Archivio mensile: April 2015

Acqua: elemento essenziale nel ciclo vitale, anche nello spazio

L’acqua che bevono Samantha Cristoforetti e il resto dell’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale è anche italiana: nasce e parte da Torino, e viene trasportata sulla ISS con il modulo automatico ATV. L’Agenzia spaziale russa ha scelto acqua di falda, estratta dalla Societa` Metropolitana Acque Torino (SMAT) presso la Centrale “Regina Margherita” come la più indicata per i cosmonauti, soprattutto per il suo contenuto di sali. E la vuole addizionata di fluoro, per la salute dei denti. Al contrario, gli astronauti statunitensi preferiscono un’acqua decisamente più “light”, proveniente dalle sorgenti montane del Pian della Mussa, e quindi meno mineralizzata. Non solo gusti e obiettivi nutrizionali diversi, ma anche metodi diversi di disinfezione a garanzia del controllo microbiologico: argento colloidale per i russi, iodio per gli americani. E di conseguenza diverse precauzioni per la produzione, l’immagazzinamento e la certificazione di qualità, sicurezza e stabilità nel tempo.

Ilaria Locantore, chimico progettista presso l’Area Tecnologica “Recyclab” di Thales Alenia Space Italia, proprio a Torino, racconta: “Con 4 missioni di ATV abbiamo portato sulla stazione quasi 2 tonnellate di acqua russa! Abbiamo studiato a lungo, raccolto dati per mesi, e alla fine abbiamo definito un processo affidabile e condiviso dai nostri clienti, per il mantenimento della qualita` dell’acqua durante tutto il ciclo vita: pre-trattamento dei serbatoi utilizzati per raccogliere e trasferire l’acqua a terra, caricamento e controllo periodico della qualità dell’acqua, dalla produzione al lancio”.

Prodotta a Torino e lanciata da Kourou, in Guyana Francese, l’acqua potabile arriva agli astronauti per mantenere a bordo le necessarie scorte idriche, e per compensare la quota che non si riesce a rigenerare a bordo.  Sulla ISS infatti, l’acqua si risparmia e si ricicla.  Il consumo pro-capite da parte degli astronauti e` di circa 2 litri per bere e reidratare il cibo disidratato, e di mezzo litro per lavarsi con semplici panni umidi. Niente sprechi quindi: il risultato e` un consumo di acqua davvero minimo, se confrontato con i 200 litri circa al giorno del cittadino medio italiano!  Ma l’astronauta non si limita ad un uso moderato e razionale di questa preziosa risorsa: tramite processi chimico-fisici di rigenerazione e purificazione presenti a bordo, il ciclo dell’acqua può essere chiuso quasi del tutto, recuperandone il 95% circa, a partire dall’urina e dall’umidità dell’aria di cabina condensata nei sistemi di condizionamento.

Quali sono le criticità attese per progettare i futuri viaggi verso Marte o altre destinazioni non facilmente rifornibili da Terra? Ilaria ci dice: “Grazie all’esperienza maturata, ora sappiamo quali sono gli aspetti critici riguardanti la rigenerazione, la conservazione e disinfezione a lungo termine, e come affrontarli. Sappiamo quanto è necessario sfruttare le risorse disponibili, per risparmiare massa, volume ed energia. Attraverso le nostre ricerche puntiamo a nuovi serbatoi flessibili, riutilizzabili e multi-funzionali: per esempio l’acqua e` un buon materiale per schermare dalle radiazioni cosmiche, quindi perche` non utilizzare “cuscini” d’acqua per proteggere gli astronauti?  La disinfezione fara` minore ricorso a prodotti chimici, impiegando ad esempio la luce UV prodotta da LED a basso consumo, e materiali con rivestimenti antimicrobici a base di argento”.

Un giorno anche il ciclo biologico della coltivazione delle piante potrà venirci in aiuto.  Per l’esplorazione planetaria la distanza ostacolerà il rifornimento da Terra, e gli astronauti dovranno essere in grado di produrre da sé almeno una parte del cibo. Proprio come nella biosfera terrestre, le piante, oltre a generare ossigeno e rimuovere anidride carbonica, ci aiuteranno a depurare l’acqua. Assumendo dalle radici i reflui usati per l’irrigazione, tratterranno le sostanze nutritive e ci restituiranno acqua più pura attraverso la traspirazione fogliare. Insieme a quella recuperata dagli altri processi, l’acqua verrà raccolta in serbatoi, disinfettata e resa disponibile al bisogno. Impariamo a farlo nei nostri laboratori e a sperimentarlo sulla ISS oggi, per garantirlo durante le missioni di lunga durata domani.  E se sfruttiamo il ciclo biologico, come nei cosiddetti sistemi bio-rigenerativi descritti in queste pagine di Avamposto 42, potremo avvicinarci alla “chiusura” dei cicli che caratterizzano le risorse vitali.

L’acqua è essenziale per la vita, la cerchiamo sugli altri pianeti, sulle Lune e le comete per comprenderne l’origine e il viaggio nel cosmo. Si nasconde nei crateri da impatto, in un mantello ghiacciato. Forse un giorno nei viaggi planetari saremo anche in grado di estrarla, utilizzarla, preservarla e riciclarla… sempre senza alcuno spreco.

Cesare Lobascio  (Thales Alenia Space – Italia)

Per saperne di più:

The ESA Automated Transfer Vehicle ATV Integrated Cargo Carrier https://www.esa.int/Our_Activities/Human_Spaceflight/ATV/ATV_Integrated_Cargo_Carrier

Thales Alenia Space for ATV https://www.thalesgroup.com/en/worldwide/space/case-study/atv-5-bows-out

Recyclab https://www.lastampa.it/2013/03/22/scienza/il-laboratorio-torinese-che-studia-il-riciclo-spaziale-8DUm5fZQWTMIakuZXp2ecI/pagina.html

Gli esperimenti di Futura | I sistemi biorigenerativi

30/04/2015

Barrette con bacche di goji, alga spirulina e cioccolato

Seguire una corretta alimentazione sembra molto spesso complicato e difficoltoso. Si inizia un percorso che viene abbandonato dopo poco tempo perché passare dalla teoria alla pratica non è poi così scontato. Prendersi cura della propria salute significa fermarsi un attimo a riflettere se è arrivato il momento di dedicare qualche ora della nostra giornata a noi stessi. La cucina, oltre che rappresentare il momento in cui scegliamo cosa mettere dentro al nostro corpo, è un momento di divertimento, sperimentazione, familiarizzazione con gli ingredienti, relax e condivisione. Con Samantha abbiamo scelto di comunicare questi concetti attraverso la realizzazione di ricette semplici, veloci, versatili. Da questo punto di vista, le barrette sono un bellissimo esempio. Partire dalle cose più semplici significa avere risultati assicurati e trovare la motivazione per spingersi sempre più in là. Lo spuntino è sempre un momento delicato e questa ricetta può essere una soluzione veloce per preparare degli snacks genuini in anticipo senza rinunciare al gusto.

 Stefano Polato,  Responsabile dello Space Food Lab di Argotec

[youtube J34SGY2RVwY]

  Barrette con bacche di goji, alga spirulina e cioccolato Ingredienti (per 4 barrette): 50g di cereali integrali soffiati e in fiocchi 5g di farina di mandorle 20g di malto d’orzo 10g di granella di nocciole 15g di bacche di goji 3g di alga spirulina in polvere o granulare 20g di cioccolato extra fondente 80% cacao 5g di semi di sesamo o semi oleosi misti     Procedimento: Unire i cereali alla farina di mandorle, quindi aggiungere bacche di goji, granella di nocciole, semi di sesamo e alga spirulina. Amalgamare bene. Sciogliere a bagnomaria il cioccolato con il malto d’orzo. Versare il cioccolato fuso sui cereali e mescolare bene. Versare il composto su uno stampo ricoperto da carta da forno e con un secondo foglio stendere l’impasto in modo omogeneo. Riporre in frigorifero e lasciare rapprendere. Una volta rappreso il composto, tagliare conferendo la forma desiderata alle barrette.    

Fai il pieno giusto | Grassi e infiammazione

30/04/2015

Effetti della microgravità sulla crescita delle piante

Le condizioni di microgravità a bordo delle stazioni spaziali orbitanti o di gravità ridotta su piattaforme planetarie possono essere percepite come fonte di stress dalle piante.

La gravità ridotta non impedisce il completamento dei cicli vitali delle piante: nello Spazio i semi germinano e le piante possono crescere, fiorire e formare frutti contenenti semi a loro volta capaci di germinare. In altre parole, anche in microgravità le piante possono completare il ciclo vitale “da seme a seme”. Anche nello Spazio è quindi possibile coltivare le piante a scopo alimentare per produrre cibo fresco nelle varie forme: foglie e germogli per le insalate, frutti e semi. Tuttavia, la microgravità può provocare alterazioni in alcuni processi e fenomeni biologici che innescano alterazioni nella struttura e nella funzionalità dei diversi organi. Queste modifiche, anche quando non sono tali da mettere a rischio la sopravvivenza, potrebbero comunque determinare alterazioni delle principali funzioni svolte dalle piante nello Spazio e variazioni della quantità e qualità delle parti da utilizzare come cibo fresco.

La maggior parte delle informazioni disponibili sull’effetto della microgravità sulle piante deriva da esperimenti svolti o a bordo delle piattaforme spaziali dove, di fatto, la microgravità agisce insieme ad altri fattori “spaziali” (per esempio le radiazioni ionizzanti), oppure sulla Terra dove “l’assenza di gravità” si può simulare con vari apparecchi tra cui i clinostati, che annullano gli effetti dell’azione unidirezionale della forza di gravità sull’organismo facendolo ruotare continuamente.

L’effetto della microgravità è stato studiato principalmente su alcuni processi nel corso dello sviluppo delle piante ed in particolare su: capacità di germinazione dei semi e sviluppo morfologico, gravitropismo (crescita delle radici guidata dall’attrazione gravitazionale), sviluppo del sistema vascolare e fenomeni di formazione delle pareti cellulari (fondamentali per il trasporto dell’acqua nel sistema vegetale e per il sostegno strutturale), traslocazione di sostanze di riserva (per esempio l’amido), accumulo di sostanze fenoliche (sostanze antiossidanti prodotte generalmente a seguito di stress), capacità di riproduzione, efficienza degli scambi gassosi (fotosintesi e traspirazione), attività del nucleo e cicli cellulari.

Figura_Microgravità_ItalianoNumerosi esperimenti a bordo di satelliti e stazioni spaziali hanno dimostrato che la microgravità pur non impedendo la realizzazione della maggior parte dei processi vitali, può alterarne il normale svolgimento. La microgravità è ritenuta responsabile sia di effetti diretti su alcuni processi biologici, sia di effetti indiretti dovuti all’alterazione di fenomeni fisici come la dinamica dei fluidi. Tali alterazioni possono provocare fenomeni di asfissia a livello delle radici, riduzione della traspirazione ed accumulo di etilene, un ormone normalmente prodotto dalle piante in alcuni momenti del ciclo vitale che, alle giuste concentrazioni, può stimolare alcuni processi, mentre in concentrazioni eccessive può ostacolarli.

Molte delle alterazioni della crescita (per es. ridotta germinazione, assenza di impollinazione per la mancata schiusura delle antere) sono state imputate alla microgravità nei primi esperimenti condotti nello Spazio, per essere poi nel tempo attribuite proprio ad anomalie della dinamica dei fluidi che hanno determinato fenomeni di accumulo di etilene, eccesso di umidità o limitate concentrazioni di anidride carbonica. Fenomeni di crescita ridotta e rallentata, riscontrati in piante cresciute in condizioni di microgravità, sono stati talvolta imputati proprio a condizioni di asfissia dovute all’assenza di moti convettivi che normalmente permettono gli scambi tra i fluidi.

Indipendentemente dall’effetto diretto o indiretto della microgravità sulle piante, è un dato di fatto che le parti commestibili delle piante coltivate nello Spazio possono avere struttura e composizione nutrizionale diverse da quelle coltivate sulla Terra. Ad esempio, alterazioni delle caratteristiche delle pareti cellulari possono comportare variazioni nella consistenza del cibo fresco. Allo stesso tempo, modifiche nel funzionamento delle vie metaboliche si riflettono in alterazioni della composizione di macronutrienti e micronutrienti degli organi vegetali con immediate conseguenze sulla loro qualità nutrizionale.

Capire l’effetto della gravità alterata sulla crescita delle piante diventa quindi importante non solo dal punto di vista scientifico, per meglio comprendere alcuni processi di sviluppo delle piante sulla Terra (utilizzando quindi lo Spazio come uno speciale laboratorio), ma anche dal punto di vista pratico al fine di valutare le possibili conseguenze sul gradimento e sulle proprietà nutrizionali ed anti-nutrizionali degli alimenti vegetali freschi prodotti nello Spazio.

Università di Napoli/Veronica De Micco, Carmen Arena & Giovanna Aronne

Per saperne di più: https://www.dipartimentodiagraria.unina.it/

Gli esperimenti di Futura | I sistemi biorigenerativi

30/04/2015

A cosa serve l’infiammazione

L’infiammazione è una risposta fisiologica e protettiva dei tessuti (in particolare quelli vascolari) a uno stimolo nocivo. Senza un’adeguata risposta infiammatoria, una ferita anche banale non potrebbe guarire e diventerebbe quindi un rischio mortale. L’infiammazione, come lo stress, è però una risposta d’emergenza: tanto necessaria quanto deleteria se costantemente attiva.

L’infiammazione è costituita da una vera e propria cascata di reazioni biochimiche che coinvolgono in particolare il sistema immunitario: istamina, interleuchina, leucotrieni, trombossani, proteina c reattiva e fibrinogeno sono alcune delle molecole coinvolte che fungono, in alcuni casi, anche da marcatori del processo infiammatorio.

Molte patologie, dall’Alzheimer all’infarto, dal diabete all’artrite, hanno una base infiammatoria comune. Ciò che mangiamo può avere un legame con la propensione dei nostri tessuti ad infiammarsi o meno. Se la nostra dieta sarà ricca di zucchero e grassi vegetali o peggio idrogenati la produzione di molecole infiammatorie sarà accentuata.

Se, al contrario, assumiamo molto pesce azzurro, cereali integrali, verdure e spezie daremo un contributo nelle direzione inversa, cioè di modulazione corretta dei processi infiammatori. Questo ovviamente diventa ancora più importante nei casi in cui una malattia infiammatoria sia già presente. Il contributo dell’alimentazione non è detto che sia curativo ma può dare un aiuto importante nella gestione dei sintomi e dell’evoluzione della patologia stessa.

Dr. Filippo Ongaro

per saperne di piú: filippo-ongaro.it

Grassi e infiammazione | Sfida

23/04/2015

Niente panico: le simulazioni di emergenza sulla ISS

Le simulazioni di emergenza sono necessarie e perciò accetto ben volentieri che la caserma dei pompieri dietro casa faccia partire le sirene la sera, anche se mette regolarmente in agitazione nostra figlia un attimo prima che vada a dormire. C’è chi si esercita, come i pompieri, in attesa di una chiamata di emergenza e chi invece, come gli astronauti sulla Stazione Spaziale, si esercita nel caso l’emergenza capiti proprio a lui. Quando ci si trova a circa 400 km dalla Terra bisogna essere in grado di arrangiarsi: gli astronauti a bordo della ISS devono essere addestrati per ogni scenario di emergenza anche perché in alcuni casi persino i contatti radio con i centri di controllo a Terra possono essere interrotti.

Nella simulazione di emergenza di oggi i centri di controllo e l’equipaggio della Stazione Spaziale hanno lavorato insieme in uno scenario di emergenza a bordo (OBT: On Board Training) che prevedeva una perdita di pressione nella ISS dovuta a una fuoriuscita di aria dal modulo giapponese KIBO.

L’allarme è suonato sulla Stazione Spaziale, con il suo penetrante e riconoscibilissimo suono, mentre in contemporanea diversi messaggi di errore si sono accesi qui al centro di controllo: la ISS era entrata in modalità di emergenza. Subito dopo gli astronauti si sono messi in contatto con Houston al Mission Control riportando, comunicando una perdita di pressione a bordo. In questi casi tutte le comunicazioni sono precedute da una frase standard utilizzata per fare in modo che tutti in qualsiasi momento siano consapevoli che si tratta solo di una simulazione e in italiano suona circa come “per l’esercitazione”.

Il direttore di volo a Houston ha già dichiarato la situazione di emergenza (Space Craft Emergency), ovviamente preceduta dalla frase di rito. Nel frattempo Sinje Steffen del gruppo STRATOS del Centro di Controllo Columbus si sta occupando di controllare se il laboratorio spaziale europeo si è o meno riconfigurato automaticamente per lo scenario di perdita rapida di pressione.

Mentre il lavoro procede nei centri a Terra, gli astronauti si dirigono verso le loro navicelle Soyuz, le “scialuppe di salvataggio” della ISS. A bordo ogni astronauta ha il proprio posto e il proprio ruolo. Le navicelle russe sono solitamente il primo punto di raduno in caso di emergenza, per ovvie ragioni. Una volta lì l’equipaggio decide insieme come procedere sulla base della procedura “warning – gather – fight”. Nello scenario di questa volta il loro tempo a disposizione era di cinque ore prima che la Stazione raggiungesse il valore minimo di pressione necessario alla sua sopravvivenza.

Una volta definita l’emergenza gli astronauti hanno iniziato le procedure di controllo di chiusura dei diversi portelli cercando di capire da quale parte la pressione calasse più velocemente e sono riusciti poi, lentamente ma con precisione, a identificare la sorgente della perdita.

Il direttore di volo di Columbus Katja Leuoth e il suo team erano nel frattempo impegnati a stare al passo con il calo di pressione all’interno del laboratorio europeo: ogni componente al suo interno ha infatti un valore minimo di pressione dell’aria e ognuno di loro andava spento prima di raggiungere il livello critico ed essere compromesso. Tuttavia, trattandosi di una simulazione nessuno degli esperimenti è stato veramente spento…

Una veloce perdita di pressione è uno dei tre principali scenari di emergenza definiti per la Stazione Spaziale Internazionale.

A seconda della grandezza della perdita ci sono diversi modi di “tappare il buco”: da una toppa fino all’utilizzo di un materiale simile alla plastilina. Tutto il lavoro è ovviamente eseguito dall’interno della struttura della Stazione ed è relativamente facile: rispetto al vuoto dello spazio la pressione della ISS è decisamente elevata e spinge qualsiasi guarnizione contro la superficie… è molto più semplice che quando si ripara il foro nella ruota di una bicicletta!

Thomas Uhlig, Columbus Control Centre

Nell’immagine di copertina: Samantha Cristoforetti e l’equipaggio della ISS nella sezione russa della ISS durante l’allarme ammoniaca del 15 gennaio 2015. Gli allarmi sono segnati in rosso sugli schermi dei computer.

Niente Panico

21/04/2015

HDL, LDL, trigliceridi e altri fattori di rischio cardiovascolare

I dati parlano chiaro. Secondo l’ISTAT, le patologie cardiache sono la principale causa di decesso in Italia. È quindi fondamentale prevenire la loro insorgenza. E siccome, quando si parla di prevenzione, vale sempre la strategia militare del “conosci il tuo nemico”, è importante comprendere prima di tutto quali sono le condizioni correlate statisticamente alle patologie cardiovascolari.

Oltre a età e familiarità per la malattia che non possiamo modificare, esistono altri fattori di rischio su cui è possibile agire attraverso l’alimentazione e uno stile di vita sano. L’ipercolesterolemia ne è un esempio. Nel corso del tempo, l’eccesso di colesterolo porta al deposito di placche sulle pareti delle arterie. Queste placche sono la base dell’arteriosclerosi e possono depositarsi fino a ostacolare il regolare flusso sanguigno o, a causa di un’infiammazione, rompersi. In quest’ultimo caso si forma così un coagulo, o trombo, che può bloccare del tutto il flusso ematico in un’arteria e portare così a infarto o ictus. Per determinare il rischio cardiovascolare, più che considerare il colesterolo totale è meglio valutare il rapporto tra colesterolo “buono” HDL e colesterolo “cattivo” LDL. Le prime portano il colesterolo dalle arterie al fegato e quindi esercitano un’azione di pulizia. Le seconde al contrario trasportano il colesterolo verso le arterie facilitandone il deposito.

È chiaro quindi che può esserci comunque un elevato rischio cardiovascolare anche quando il colesterolo totale è nella norma se la percentuale di HDL è particolarmente bassa rispetto al colesterolo LDL. Il rapporto ottimale LDL/HDL dovrebbe essere inferiore a 3 (e possibilmente vicino a 1), mentre il rapporto tra colesterolemia totale e colesterolemia HDL dovrebbe essere inferiore a 5 (e possibilmente vicino al 3).

Il rischio cardiovascolare aumenta ulteriormente se a una maggior concentrazione di LDL rispetto all’HDL si aggiunge l’ipertrigliceridemia, cioè un’alta concentrazione sanguigna di trigliceridi, una specifica tipologia di lipìdi. Questi grassi sono una fondamentale fonte di energia per le nostre cellule ma, in quantità eccessiva, possono contribuire allo sviluppo di patologie circolatorie.

Ma è bene ricordare che il rischio cardiovascolare non dipende solo dall’ipercolesterolemia e dall’ipertrigliceridemia, ma può essere correlata ad altri fattori come insulinoresistenza, ipertensione, diabete mellito, obesità, abitudine al fumo e abuso di alcol.

La corretta nutrizione è uno strumento essenziale per ridurre il rischio cardiovascolare. È bene quindi limitare il consumo di zuccheri, cereali raffinati e grassi idrogenati e saturi per arricchire invece la dieta di alimenti sani in grado di innalzare i livelli di colesterolo HDL o di abbassare i livelli di LDL come cereali integrali, pesce azzurro ricco di omega-3 e olio extravergine di oliva. Per prevenire con ancor più efficacia le patologie cardiovascolari è sempre bene associare una sana alimentazione a una regolare attività fisica.

 Dr. Filippo Ongaro

https://www.filippo-ongaro.it/

 

Grassi e rischio cardiovascolare | Una cosa da ragazzi

20/04/2015

Il ritorno del Dragone

Non so se Samantha, da bambina, amasse catturare farfalle con un retino. Ma sono sicuro che neanche nei suoi sogni più sfrenati avrebbe pensato di poter catturare, da grande, un Dragon con un braccio robotico.

Eppure è toccato proprio a lei acciuffare la navicella Dragon della SpaceX e proprio da uno dei posti che preferisce della ISS: la Cupola. È la prima volta di un astronauta italiano. Samantha è stata assistita dal collega della NASA Terry Virts, pronto a coadiuvarla in caso di emergenza. Potete leggere alcune note sulla tecnica di cattura nel diario di bordo (link a L+20, L+21: Esercitarsi con il braccio per afferrare Dragon).

Vorrei invece soffermarmi sul vero e proprio “stop & go”  ballato dal Dragon nel corso dell’avvicinamento, che mette in luce il gioco di squadra tra equipaggio della ISS e centri di controllo a terra. È un aspetto, questo, che grazie anche ai contributi in prima persona del ColCC  su Avamposto42 sta iniziando a emergere. Ma non è mai abbastanza: una missione spaziale è veramente un gioco di squadra di grande precisione.

Il Dragon, costruito dalla compagnia privata Space X, approda alla sua prima orbita di transito dopo circa 10 minuti dal lancio. Da qui inizia l’inseguimento automatico alla ISS, che dura circa un paio di giorni.

Quando la navicella si trova in vista della stazione spaziale, il Centro di Controllo (quello della NASA a Houston e quello di Space X a Hawthorne) attiva la spinta del motore, che la conduce dolcemente a circa 250 metri dal traguardo. È qui che entrano in gioco gli occhi del Dragone: un radar a luce visibile (LIDAR) e una telecamera sensibile agli infrarossi. Il confronto fra le informazioni fornite dai due strumenti, permette al Dragon di stabilire con grande precisione sia la sua distanza dalla stazione che la sua velocità.  Nel frattempo, durante le orbite precedenti, sono state attivate le telecomunicazioni tra Dragon e casa spaziale (sulle frequenze UHF, per la precisione). Gli astronauti, da questo momento, telecomandano il Dragon nel corso dei successivi avvicinamenti, sotto il monitoraggio da terra da parte del centro di controllo di volo della NASA al Johnson Space Center.

Primo stop dopo appena 50 metri. Controllo da Terra e se è tutto regolare si può procedere. Da questo punto in poi, si entra nella cosiddetta Keep-Out Sphere. Ammettiamolo: come diceva Guccini, “gli americani ci fregano con la lingua, capisci?”. Sono fenomenali nell’inventare nomi da fantascienza: Keep-Out Sphere significa solo che si è abbastanza vicini alla ISS da dover essere ancora più cauti di prima per evitare il rischio collisioni. Keep-Out Sphere: geniale.

Di nuovo comandi all’equipaggio, che portano il Dragon a 30 metri dalla stazione.  Stop e controllo da terra.

Ultimo sforzo, prima di mettere in azione il braccio robotico: telecomando all’equipaggio e Dragon che giunge a 10 metri. Stop e controllo da terra. È tutto a posto? Se lo è, il braccio robotico cattura la navicella e… ma questa è una storia che già conoscete.

 Stefano Sandrelli

Nell’immagine di copertina: Dragon-4 arriva alla Stazione Spaziale Internazionale nel settembre 2014. Credits: NASA 

Niente Panico

17/04/2015

Effetti delle radiazioni ionizzanti sulla crescita delle piante

Nello Spazio, tutti gli organismi sono esposti a forti livelli di radiazioni ionizzanti, ossia radiazioni dotate di un’energia tale da poter ionizzare gli atomi e le molecole con cui interagiscono. Le radiazioni ionizzanti comprendono radiazioni ultraviolette ad alta frequenza, raggi X, raggi g, neutroni, elettroni ed altri tipi di particelle.

In generale, le piante sono molto più resistenti alle radiazioni ionizzanti rispetto agli organismi animali: dosi letali per gli animali possono infatti avere un effetto positivo o nullo sulle piante.

L’effetto delle radiazioni ionizzanti sulle piante segue uno dei principi fondamentali della tossicologia: come enunciato da Paracelso (Theophrastus Bombastus von Hohenheim) all’inizio del 1500, “Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit” (i.e. “Ogni cosa è veleno, non esiste cosa che non lo sia. Solo la dose fa sì che una sostanza non divenga veleno”). Questa idea, rifiutata per molto tempo, è ora comunemente accettata: è infatti riconosciuto che alcune sostanze possono avere effetti tossici ad alte concentrazioni, mentre a basse dosi possono indurre risposte positive. Tale fenomeno, noto come ormesi, è stato riscontrato anche per quanto riguarda l’interazione tra la radiazione ionizzante e la pianta: l’esposizione ad alte dosi può avere effetti da molto tossici a letali, mentre dosi moderate o basse possono addirittura stimolare la crescita. La soglia di radiazione per cui si può generare danno o ormesi è diversa per ogni pianta e dipende principalmente dalle caratteristiche genetiche e fisiologiche della specie.

Figura Art Radiazioni

Gli effetti delle radiazioni ionizzanti sulle piante variano in funzione del tipo di radiazione, del tipo di esposizione (acuta o cronica), delle dosi, e delle caratteristiche dell’organismo: specie, cultivar (la varietà), stato fisiologico e nutrizionale, ciclo vitale (stadio fenologico) in cui si trova la pianta al momento dell’irraggiamento.

Quando le radiazioni ionizzanti colpiscono la pianta, possono agire a differenti scale: cellula, tessuto, organo, intero organismo. Le radiazioni ionizzanti possono provocare alterazioni geniche (mutazioni) che poi si traducono in modifiche nello sviluppo, nella morfologia e nel metabolismo della pianta. Possono anche provocare danni diretti ai tessuti ed agli organi oppure determinare danni dovuti alla produzione di radicali liberi (ROS – Reactive Oxygen Species). Questi ultimi sono molecole instabili ed estremamente reattive che possono danneggiare macromolecole strutturali e funzionali quali lipidi, proteine e acidi nucleici. La resistenza delle piante alle radiazioni ionizzanti è in alcuni casi dovuta alla presenza di più copie nel genoma di uno stesso gene (poliploidia) per cui se una copia di un gene è danneggiata, ne esiste una di riserva (back-up) che ne garantisce comunque l’espressione. Le cellule vegetali sono inoltre capaci di mettere in atto meccanismi cellulari molto complessi per riparare il DNA danneggiato o per rimuovere i radicali liberi.

Elevate dosi di radiazioni possono agire negativamente sugli organismi vegetali riducendo la capacità di germinazione, ostacolando il completamento dei cicli riproduttivi e prevenendo quindi la produzione di frutti e semi. Il nanismo della pianta, generalmente considerato un effetto di crescita negativo per un individuo, è tuttavia da valutare come effetto positivo per la crescita delle piante nello Spazio dove ci sono limitazioni nei volumi a disposizione per la coltivazione. Basse dosi di radiazione possono determinare effetti positivi tra cui si annoverano l’aumento della produzione di frutti e semi, una migliore capacità delle piante di resistere agli stress ambientali (per es. deficit idrico) e l’aumento del contenuto di sostanze antiossidanti in alcuni tessuti che può avere importanti conseguenze sul valore nutrizionale delle parti commestibili delle piante coltivate nello Spazio.

In conclusione, le radiazioni ionizzanti, tanto pericolose per l’uomo e per gli organismi animali in genere, potrebbero essere addirittura utilizzate nello spazio come strumento per aumentare la quantità e la qualità delle parti delle piante da utilizzare come cibo fresco prodotto direttamente a bordo.

Università di Napoli/Veronica De Micco, Carmen Arena & Giovanna Aronne

https://www.dipartimentodiagraria.unina.it/

I sistemi biorigenerativi

08/04/2015