si rispetti, anche la nostra casa spaziale, la Stazione Spaziale, è afflitta da uno dei più seri problemi domestici: dove butto i rifiuti?

Oggi la questione centrale non è più, come nel primo decennio di volo umano, lo smaltimento di urine e feci. Ormai i sistemi di riciclo delle prime sono utilizzati ampiamente per rifornire di acqua potabile gli astronauti, mentre le seconde vengono immagazzinate dai serbatoi delle toilet. È la naturale conseguenza di missioni in orbita che non durano più pochi giorni, ma dai 3 ai 6 mesi.

Una lunga permanenza nello spazio comporta anche ad esempio l’accumulo di oggetti che si rompono, che si deteriorano, che non servono più, che si sporcano tanto da renderli inutilizzabili. Nonché dai depositi di feci a cui abbiamo accennato sopra. Insomma, rappresentanti di ciascuna di quelle categorie che noi terricoli conosciamo bene.

E allora? E allora la soluzione di questi ultimi anni escogitata per la Stazione Spaziale Internazionale ha la genialità delle idee semplici: un modulo che può essere riempito e che poi… si butta via.

Lo avete riconosciuto? È il Veicolo Automatico di Trasferimento (ATV) dell’ESA. Da affabile maggiordomo che porta agli abitanti dello spazio aria, cibo, acqua, esperimenti, vestiario, l’ATV viene gradualmente riempito di cose da dimenticare. Se la ISS fosse una villetta, l’ATV sarebbe la sua soffitta: con la comodità di poterla cambiare quando è piena. Ammettiamolo pure, con la giusta dose di cinismo: nei sei mesi in cui rimane attraccato alla ISS, piano piano l’ATV si trasforma in gentile e iper tecnologico bidone della spazzatura.

Nel corso del suo rientro, il modulo viene fatto tuffare nell’atmosfera a velocità ipersonica. Qui si disintegra in circa 700 pezzi. A circa 50 km di quota, l’alta temperatura (fino a 1500 gradi) causata dalla frizione atmosferica provoca l’esplosione dei serbatoi e il consumo del propellente residuo. Quasi tutti i pezzi dell’ATV vengono fusi e vaporizzati in questa fase, ben prima di arrivare a terra. L’impatto sul nostro pianeta e sulla sua atmosfera è praticamente nullo.

Sono pochissimi gli elementi in grado di raggiungere la superficie terrestre. Il pezzo più significativo è il motore, che è stato costruito per resistere a temperature molto alte. Tuttavia la traiettoria di rientro dell’ATV è calcolata in modo che i residui solidi si tuffino in una grande area disabitata dell’oceano pacifico, per cui il rischio di essere colpiti da pezzi di pattumiera galattica è effettivamente molto basso.

Visto che siamo in tema, vale la pena ribadire che questi rifiuti hanno ben poco a che vedere con rifiuti orbitali come satelliti spenti, pezzi di satelliti che sono esplosi, serbatoi vuoti, bulloni, schegge, addirittura guanti persi durante passeggiate spaziali. Questi residui, che sono rimasti in varie orbite intorno alla Terra, costituiscono un grave inquinamento dovuto all’uomo, ma non sono legati in modo specifico alle attività degli astronauti.

E questo è un problema da affrontare ben altrimenti che con l’ATV: si tratta di milioni di frammenti di artefatti sui quali occorre intervenire. In primo luogo non facendone aumentare il numero in futuro e, possibilmente, facendolo diminuire. Diversi studi sono in corso nelle varie agenzie spaziali e, ogni tanto, qualcuno fa capolino anche sulla stampa. Difficile dire quale sia il progetto più promettente.

Ma il concetto è chiaro: sviluppo sostenibile anche nello spazio.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

08/08/2014

Apollo 11, niente panico: ma lasciate la porta socchiusa, per favore

Quanti di noi sono usciti di casa chiudendosi la porta alle spalle e, subito dopo, sono stati assaliti da un brivido di terrore: “avrò preso le chiavi?”

A chi scrive è capitato qualche anno fa, a Bologna, e ricorda ancora con passione l’arrivo dei pompieri a sirene spiegate che, essendo informati della situazione, lo prendevano allegramente in giro.

Ma non sempre i pompieri hanno scale sufficientemente alte per passare dalla finestra. Prendete la Luna, per esempio. C’è una storia di serrature e chiavi piuttosto curiosa, che riguarda l’Apollo 11, la missione che ha portato per la prima volta l’uomo a sbarcare sul nostro satellite naturale e che, il 21 luglio celebra il 45esimo anniversario della discesa degli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla superficie lunare.

Gli ufficiali di missione dell'Apollo 11 si rilassano dopo il lancio il 16 lulgio 1969. Credits: NASA

Gli ufficiali di missione dell’Apollo 11 si rilassano dopo il lancio il 16 lulgio 1969.
Credits: NASA

La scena è questa: Neil Armstrong ha annunciato da poco – in mondovisione – di aver fatto un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità. Buzz Aldrin sta uscendo dal modulo di atterraggio Eagle. I due astronauti sono in contatto radio e ciascuno fa la cronaca all’altro di quel che sta per fare. Armstrong guida Aldrin nella discesa, che evidentemente non è così banale come si potrebbe pensare.

Ecco un brano (in traduzione libera) della trascrizione originale del dialogo tratta da Apollo 11 – lunar surface journal, a cura di Eric M. Jones, e pubblicata sul sito ufficiale della NASA.

109:41:28 Aldrin: Okay. Ora torno indietro e chiudo parzialmente il portellone (lunga pausa). Voglio essere sicuro di non chiudermelo alle spalle uscendo.

109:41:53 Armstrong: (ride) Be’, mi pare proprio una bella idea!

109:41:56 Aldrin: Sarà la nostra casa per il prossimo paio di ore e voglio averne buona cura.

Questo scambio ha dato il via a una serie di semplificazioni “da web”, come per esempio la battuta secondo cui il portellone dell’Eagle non avesse una maniglia esterna. Il che tecnicamente era vero, se si prende il termine maniglia alla lettera. Ma questo non significa che il portellone non potesse essere aperto dall’esterno attraverso una valvola. Non senza difficoltà: se per qualche mal funzionamento, fosse aumentata la pressione interna all’Eage, i due sarebbero rimasti chiusi fuori, come emerge dai commenti di Aldrin e Armstrong, riportati da Jones. Nel settembre 1991 ci ridono sopra:

Armstrong (serio): (abbiamo socchiuso) per evitare che qualcuno dicesse: ma dove siete nati? In un granaio?

Aldrin: Ora che sollevi il problema, che cosa sarebbe successo se la valvola si fosse rovinata o altro e avesse iniziato la ri-pressurizzazione?

Armstrong: Non saremmo mai rientrati

Aldrin (ridacchiando): Avevamo mai affrontato questo problema? Forse sarebbe stata una buona idea usare un mattone o una macchina fotografica per evitare che si chiudesse. Qualcuno ci avrà pensato.

Morale della storia: quando uscite di casa, non chiudete la porta. Neanche sulla Luna. Probabilmente riuscirete a rientrare, ma perché complicarsi la vita?

Link alla trascrizione originale:

https://www.hq.nasa.gov/alsj/a11/a11.step.html

Originale inglese:

L'astronauta Edwin E. Aldrin, Jr. durante la sua EVA sulla Luna il 20 Luglio 1969. Nella foto si trova accanto all'esperimento Solar Wind Composition (SWC) e nelle vicinanze del modulo lunare Eagle.

L’astronauta Edwin E. Aldrin, Jr. durante la sua EVA sulla Luna il 20 Luglio 1969. Nella foto, scattata dal compagno Neil Armstrong, Aldrin si trova accanto all’esperimento Solar Wind Composition (SWC) e nelle vicinanze del modulo lunare Eagle.

109:41:28 Aldrin: Okay. Now I want to back up and partially close the hatch. (Long Pause) Making sure not to lock it on my way out.

109:41:53 Armstrong: (Laughs) A particularly good thought.

109:41:56 Aldrin: That’s our home for the next couple of hours and we want to take good care of it.

[Armstrong (straight-faced) – “To avoid having somebody say ‘Were you born in a barn?'”]

[Aldrin – “Now that you bring it up, what would have happened if the valve had gotten screwed up or something and it started re-pressurizing?”]

[Armstrong – “You’d never get back in.”]

[Aldrin – “Did we really ever investigate that problem? (Chuckling) It probably would have been a good idea to use a brick or a camera to keep it from closing. Somebody must have thought about that.”]

In corsivo sono riportati I commenti di A. e A. a Jones, quando hanno riascoltato la registrazione del loro dialogo, nel 1991, in occasione della trascrizione del tutto.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

21/07/2014

Cadi e gira, cadi e gira

La Stazione Spaziale Internazionale orbita intorno al nostro pianeta muovendosi a quasi 28mila km/h. Chi la tiene lassù?

ISS trackingLa risposta può sembrare sorprendente, a prima vista: la tiene in orbita il proprio peso, cioè la forza con la quale la Terra la attrae gravitazionalmente. Se la Terra non tenesse la ISS al guinzaglio grazie al peso, la nostra casa nello spazio se ne andrebbe via lungo una linea retta, alla stessa velocità di cui sopra.

La Terra, invece, ha il buon senso di farla cadere verso di sé in ogni istante: grazie alla sua velocità, però, la caduta non comporta un avvicinamento al pianeta, ma il mantenimento di un’orbita circolare. In altri termini: gli astronauti, quando li vediamo galleggiare, stanno cadendo. Non verso la Terra, ma intorno alla Terra.

Stefano Sandrelli

Niente Panico

18/07/2014

In Marocco e Antartide, l’acqua della ISS

Che cosa hanno in comune l’Antartide, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e la cittadina di Sidi Taïbi, vicino a Kenitra, a circa 30 km da Rabat, la capitale del Marocco? Ecco un piccolo suggerimento che proviene direttamente dalle nostre cucine: lo scolapasta. O il colino, se preferite. Riuscite a immaginarne uno con fori di un decimillesimo di millimetro? Si tratta di un filtro per il riciclo dell’acqua messo a punto dall’ESA per gli astronauti, ma che dal 2005 è utilizzato sulla base italo-francese Concordia, in Antartide e che, in queste settimane, è approdato in Marocco. Con i suoi minuscoli forellini, il filtro è in grado rimuovere i nitrati e rendere l’acqua potabile: ovunque questo processo sia necessario. Grazie a un progetto dell’università di Kenitra sostenuto dall’UNESCO, a Sidi Taïbi è stato realizzato un intero impianto di depurazione alimentato a energia eolica e solare, che rifornisce di acqua da bere una scuola di 1200 studenti. Se tutto funziona, le industrie e l’Università sono pronte a estendere il progetto all’intera cittadina. Tutto nasce nello spazio, perché a bordo della ISS, il riciclo dell’acqua è vitale. Anche se, grazie a una serie di scelte tecniche, il fabbisogno di acqua di un astronauta è appena il 10% di quello di un terrestre medio, le scorte di acqua fresca in arrivo da Terra sono insufficienti e dispendiose. Quindi si ricrea artificialmente il buon vecchio “ciclo dell’acqua” che si studia alle scuole primarie. Nel caso della ISS e della base Concordia, per esempio, urina, sudore e acqua degli scarichi vengono raccolti e, attraverso un ciclo di depurazioni, trasformati in acqua potabile. Arricciate il naso? È solo questione di abituarsi all’idea: l’acqua che si ottiene è molto più pura di qualsiasi acqua minerale!

Stefano Sandrelli

  Per ulteriori informazioni: https://science1.nasa.gov/science-news/science-at-nasa/2000/ast02nov_1/ https://eandt.theiet.org/news/2014/may/water-recycling-esa.cfm https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/Research/Space_brings_fresh_water_to_Morocco https://blogs.esa.int/concordia/2013/03/15/recycling-water-in-concordia/

Niente Panico

11/07/2014