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Tolleranza al glucosio in microgravitá

I carboidrati, sia quelli semplici come gli zuccheri sia quelli più complessi, giocano un ruolo importante nel nostro corpo, sia perché sono una fonte primaria di energia, sia perché sono facilmente disponibili al bisogno. È facile, infatti, trovare carboidrati in molte bevande e cibi che consumiamo ogni giorno: frutta, caramelle, torte e pane, patate, riso e molti altri.

L’energia fornita dai carboidrati viene ossidata e, in seguito, utilizzata da organi e cellule. In particolare, le cellule del cervello e i globuli rossi dipendono energeticamente soltanto dai carboidrati.

 I carboidrati dovrebbero dunque costituire la parte più significativa della dieta giornaliera di una persona; questo vale ovviamente sia per noi terrestri sia per chi si trova al momento nello spazio sulla Stazione Spaziale Internazionale. Tuttavia, ad oggi, ancora poche ricerche sono state fatte circa gli effetti della microgravità sul metabolismo dei carboidrati e, fra gli studi fatti, i risultati non sempre concordano. Anche i carboidrati complessi vengono metabolizzati nel tratto gastrointestinale in disaccaridi come lo zucchero comune o monosaccaridi come il glucosio o il fruttosio. Questi poi vengono assorbiti dal flusso sanguigno e vanno così ad aumentare il livello di glucosio nel sangue.  Questo aumenta porta poi (come spiegato nel precedente post) l’insulina a entrare in azione, portando il glucosio dal sangue alle cellule, soprattutto quelle muscolari, che lo utilizzano come fonte di energia.

Quasi tre decenni di ricerca sul volo spaziale hanno suggerito che in condizioni di microgravità ci sono effettivamente cambiamenti diabetogeni negli astronauti. I primi studi in ambito spaziale hanno documentato un aumento nel flusso sanguigno della concentrazione sia di insulina sia di glucosio all’atterraggio per gli astronauti delle missioni Apollo, Skylab come anche per i voli Shuttle.

Inoltre, uno studio russo ha documentato una riduzione del picco rapido del glucosio nel sangue (fasting plasma glucose) dopo 60-88 giorni di volo su una navicella Salyut-Soyuz, e un picco ridotto di glucosio nel sangue nei test di tolleranza.

La resistenza insulinica (mancanza di sensibilità all’insulina) è stata riscontrata in test di microgravità simulate (il bed rest).

Mentre proseguono gli sforzi per mantenere la massa muscolare (e presumibilmente correggere la resistenza insulinica) in microgravità, poco è stato fatto dal punto di vista nutrizionale.

I cambiamenti nella produzione di insulina, la sensibilità insulinica (ovvero quanto il nostro corpo reagisce all’insulina) e la tolleranza al glucosio suggeriscono che l’insulina giochi un ruolo essenziale nel mantenimento della massa muscolare durante le missioni spaziali.  Un periodo prolungato di microgravità riduce la massa muscolare, il volume dei muscoli e la loro potenza, soprattutto per quanto riguarda le gambe. L’inattività stessa porta per forza i muscoli a uno stato di atrofia e aumentano eventuali problemi di assorbimento del glucosio a causa di problemi di mancanza di insulina.

È molto probabile infine che la bassa sensibilità delle cellule all’azione dell’insulina (insulino resistenza) negli astronauti durante e subito dopo una missione nello spazio sia dovuta proprio alla poca attività dei muscoli in microgravità.

Dr. Martina Heer

Scienza a gravita' zero | Zuccheri e obesità

11/12/2014

Intolleranza al glucosio

Uno stile di vita sedentario, che si sta sempre di più diffondendo soprattutto nei paese occidentali, ha gravi conseguenze a lungo termine  sulla salute del corpo umano. Spesso fin da giovani le persone non fanno abbastanza esercizio fisico e in molti casi il lavoro in ufficio costringe le persone a restare sedute per gran parte della giornata. Se poi a questo si aggiunge un apporto calorico giornaliero superiore al reale fabbisogno (anche a causa delle molte bibite gassate e con molti zuccheri disponibili sul mercato) è facile capire come la percentuale di obesità nella popolazione stia aumentando.

Entrambi questi fattori, la ridotta attività fisica e l’alta percentuale di massa grassa, possono avere conseguenze negative  tra cui alcuni effetti sul metabolismo dei carboidrati.

Durante la digestione dei carboidrati il glucosio viene assorbito e entra all’interno del nostro flusso sanguigno; quando viene assorbito quindi il livello di glucosio nel sangue aumenta. Un maggiore livello di glucosio fa poi sì che il pancreas riceva l’istruzione di produrre insulina, un ormone che aiuta a prelevare il glucosio dal sangue e portarlo alle cellule, in particolare quelle muscolari. Allo stesso tempo  la sintesi del glucosio da parte del fegato (che si occupa di produrre glucosio nei casi in cui il suo livello nel sangue sia troppo basso) viene fermata.

Nelle persone in salute l’aumento del livello di glucosio nel sangue in seguito all’aver mangiato dei carboidrati avviene dunque fino ad una determinata concentrazione oltre la quale l’insulina inizia a lavorare trasportando il glucosio dal sangue alle cellule e riportando i valori ai livelli iniziali.

Nelle persone che conducono invece una vita sedentaria o la cui percentuale di massa grassa è troppo elevata il livello di glucosio nel sangue dopo un pasto in cui si sono consumati carboidrati cresce

molto di più. Nonostante il pancreas produca insulina e questa a sua volta inizi a portare glucosio alle cellule la concentrazione nel sangue rimane elevata, suggerendo l’idea che l’insulina non sia più in grado di lavorare in maniera adeguata. Questo è quello che viene chiamato “intolleranza al glucosio”.

Questo tipo di intolleranza può svilupparsi anche in persone giovani e in salute che solo recentemente hanno iniziato ad avere uno stile di vita più sedentario.  Questo è stato ad esempio confermato da alcuni studi in cui i soggetti erano in riposo forzato a letto (bed rest studies)  per un determinato periodo: anche brevi periodi di quasi immobilità forzata possono portare ad una diminuzione nella tolleranza al glucosio. Anche negli astronauti è stato riscontrato lo stesso effetto durante alcuni studi durante le missioni Apollo e Skylab, avvenute negli anni ’60 e ’70. A suo tempo era stato fatto uno studio comparando i livelli di glucosio nel sangue e di insulina prima e dopo il volo; i cambiamenti presenti tra l’inizio e la fine della missione (all’epoca non erano stati fatti prelievi durante il periodo nello spazio)erano del tutto simili a quelli presenti nei soggetti costretti a letto negli studi di bed rest.

Anche se gli astronauti durante la loro permanenza nello spazio sono solitamente molto attivi senza esercizi appositi la loro muscolatura in microgravità non viene stimolata. Questa ridotta attività dei muscoli è sufficiente appunto a portare il livello di glucosio nel sangue a valori superiori a quelli accettabili e portare quindi l’astronauta a sviluppare un’intolleranza al glucosio.

Dr. Martina Heer

Scienza a gravita' zero | Zuccheri e obesità

05/12/2014